– Se è vero che l’imprenditoria riminese il meglio lo esprime nei momenti di difficoltà, lo si saprà nei prossimi anni. Sia pur in mezzo alla transizione e a molti dubbi sul futuro, chi fa impresa aveva tre possibilità davanti a sé: chiudere, vendere, o rimboccarsi le maniche. Gli imprenditori della provincia di Rimini forse hanno scelto la terza strada, la più difficile: innovazione, nuovi mercati, nuove sfide. E anche uno spirito ottimista. Seppur nel “travaglio” della concorrenza nei primi sei del 2006, l’export ha fatto segnare un sorprendente 16 per cento. L’indicatore economico è arrivato attraverso un’indagine svolta da Confindustria Rimini, in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Rimini. Inizio con precisione teutonica (abitudine rara a Rimini), così sono stati commentati i numeri: “Un avanzato stadio di internazionalizzazione dell’attività delle imprese riminesi, caratterizzata dall’apertura ai mercati esteri sul fronte della commercializzazione dei prodotti realizzati e dell’approvvigionamento dei fattori produttivi”.
Adriano Aureli
Adriano Aureli, presidente di Confindustria Rimini, padrone di casa, uno dei titolari dell’Scm, dopo la Ferretti Craft la seconda azienda industriale della provincia: “Stiamo uscendo dalle acque secche. La prova forte è il fatto che in cinque anni le nostre imprese esportatrici siano raddoppiate: da 40 a 90 unità. Soprattutto si stanno globalizzando. Mio padre nel ’57, mi diceva che dovevamo imparare le lingue perché L’Euroa era il nostro mercato, ora, il mercato si è allargato al mondo. Molti hanno utilizzato la leva dell’export per innovare. Come Scm abbiamo in corso ben nove progetti di ricerca. E come Confindustria faccimo missioni in India, Cina”.
Alla presentazione della fotografia semestrale era presente anche Maurizio Temeroli, segretario della Camera di Commercio di Rimini. Due le sue riflessioni, sui punti deboli della struttura imprenditoriale. Riflette: “Le nostre difficoltà nascono dal fatto che le piccole imprese hanno più difficoltà ad interzionalizzarsi, ad innovarsi. Spesso è un ostacolo anche la lingua. Dunque, vanno aiutate a confrontarsi con i competitori internazionali. Per irrobustirsi, stanno avvenendo fenomeni di aggregazione delle imprese. Ad esempio, si dotano di un manager per il commercio estero. Come Camera di Commercio abbiamo approntato degli uffici all’estero, presso i quali è possibile rivolgersi. Inoltre, gli imprenditori vanno accompagnati col credito e con missioni”.
Export: Francia
Il primo cliente dei manufatti rinminesi nel primo semestre 2006 è la Francia. Ha acquistato beni e servizi per 82,7 milioni di euro, contro i 65,2 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Trend positivo anche verso la Spagna e la Germania: rispettivamente più 10 e più 7 milioni di euro. Non male i rapporti con il Regno Unito: più 12 milioni di euro.
Import: Russia
Se l’export va bene, le importazioni anche. Sono aumentate più del 30 per cento. Nei primi sei mesi del 2006 hanno toccato quota 298,5 milioni di euro; erano 191,3 l’anno precedente. La nazione estera che ha messo a segno la prestazione migliore è stata la Russia: da poco meno di 10 milioni di euro, a oltre 50
Secondo l’Istat (Istituto nazionale di statistica), a fine anno la voce export crescerà del 16 per cento. Ma come leggere questo trend? E’ l’Europa (Germania in testa) che ha ripreso a tirare, oppure è farina derl sacco del dinamismo riminese?
Alberto Brighi
Alberto Brighi, presidente dell’Api (Associazione della piccola e media industria), stampati plastici: “Penso che sia il frutto nostrano. L’imprenditore riminese è vivace; vivacità che si tramuta in risultati positivi. I dati sono confortanti e credo che la Germania c’entri poco. Seppur piano piano l’economia globale ci coinvole, c’è l’interesse per nuovi mercati, a nuove opportunità, a misurarsi col mondo. Se saremo bravi la minacca diventerà un’opportunità. Il punto debole della nostra struttura imprenditoriale sono le micro-imprese”.
