– Appartiene alla categoria di coloro che di fronte ad un privilegio e ad una imposizione dicono: “Preferirei di no”. Come i 12 professori universitari (su 1.200) che nel 1932 si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. Ha progettato la nuova darsena di Rimini e vinto, con Natalini, la ricostruzione del teatro Galli, distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale ed ancora di più dalla fame di mattoni dei riminesi ed ancora in attesa di attenzioni. Per gli amici progetta, con tanto di plastico, gratuitamente. Insomma, spirito dell’adolescente e fare da adulto. I soldi non sono tutto nella vita.
All’architetto Marino Bonizzato il Comune di Misano gli dà un incarico. Pochi mesi dopo, in quota socialista, diventa presidente del Circondario di Rimini (l’attuale Provincia). Rimette il mandato: incompatibile con una certa politica.
Bonizzato è di origine veronese. Il babbo, ingegnere, passione per la pittura, giunse a Rimini nel dopoguerra come direttore della Timo (quella che oggi è la Telecom). La madre, origine fiorentina, è la sorella di una delle donne più belle d’Italia del secolo scorso: Clara Calamai, professione attrice. La bellezza, insieme alla felicità, sarà uno dei fili conduttori della sua idea di progettazione.
Perché ha scelto di fare architettura?
“Forse perché ai miei tempi era un’autentica novità. Sono stato il secondo riminese a frequentare la facoltà. La mia scelta fu dettata quindi da pura curiosità. Scolpivo, l’arte era un piacere. Mio padre e lo scultore Elio Morri avevano acceso in me questa passione ? La facoltà allora era molto dura e ti metteva in crisi per i tanti temi che affrontava: ti slargava il cervello. Lì svolsi anche attività politica. Nel ’62 occupammo addirittura il Rettorato. Contestavamo un rigido modo di fare università da parte di alcuni professori: negavano fantasia e creatività. Molto prima del ’68, fui il primo a dare un esame e a fare la tesi in gruppo e non certo per faticare meno!”.
Cosa occorre fare per essere architetto?
“La stessa cosa che credo dovrebbe fare qualsiasi individuo per svolgere l’attività che ha scelto. Mantenere attivo e presente lo spirito senza età che brilla in ognuno di noi e che la vita tenta sempre di schermare, oscurare. Se nel compiere il tuo lavoro riesci a comporre armonicamente questa libertà di spirito con la realtà che ti circonda, puoi realizzare cose belle e felici sia per te che per gli altri”.
Cosa intende per felicità?
“La felicità è l’obiettivo cui tutti tendiamo. Ma la felicità, prima di essere un fatto individuale è un fatto sociale. Se la realtà nella quale vivi non è felice, neanche tu puoi essere felice. Questo è il tema della Città migliore al quale tutti dovrebbero applicarsi, al limite, proprio per un elementare interesse personale. L’architetto su questo tema ha grosse responsabilità, perché il suo lavoro incide molto sul contesto ambientale, territoriale, sociale. Tutti i progetti che riguardano la Città dovrebbero puntare ad un suo futuro migliore. Ma per far questo non bastano bravi tecnici; occorre anche che la Politica metta a fuoco un idea forte e condivisa di Città futura, capace di orientare l’azione di tutti e quindi anche dell’architetto”.
Un esempio?
“Il progetto per il Teatro Galli venne orientato da un’idea forte di Rimini futura sintetizzabile in tre punti. La volontà di ricomporre l’identità della Città (dissociata tra inverno ed estate), ci portò a progettare un organismo bifronte capace di rappresentare, da una parte i caratteri della comunità residente (sala tradizionale), dall’altra le esigenze della popolazione turistica (grande platea all’aperto). La volontà di potenziare l’immagine ed i servizi di una Rimini capitale europea degli incontri, portò ad una struttura tecnologicamente molto evoluta. La volontà di salvaguardare memoria e spirito della Città determinò un organismo rispettoso di quanto rimasto e profondamente radicato, anche figurativamente, nel passato”.
Perché allora non si realizza il vostro progetto?
“Oggi, non essendoci purtroppo un’idea forte di Rimini futura, si vanno a ripescare idee ed immagini che appartengono alla Città passata. Ecco come si spiega il tentativo di accantonare il nostro progetto e l’infelice idea di ricostruire il Teatro “com’era dov’era”.
In cosa si distingue un’architettura radicata del passato e proiettata nel futuro?
