– “Cavolo! Bella! Facciamola raccontare!”. In questa telefonata c’è il pensiero di Stefano Tamburini, nuovo direttore del Corriere Romagna. Quotidiano oggetto di un’autentica rivoluzione: nuovo editore (Gruppo Espresso-Repubblica), nuovo direttore, ma stessi ragazzi in redazione. E ancora: una nuova grafica. La “svolta” c’è stata lo scorso ottobre. Il timone di comando è passato da Patrizia Lanzetti (rimasta come vicedirettore) a Tamburini, toscano di Piombino. Quarantacinque anni, sposato, due figli, è diventato giornalista per puro caso. Stava studiando biologia, giovane marciatore tra i primi 10 in Italia, si infortuna, un amico nel giro dei giornali lo convince a seguire lo sport per la sua società sportiva. Ricorda: “In quei sei mesi scopro il lato piacevole della professione. Poi abbastanza presto giunge il primo contratto; alla fine l’ingranaggio era partito. Ho capito la bellezza di raccontare agli altri le cose che non possono vedere, o spiegare meglio le cose viste”.
Come si trova a Rimini?
“Bene. Vengo da una città di mare e dove c’è il mare si sta sempre meglio di dove non c’è. Ho trovato una mentalità molto aperta, dove si fa del turismo c’è della predisposizione verso chi non è nato nello stesso posto. Non sono mai venuto in vacanza qui perché sono di Piombino. Dunque, Rimini e le altre località di mare sono fuori dai pensieri estivi”.
Chi è il giornalista?
“Un testimone e non un protagonista; potrebbe sembrare una frase fatta ma è un proposito che in tanti dimenticano. Non dare ai lettori un fatto preconfezionato, separando le opinioni dal racconto”.
Quali sono i suoi hobby?
“In questa fase lavoro dalla mattina alla sera, senza riposo. Nel tempo libero torno e casa e mi isolo dal resto. Sono un amante della buona tavola, del mare e dell’Inter, una passione che tempra il carattere, grazie al fatto che si vince poco”.
Nella sua vita, chi sono i giornalisti che hanno contato di più?
“Tantissimi. Nella maggior parte dei casi ci ho lavorato insieme e sono sconosciuti al grande pubblico. Ho trovato colleghi che mi hanno insegnato cose che non sapevano fare: in un giornale il mestiere va rubato. Ho avuto la fortuna quando i giornali si facevano con mezzi molto artigianali; quindi la corsa a trovare nel pentolone delle notizie un elemento in più: una foto, un aneddoto. Se devo fare un nome conosciuto, mi piace dire Gian Antonio Stella. Ogni volta che scopre una notizia, la racconta con la capacità di non farsi né amici, né nemici e attacca sempre qualcuno”.
Come definirebbe il suo carattere?
“Un coriaceo: né cerbero, né vecchia zia. Non mollo l’osso fino a quando ho una possibilità minima. Con i colleghi cerco di non far differenze: senza figli e senza figliastri. Quello che chiedo non è una mia fissazione, ma raccontare quello che i lettori cercano il giorno dopo. Poi non bisogna accontentarsi di essere critici con se stessi; ogni giorno trovo degli errori nel mio giornale. La formazione non si chiude oggi: al tempo stesso si lavora e studia. Le due cose si integrano in ogni giornale”.
Difetti?
“Tantissimi. Quello che reputo pregi, per chi sta dall’altra parte sono difetti. Tale atteggiamento verso il lavoro è sempre stato lo stesso. In qualche occasione, sono un pizzico permaloso”.
Pregi e difetti di questa provincia?
“Ospitale, mentalità aperta, la capacità di capire prima di altri dove va il turismo. Credo che di difetti ce ne siano, solo che non ho avuto il tempo di individuarli. Non esiste una terra dove va tutto bene e c’è sempre il bisogno di capire cosa non va. Vedo una certa insofferenza verso chi sta peggio, tipo i venditori ambulanti. Costoro tendono a vendere loro qualcosa e magari gli hanno affittato l’uso dell’appartamento in nero al doppio del mercato. Atteggiamento non solo di questa terra”.