E sia benedetto il Signore, ha pensato il sottoscritto, antiberlusconiano della prima ora, dal momento che questo progetto condurrà alla rovina il berlusconismo.
Spiego perché, e lo faccio partendo da un emblematico episodio di venerdì 12 maggio 2000. Seduta del Consiglio Nazionale di FI alla vigilia dei sette referendum del 21 maggio, tra cui i due principali prevedevano la soppressione della legge elettorale proporzionale residua.
Berlusconi espresse la propria opinione: occorreva non andare ai seggi e far mancare il quorum. E Paola De Caro così scriveva sul “Corriere della Sera” del giorno dopo: “Berlusconi: il referendum è “una truffa, uno strumento della sinistra per ottenere una rivincita sul Polo, un male per il Paese” […]. Ha un bell’offendersi Martino, schierato per il sì al referendum, che non ha nemmeno il tempo di svolgere il suo intervento perché il voto sulle mozioni arriva prima: “Che parlo a fare? Me ne vado”, protesta […]. Quasi nessuno tra gli azzurri che salgono sul palco si esime dallo sperticarsi in elogi al leader, e il leader stesso – seduto in prima fila ad ascoltarli tutti – è impotente, costretto ad annuire. Alla fine però, dopo l’ennesimo “grazie Silvio, sei fantastico”, dopo che don Gianni Baget Bozzo – uno che di cose sacre si intende – gli attribuisce il potere di fare “miracoli” […], perfino Berlusconi ne ha abbastanza [?]. “Vi prego – implora il Cavaliere – di non incorrere in atteggiamenti che io so sentiti e di affetto verso chi come me si prende tante responsabilità sulle spalle” [?] Ma “vi prego veramente di evitarli, perché per me è difficile restare lì”. E perché bisogna dimostrare “ad occhi non benevoli” di essere “quel partito che siamo: un partito di vera e larga democrazia”. Facile a dirsi. Il fatto è che, agli azzurri, andare d’accordo con Berlusconi viene naturale.
Ironizza Antonio Martino: “Una volta che lui ha dato la linea, la condotta di tutti diventa quella. Se io proponessi una mozione per dire che oggi è venerdì, voterebbero no se avessero l’impressione che può dare fastidio al leader”.
Ora, con il partito unico della destra, non più soltanto i Baget Bozzo e i Martino dovrebbero dire, di venerdì, che non è venerdì, ma anche Fini e Follini. E’ vero che in più occasioni, per esempio nelle votazioni sulle leggi su misura per il premier e i suoi amici, i loro ministri e deputati si sono comportati da camerieri, ma, almeno formalmente, Fini e Follini restavano alla testa di partiti indipendenti da Forza Italia. Ora i più improvvidi tra i consiglieri di Berlusconi hanno convinto il loro capo a pretendere da Fini e Follini che vestano l’uniforme del PdL (anche il nome nuovo è stato suggerito: Partito della libertà) e ci scrivano sopra: “cameriere” (altro che “partito di vera e larga democrazia”!). Giacché questo significa l’aver minacciato: chi non entra, andrà da solo alle elezioni, e: se non si fa il partito unico, non mi ricandiderò. E intanto sui quattro “no” di Ciampi alla riforma dell’ordinamento giudiziario del ministro Castelli, silenzio totale del premier. E inoltre un’altra tegola è caduta, quanto mai imprevedibile, sulla testa del nostro “amico di George” e della sua guerra. Il nuovo papa ha rivelato di avere scelto il nome di Benedetto anzitutto in onore di Benedetto XV, il grande pontefice che nel 1917 definì la guerra imperialistica ’14-’18 una “inutile strage”.
Siamo alla svolta bonapartista del Berlusconi. Accetteranno Fini e Follini di divenire i Talleyrand e i Fouché del novello Napoleone? Che direbbe il popolo nazionalista e patriottico di An della sottomissione di Fini al separatismo padano di Bossi eTremonti? E che direbbe il cardinale Ruini della sottomissione del cattolico Follini al divorziato Berlusconi? Sarà interessante seguire i lavori del Congresso dell’Udc previsto per giugno. Se Follini capitolerà, altri milioni di voti moderati lasceranno il centrodestra divenuto dittatura napoleonica. Se non capitolerà, Berlusconi non si presenterà candidato a succedere a sé stesso.
Per questo io dico: sia benedetto il Signore.
di Alessandro Roveri Professore di Storia contemporanea all’Università di Ferrara