Marco Celli
Marco Celli, presidente di Cna Piccola Industria della provincia di Rimini, impianti di spillatura: “Negli imprenditori riminesi c’è l’euforia della reazione che si avverte a pelle. Al di là di chi governi, l’imprenditore purosangue ha visto che a livello politico in pochi riescono ad aiutare l’impresa, dunque bisogna assolutamente far da soli. Più che al riavvio della locomotiva tedesca, credo che i buoni risultati del primo semestre siano il frutto del nostro lavoro. Con la Germania ancora ferma, siamo andati con le bisacce in spalla in altri paesi: Russia ed ex repubbliche dell’Unione Sovietica. Siamo arrivati a Mosca e ci siamo accorti del Kazakistan. Da questi mercati nei prossimi anni dovremmo avere belle soddisfazioni. Nei viaggi all’estero ho incontrato molti imprenditori italiani: decisi e motivati. Ma più che dalla ripresa, vedo stimolo, voglia di impegnarsi affinché si possa invertire il trend. E’ un momento di transizione in cui regna l’ottimismo”.
Aureli, Confindustria: “Nel ’57 mio padre mi diceva che l’Europa era il nostro mercato; oggi lo è il mondo. In 5 anni le nostre imprese esportatrici sono raddoppiate, da 45 a 90”
Brighi, Api: “Frutto della vivacità dell’imprenditoria nostrana. Credo che la ripresa tedesca c’entri poco. Se saremo bravi la minaccia diventerà un’opportunità”
Marco Celli, Cna Piccola Industria: “E’ un momento di transizione ma c’è dell’ottimismo. Abbiamo scoperto la Russia e le ex repubbliche dell’Unione Sovietica”
NUMERI
Ricerca e innovazione ultimi in Europa ma la colpa è dell’impresa privata
– L’Italia è l’ultima in Europa per ricerca e innovazione. Vi dedica solo l’1,1 per cento del Pil (Prodotto interno lordo), contro l’1,8 dell’Europa. Il fanalino di coda non è dovuto allo Stato ma ai privati. Infatti, l’Italia partecipa con lo 0,8 del Pil e le altre nazioni europee più avanzate con lo 0,9. La differenza la fa l’imprenditoria privata: Italia solo lo 0,3, l’Europa lo 0,9. L’obiettivo comunitario è raggiungere il tre per cento. L’Italia è prima nell’arte di arrangiarsi, grazie al design e alle capacità artigianali.
“Ascoltate” 115 aziende
– Il sondaggio effettuato dalla Confindustria, in collaborazione con la Carim, ha coinvolto 115 aziende delle 439 associate. Delle 115 imprese, 95 hanno rapporti con l’estero. Nel 2005 erano 66, ben 29 in più. Quattro i settori coinvolti: meccanico (l’88% del fatturato complessivo), tessile (il 94% del fatturato), agroalimentare (68% del fatturato) e Legno (36% del fatturato)
682 – Valore delle merci in milioni di euro esportate nei primi sei mesi del 2006
– Vola l’export provinciale nei primi sei mesi di quest’anno. Sono stati raggiunti i 682 milioni di euro, contro i 547 dell’anno precedente; in percentuale signfica un più 24,8 per cento. A parere degli analisti dell’Istat (Istituto nazionale di statistica) per l’anno 2006, l’incremento delle esportazioni dovrebbe assestarsi al 15,8 per cento. Nel 2005, complessivamente, le aziende riminesi hanno esportato merci per 1.180 milioni di euro. Il balzo in avanti è il secondo dell’Emilia Romagna, dopo il 25,3 di Piacenza.
La provincia di Rimini è l’ultima dell’Emilia Romagna per quanto riguardo l’export. La speciale classifica dei primi 6 mesi del 2006: Modena (4,8 miliardi di euro), Bologna (4,5), Reggio Emilia (3,5), Parma (1,8), Forlì-Cesena (1,2), Ravenna (1,2), Ferrara (1), Piacenza (910 milioni di euro).
