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Valconca-Valmarecchia, terre da olio

Redazione di Redazione
11 Maggio 2005
in Dalla nostra terra
Tempo di lettura : 2 minuti necessari
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La pianta dell’olivo sin dai tempi antichi viene identificata come simbolo di generosità del terreno e associata a immagini di forza e di purezza. Mai pianta fu altrettanto venerata né fu così utile per i suoi preziosi prodotti: dalle olive al legno, dall’olio alle essenze medicinali e cosmetiche. Una pianta legata non solo alla simbologia, ma considerata una specie arborea di notevole rilevanza per le economie di molte civiltà, soprattutto del bacino mediterraneo.
Il primo di tutti gli alberi
Autori greci e romani, nei loro trattati di agronomia, soffermano l’attenzione su pratiche colturali consigliate per aumentare la quantità delle olive e sui metodi di estrazione dell’olio. Lo stesso Columella, nei suoi scritti, definisce l’olivo come la più importante essenza arborea: “olea prima omnium arborum est”. Una pianta che ha trovato una sua diffusione anche nell’areale di Rimini a partire dall’età villanoviana, come viene testimoniato da una ricca documentazione storica costituita da manoscritti e da reperti ritrovati a Coriano, Covignano, Vergiano e Corpolò. Forte quindi il radicamento dell’olivo nel Riminese, coltivato prevalentemente sui rilievi collinari in coltura promiscua con altre produzioni: “terra arativa cum cespitis olivarum”.
Una realtà olivicola cui corrisponde una diffusa presenza di molini da olio nei più importanti centri rurali (Monte Colombo, Saludecio, Mondaino, Misano, Montegridolfo, Montefiore, ecc.).
La tradizione storica e culturale dell’olivicoltura ha interessato l’intero territorio riminese, come emerge dal bollettino Notizie dell’anno 1900, che riporta 105 frantoi, tutti a forza di uomini o di animali, con 127 torchi e 531 lavoranti.
Un’olivicoltura in continua fase di “ammodernamento” – grazie anche all’azione svolta anni addietro dalla Cattedra Ambulante di Agricoltura – mediante l’introduzione di tecniche colturali che riguardano i sesti di impianto, la scelta delle varietà e i sistemi di potatura.
Contemporaneamente vengono sostituiti i vecchi molini con frantoi dotati di presse più potenti e a partire dagli anni ’60 vengono introdotti i separatori centrifughi al fine di garantire attraverso una spremitura ottimale un prodotto a elevato grado di finezza. Il prodotto riminese per la sua qualità e tipicità ha meritato il riconoscimento della Dop (Denominazione di Origine Protetta) “Colline di Romagna” da parte dell’Unione Europea, grazie alla capillare assistenza fornita dall’Associazione Regionale produttori Olivicoli (A.R.P.O.) e dall’amministrazione provinciale di Rimini, mediante specifici piani di intervento diretti a migliorare la qualità e la tipicità della produzione oleicola.
Le radici della tipicità
Il patrimonio varietale trova un proprio habitat naturale nella Valle del Marecchia e nelle colline del Conca, che rappresentano un’inestimabile fonte di produzione di olio di oliva limitata nella quantità, ma caratterizzata da proprietà organolettiche uniche che sono proprie delle cultivar locali.
La scelta delle varietà riveste un ruolo determinante sulle caratteristiche fisiche dei frutti (dimensioni, rapporto polpa-nocciolo, ecc.), sul processo di inolizione e sulla composizione chimica dell’olio (composizione acidica, rapporto fra le varie componenti della frazione lipidica, contenuto in polifenoli, vitamine e sostanze volatili).
Le maggiori differenze si riscontrano per l’acido oleico e linoleico, con sensibili variazioni nel rapporto tra acidi saturi e insaturi.
La scelta di varietà autoctone selezionate e certificate esalta, quindi, unitamente ai fattori pedoclimatici, le caratteristiche di tipicità che un olio può presentare, evidenziando peculiarità che contraddistinguono la produzione di una determinata area olivicola rispetto a un’altra.
I programmi di valorizzazione della produzione oleicola locale hanno rivolto particolare attenzione alle varietà autoctone diffuse soprattutto nella provincia di Rimini, garantendo una loro presenza per almeno il 60-70% nei nuovi impianti.

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