“Un’architettura non è un vestito, che confezioni secondo la moda corrente e metti addosso a un luogo, ma un “figlio” che concepisci con quel luogo, attraverso un rapporto intimo, delicato, appassionato, rispettandone sempre identità, carattere, vocazioni e potenzialità. Una buona architettura si distingue dal fatto che dovrebbe avere sia il tuo DNA che quello della storia, della realtà e delle prospettive della Città con cui ti stai rapportando. Lo spirito oppure, come dicevano i romani, il genio di un luogo o di una Città è sempre vivo e capace, come dicevo prima, di far “figli”. Purtroppo a volte alcuni loro figli muoiono, nel caso del Galli, causa dopoguerra. Cercare di riportarli in vita con fantocci che gli assomiglino, vuol dire negare l’essenza vitale della Città e la sua capacità di generare nuovi “figli”. Significa praticare cultura di morte, in spregio alla Città”.
Ha fatto politica, come viene gestito oggi il potere?
“La politica dovrebbe essere lo strumento necessario per realizzare un’idea di Città possibilmente migliore di quella che stiamo vivendo. Se questa idea manca, la politica è finalizzata solo alla conquista del potere ed al suo mantenimento. Allora ci si comporta da pasticceri. Si confezionano Città-dolci, torte da vendere a tranci o concedere a briciole ai cittadini, in cambio di consenso. Compito di chi governa la Città dovrebbe invece essere quello di mettere a disposizione dei Cittadini punti di riferimento capaci di orientare la loro azione e servizi utili per agevolarla al massimo. Oggi la politica è cieca o, a dir bene, miope: non ha più la capacità di vedere lontano, di immaginare il futuro”.
Quali ingredienti per il futuro?
“La bella politica, nell’immaginare la Città futura, dovrebbe contenere un grano di utopia, altrimenti si rimane più o meno dove ci si trova. Non si progredisce in nulla, anzi si rischia di restare indietro. La Città, poi, è un individuo collettivo che vive una Città più grande: il mondo. Ogni cittadino vive dunque il mondo attraverso la mediazione della propria Città. Cosa fa la mia Città per essere parte viva del mondo? Vorrei che si cercasse una risposta a questa domanda. Rimini, all’origine, fu terminale di Roma sull’Adriatico, punto di riferimento per tutte le politiche di sviluppo della capitale a nord e ad est. Oggi ha tutti i numeri (aeroporto, fiera, centro congressi ?) per tornare ad interpretare un ruolo primario di Centro internazionale per l’integrazione, il progresso e la pace di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Perché non mettere in pentola anche questo tema?”.
Più in concreto?
“Visto che abbiamo tante colonie abbandonate, perché, invece di trasformarle tutte in alberghi, uffici o appartamenti, non ne regaliamo una, per esempio, all’Unesco, per far crescere l’integrazione tra le diverse culture e dare il via a quel ruolo di cui parlavo prima? All’origine della Rimini grande centro turistico sta il fatto che i politici di allora regalarono terra sul mare ai bolognesi perché ci costruissero dei villini”.
Come legge lo sviluppo urbanistico di Rimini?
“Negli anni ottanta eravamo al vertice nazionale nella elaborazione degli strumenti di programmazione e di pianificazione territoriale. Avevamo un piano socioeconomico territoriale di prim’ordine, esteso a tutto il Circondario, ed avevamo anticipato alla grande, con il Piano Traccia di Rimini, la pianificazione strutturale che oggi è diventata legge regionale, peraltro ancora inattuata nella nostra Città. Ci stiamo ancora facendo del male con il cosiddetto Piano Benevolo. Un piano che ha messo letteralmente Rimini su di una carrozzella. Prima di rimetterla in piedi e farla tornare a camminare, non dico a correre, come potrebbe, ce ne vorrà!
Quale giudizio al cosiddetto rapporto pubblicoprivato?
“Si risolve quasi sempre solo in una operazione commerciale (io pubblico consento a te privato di realizzare un tuo progetto d’interesse personale, purché in cambio tu mi dia qualcosa di interesse comune) e non anche politica (io pubblico aiuto te privato a realizzare un tuo progetto d’interesse personale, purché questo progetto soddisfi anche un interesse comune, ovvero realizzi un pezzo della Città futura migliore che i cittadini hanno democraticamente scelta)”.
Qual è l’arte più bella?
“La Politica è sicuramente l’arte più bella, ma anche la più difficile. Si tratta di comporre in un tutto armonico architetture in continua trasformazione, usando componenti estremamente complessi e mobili, quali gli interessi, le passioni, le miserie umane… Cosa molto più difficile del comporre mattoni, ferro, cemento e cristalli!”.
“Le rotonde hanno la logica del soprammobile. E’ una volgarità che denota l’incultura. Nelle case collettive bisogna stare molto attenti: c’è che scrive sui muri e chi imbratta le rotonde. Questo mi dà noia”
di Francesco Toti