FUTURO
Export, gli ostacoli
– Dall’indagine di Confindustria, gli ostacoli maggiori degli imprenditori riminesi sono 5: conoscenze (difficile individuare i partner stranieri, poche informazioni); dimensioni piccole (personale inadeguato, carenze organizzative e finanziarie), finanziari (insufficienti le assicurazioni, le strutture di supporto), strutture e servizi (complessità burocratiche, trasporti e logistica), socio-economici (preferenza per i prodotti nazionali, differenze linguistiche, culturali e religiose).
Temeroli, Camera di Commercio: “Le nostre piccole imprese hanno più difficoltà ad innovare e ad internazionalizzarsi”.
CURIOSITA’
Ceramica, da San Giovanni a Mosca
Imprenditore russo, con negozi di alta moda con griffe italiane, apre ristorante “Fellini” e acquista le ceramiche in provincia di Rimini
– Un russo che apre un ristorante italiano di 450 metri quadrati a Nizhniy Novgorod, una della maggiori città della Russia e lo chiama “Fellini”. E che viene ad acquistare le mattonelle al Centro della Ceramica di San Giovanni in Marignano, provincia di Rimini, Italia.
Tutto è avvenuto per caso e che dà il segnale della vitalità positiva di questa provincia. La commessa è giunta attraverso il signor Gennadi, un russo che attraverso una società di import-export lavora con le due nazioni. Il Centro della Ceramica fornisce a Gennadi i materiali per la sua casa moscovita. Il signor Polliakov, titolare di negozi di moda con griffe italiane, committente del ristorante, vede l’abitazione di Gennadi e si innamora delle piastrelle, belle, all’avanguardia. Non appena capita a Milano per lavoro, Polliakov scende a San Giovanni in Marignano per vedere di persona i materiali in mostra in Romagna. Scatta l’ordine. In novembre Loris Casalboni, insieme al fratello Euro, titolare del Centro della Ceramica, in novembre va in Russia e vi resta 4 giorni. Afferma: “Nel nostro show room si possono toccare i materiali più belli: prodotti: innovativi, particolari, di design, oggetti di recupero, materia uniche come il coccio pesto. Oltre, ai materiali abbiamo fornito al cliente anche la consulenza tecnica. Per noi è stata una commessa importante di cui andare fieri. Più che i materiali italiani, abbiamo esportato il nostro gusto, l’attenzione per il dettaglio: il nostro genius loci. Dopo il ristorante, dovremmo arredare anche la nuova casa del signor Polliakov”.
“Abbiamo chiesto – continua Casalboni – di aprire nel locale un piccolo show room con i nostri prodotti”. Questa commessa estera non è la prima del Centro della Ceramica. Hanno esportato mattonelle in Dubai, Costa Azzurra, Monaco, Romania”
“Anche i cinesi vogliono il Made in Italy
Antonio Screpis esporta il 90 per cento dei
capi. Impiega direttamente 30 persone
Modellista, impiega direttamente 30 persone. Per lui, produzione esterna, lavorano 200 addetti. Ha scelto i capispalla (pezzi difficili dell’abbigliamento). Morcianese di origine siciliana, ha iniziato alla Fuzzi. Poi Aeffe, Ittierre, Calvin Klein. Infine, in proprio. Ha una linea: Antonio Croce. La telefonata dalla Cina
L’AZIENDA
– La tecnica. La sensibilità. L’umiltà. Sono le chiavi che hanno permesso ad Antonio Screpis di divertirsi e affermare se stesso nella moda. Morcianese di origine siciliana (i genitori da Enna giunsero in Romagna negli anni ’60), ha fondato la sua azienda 6 anni fa; da allora, il fatturato è cresciuto del 100 per cento ogni anno. Impiega direttamente 30 persone, all’esterno lavorano 200 addetti. Esporta il 90 per cento della produzione. Presta le sue abilità di modellista e le capacità organizzative ad uno stilista francese, un marchio (brand) inglese conosciuto anche nelle steppe più sperdute e ad una bella griffe di Torino. Ha anche una propria linea, Antonio Croce, ma non ci conta: “Ognuno deve far bene le cose che sa fare. E io so fare stare i capi difficili dritti, a piombo: cappotti, giacche, giubbotti. Le camice le sanno fare tutti”.
