Gabicce Mare, 1952 circa. Al centro la lancia “Bruna” di Mario Vanzolini (Marola). A sinistra la lancia di Giuseppe Cecchini (Erculen) – vongolara “sal vinc a mèn e la bateca”. A destra la lancia “Caterina” di Mauro Vanzolini (Marlen).(Archivio Fotografico Centro Culturale Polivalente di Cattolica)
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– Filiberto Vanzolini (Marola), racconti e aneddoti della vecchia Gabicce Monte.
Ho svolto da sempre il mestiere del vongolaro fin dall’età di dodici anni, quando la pesca delle vongole si faceva “sal vinc a mèn e sla bateca”. Si partiva alla sera e al ritorno i sacchi con le vongole venivano lasciati sulla banchina, dove convenivano i commercianti. I sacchi venivano segnati col nome della barca col “blach” (specie di catrame) intinto con le nostre mani, per provare che erano nostri. Noi ragazzini avevamo sempre le mani sporche di catrame e sempre bagnate dall’acqua di mare, per cui non riuscivamo quasi mai a mangiare il pane e i pezzetti di polenta che portavamo da casa, o perché non c’era tempo (si doveva girare continuamente “al vinc” o remare). Alle volte i sacchi delle vongole venivano portati al mercato coperto di Cattolica per la vendita, trasportati col carretto a mano; allora vi erano solo due carretti trainati da somari: di “Pirula” e “Rossini”.
I vongolari di Fiorenzuola e di Casteldimezzo alavano le loro barche sulla spiaggia con l’argano a mano, mettendo sotto il fondo delle barche dei rulli che si muovevano su delle tavole. Quando si trovavano in prossimità della spiaggia iniziavano a urlare chiamando il facchinaggio e anche persone della famiglia. Nei giorni di nebbia si sentivano solo le loro voci, come se provenissero da un mondo lontano. Per il trasporto delle vongole gli addetti al facchinaggio risalivano per i sentieri impervi in fila indiana fino al paese e quando arrivavano erano duramente provati, anche se la quantità che portavano a spalla era mediamente di 20-25 chili. Giunti al paese, riempivano i sacchi con un’appropriata cernita, avendo cura di mettere sopra quelle più belle, e poi con un carro ippotrainato si provvedeva a portarle al mercato di Cattolica. “Era dura!” – raccontarlo ad un giovane oggi stenterebbe a crederci.
Fin dall’età di 12 anni ho fatto anche la pesca della sarda; il primo anno a bordo della barca “San Francesco t’aiuta”, col paròn Angelo Grandicelli (Angiulon) che era socio con Eugenio Pozzi (Sbarén). Poi litigarono e Grandicelli insieme al fratello Adamo (Re Bèl) comperarono il motopeschereccio “Indomito” dove m’imbarcai. Successivamente mi ammalai di pleurite e fui costretto a rimanere a casa per circa un anno. Appena guarito nel 1946 tornai nuovamente in mare a sarda con i fratelli Grandicelli, sempre sull’Indomito.
In quegli anni ci spingemmo anche due-tre volte al mese fino a Pescara, nel tentativo di realizzare buone battute di pesca. Comunque in realtà la pesca è stata sempre molto scarsa e non si riusciva a soddisfare neanche le esigenze primarie. Così mi sono sbarcato e sono andato a Cattolica con il camion di Elio Venturini (Ciavarol) insieme a Giuseppe Bontempi (Nugi), che anche lui era a Pescara imbarcato sul motopeschereccio “Nuovo Aldo”.
Tornato a Cattolica (1947) andai in mare con Delio Pozzi (Baztén) sul motopeschereccio “Elvira”. Successivamente con Cesare Pozzi sul motopeschereccio “Marco Polo”. Rimasi 15 giorni perché partii per il servizio militare. In questo periodo si facevano discrete battute di pesca, soprattutto di sogliole e si guadagnava abbastanza bene.