– I prodotti tipici e locali stanno per invadere i supermercati di Rimini e provincia con oltre 400 specialità di un centinaio tra fornitori e aziende romagnole. L’iniziativa, realizzata da Coop Adriatica nei propri punti vendita (13 ipercoop, e 120 supermercati) già da settembre è il frutto di una lunga ricerca che ha coinvolto i soci della cooperativa e i consumatori riminesi per individuare i prodotti cuore dell’enogastronomia locale.
E’ emersa una prima lista fatta di 50 specialità, singoli prodotti ma anche piatti, preparazioni e accessori per la cucina, scelte fatte dal vissuto dei consumatori come il bustrengo, la piadina, il formaggio di fossa, il raveggiolo, il cassone, il miacetto, il bisulà, il Sangiovese (sull’elenco completo Coop mantiene ancora un certo ‘riserbo’).
Il progetto è stato presentato dai vertici di Coop Adriatica il 10 giugno ed approfondito il giorno stesso con il convegno “L’impegno di Coop per la valorizzazione dei prodotti riminesi e della Romagna”.
Presenti tra gli altri l’assessore provinciale alle attività economiche Mauro Morri, il presidente di Legacoop Rimini Giancarlo Ciaroni e il vicesindaco di Rimini Maurizio Melucci. Si tratta di un lavoro sviluppato e realizzato in chiave integrata con il più ampio consenso sul territorio. Quindi insieme ai soci, i consumatori, la collettività, le istituzioni, il mondo dell’associazionismo, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, i fornitori di prodotti e servizi. Una vera politica del territorio.
Coop, primo operatore italiano della grande distribuzione con quasi 37.000 soci in provincia (+ 35 per cento rispetto al dicembre 2004) conosce bene la nostra zona: oggi acquista produzioni agroalimentari nel riminese per un fatturato di circa 360 milioni di euro e tra i fornitori, oltre ai grandi, ci sono piccole e medie aziende fortemente specializzate, una ricchezza economica del territorio ma anche un elemento in più per i consumatori che sono sempre più attenti ai temi della qualità. Non solo. Consumatori che con tali acquisti difendono e valorizzano il patrimonio culturale collettivo.
di Domenico Chiericozzi