La vita lavorativa del morcianese che abita a Saludecio è un susseguirsi di svolte, azioni, maestri, difficoltà, successi, nuovi impieghi, ma sempre meno retribuiti. Uno dei tanti passaggi stretti è negli anni ’80. Fa il magazziniere-coordinatore in una stireria a Morciano. Porta a casa 3 milioni al mese, ma accetta il lavoro da modellista alla Fuzzi a 900.000 mila, a San Giovanni in Marignano. Lavorare il più possibile, non guardare agli straordinari, interessato sempre al meglio, passione, dopo 6 mesi arriva l’aumento di stipendio e la gestione della linea Fuzzi Donna. Ricorda: “Sono sempre alla ricerca di fare bene, a come semplificare il sistema e sempre su basi tecniche”. Un giorno alla Fuzzi chiamano un consulente per le giacche. E’ di origine siciliana, come Screpis. “Da questa persona – dice Screpis – ricevo l’uovo di colombo del mio lavoro. Il concetto base è la quadratura. Affinché i vestiti cadano a piombo ogni cosa deve essere in squadro, precisa, un po’ come una casa. Quella linea tecnica l’ho sempre mantenuta e migliorata negli anni”.
Dopo la Fuzzi, si sposta di pochi centinaia di metri per fare il modellista alla corte di Alberta Ferretti. Da qui lo chiamano all’Ittierre di Isernia, un colosso nell’abbigliamento firmato. La moglie lo dissuade. “Man mano che passano i mesi – rammenta Screpis – cresce in me il rammarico per non aver fatto la scelta, anche se non c’era l’aumento di stipendio. Dopo sei mesi ritorno sui miei passi: sono in Molise”.
Un’altra data-svolta è il ’98; abbandona il lavoro fisso per mettersi in proprio: consulente modellista. Periodo magro. Inizia a proporsi in lungo e in largo per l’Italia. Attraverso un amico va in Veneto, alla Calvin Klein. “Capisco che c’è un problema di modellismo e controllo. Sono spesso a New York, dalla casa madre, per risolvere le sbavature”. Screpis “aggiusta” i capi e si conquista la fiducia degli stilisti. L’azienda italiana chiude ma Calvin Klein si rivolge direttamente a Screpis: “Ci aiuti a portare avanti i nostri progetti”.
Sei anni fa apre Aesse (acronimo di Antonio Screpis) Projects a casa, a Milano, in 20 metri quadrati. Poi, sempre con sede a Milano, è un crescendo inarrestabile: 120, 400, fino a 700 metri quadrati. C’era la necessità di mettere radici solide, in spazi adeguati. I coniugi Screpis cercano un posto vicino al mare, la passione: Lago di Como, Toscana. Poi decidono di ritornare a casa: Cattolica, zona artigianale, dallo scorso febbraio. Dalla Lombardia lo hanno seguito in tre.
“Chi fa davvero Made in Italy – riflette Screpis – è sovraccarico di lavoro. Anche i cinesi vanno pazzi per i nostri capi. Noi dobbiamo soltanto cercare di fare le cose al meglio. Sicuramente se stiamo nel segmento basso, siamo destinati a soccombere. Il nostro posizionamento deve essere verso l’alto. Nel mondo si è disposti a spendere molto per i capi italiani; mentre il cinese lo si vuol acquistare a 10 euro”.
Antonio Screpis è nato in mezzo alle maglie e ai tessuti. Dopo vari lavori, i genitori aprono una maglieria. A 14 anni, il giovane Screpis chiede ad una sarta vicina di casa di aiutarla. Un giorno nel laboratorio familiare giunge un signore per conto della Callegari di Rimini, scuole di modelliste. E propone il corso. Chiede Antonio al genitore: “Chi me lo paga?”. “Vai a lavorare e ti paghi la scuola!”. Trova lavoro come metalmeccanico da Tasini, a Casarola. La sera è a Rimini sui banchi. Così per tre anni.
In novembre, un imprenditore cinese che parla perfettamente l’italiano, 3.000 dipendente, gli ha proposto una collaborazione: lavoro cinese e “progettazione” italiana. “Ma noi abbiamo il Made in Italy”.