Il no ai pacs è accompagnato da un appello allarmato contro le unioni gay: “Si vuole addirittura giungere -ha aggiunto il Papa- a una nuova definizione del matrimonio per legalizzare le unioni omosessuali”. Infine, un segno dell’indebolimento della famiglia: “Va crescendo purtroppo il numero delle separazioni e dei divorzi, che rompono l’unità familiare e creano non pochi problemi ai figli, vittime innocenti di tali situazioni” [?]. Dal centro-destra Luca Volonté (Udc) se la prende con il leader dell’Unione: “Stupisce l’intolleranza verso il Papa e il fastidioso silenzio di Prodi. L’ignavia di Prodi non può proseguire”. Analoghe le dichiarazioni del leghista Calderoli e di Gasparri di An riportate lo stesso giorno dalla stampa quotidiana.
Queste notizie meritano qualche riflessione. Giova partire dall’aumento, in Italia, delle separazioni e dei divorzi lamentato dal papa, del quale nessuno potrebbe non condividere la denuncia delle sofferenze dei figli e la loro definizione quali “vittime innocenti di tali situazioni”. Questo è, indirettamente, un appello ai genitori, rivolto con trepidazione e anch’esso sacrosanto. Come se il papa avesse esclamato: “anteponete i vostri doveri di genitori ai vostri interessi sentimentali”.
Di tutt’altro genere appare però la preoccupazione del pontefice per il danno che dal riconoscimento di alcuni (sottolineo alcuni) diritti delle unioni di fatto deriverebbe per il matrimonio tradizionale, giacché: 1) non risulta che il 1.500.000 di conviventi attuali abbiano deciso di rifiutare il matrimonio in vista di una sperata legge sui pacs: l’hanno fatto, e basta; 2) non è detto che dall’eventuale riconoscimento legislativo di alcuni diritti, già avvenuto nei principali paesi europei (tra cui la cattolicissima Spagna), derivino, come conseguenza, nuove unioni di fatto. Io credo che sul rifiuto del matrimonio influisca molto di più, per dirne una, l’impossibilità, per molti giovani, di scommettere sul loro futuro, e ciò a causa del carattere precario del loro lavoro “a tempo determinato”. A questo riguardo sarebbe auspicabile che il pontefice, dal momento che egli si rivolge ai politici e ai legislatori, si pronunciasse anche contro il lavoro precario, a costo magari di essere accusato di simpatizzare per il programma di Prodi, contenente tale impegno.
Tanto più che al pericolo di essere accusato di simpatizzare per Lega Nord, Udc di Casini, Alleanza nazionale e Forza Italia, il papa si è esposto con le dichiarazioni del 13 maggio, subito utilizzate dal finiano Gasparri, dal leghista Calderoli e dal cattolico integralista Volonté dell’Udc. Un colpo al cerchio e un colpo alla botte, insomma, direbbero molti. Ma la Chiesa non ha nulla da guadagnare dall’essere strumentalizzabile da parte di uno soltanto dei due schieramenti in cui è divisa la scena politica: quello che è pronto a cavalcare l’ostracismo dato dal papa ai pacs.
Non pago dell’appello del 13 maggio, nel giro di pochi giorni il papa è tornato altre due volte sull’argomento, tanto che il “Corriere della Sera” del 21 maggio titolava: Pacs, terzo affondo in dieci giorni durante l’udienza con l’ambasciatore spagnolo, e l’insigne storico cattolico Alberto Melloni, membro della Fondazione per le Scienze religiose di Bologna fondata da Giuseppe Dossetti e diretta da Giuseppe Alberigo, ricordava al papa nella stessa pagina: “quando De Gasperi rifiutò il consiglio di Pio XII di “sdoganare” l’ Msi per salvare il Comune di Roma, mandò a dire al papa: “Se non vado bene, trovatevi un altro”: non era spocchia o calcolo, ma la convinzione che la politica aveva bisogno di cristiani che mostrassero nel concreto l’inviolabilità della coscienza che la Chiesa insegna”. Il fatto era accaduto nell’aprile 1952. E quando la figlia di De Gasperi si fece suora, Pio XII si rifiutò di ricevere l’allora presidente del consiglio De Gasperi.
di Alessandro Roveri Professore di
Storia contemporanea all’Università di Ferarara