– Ho sempre pensato che compito della scuola sia quello di affiancare i genitori primi e principali educatori dei loro figli nel non facile compito di aiutare i giovani a sviluppare una ricca e solida personalità, attraverso la formazione intellettuale, umana e spirituale.
La scuola è un’importante protagonista di tutto il percorso educativo che i giovani devono compiere. E’ nella scuola che si devono trovare “maestri” che insegnino ad apprendere al meglio ogni disciplina, e che, nello stesso tempo, si preoccupino di fare crescere persone capaci di domandare, di cogliere e di rapportarsi con il senso profondo e il valore che hanno le persone e le cose.
Educare è senz’altro una questione decisiva nella vita personale e sociale di tutti noi ed è perciò una responsabilità di tutti. In primo luogo, come appena detto, dei genitori, poi della Scuola e delle Istituzioni nel loro complesso ivi compresa la Chiesa.
Perché anche la Chiesa? Perché è dalla formazione religiosa che i giovani ricavano le risposte alle domande fondamentali riguardanti l’esistenza e il senso della vita: chi sono? Da dove vengo? Che cosa devo fare qui? Dove andrò? Sono tutte domande ineludibili alle quali occorre cercare di dare una risposta per affrontare “attrezzati” la vita di tutti i giorni, sia da giovani che da adulti.
Veniamo ora alla nostra Scuola.
Mi pare che ci fosse una unanime richiesta di una riforma radicale e organica visto che, dal 1962, istituzione della Scuola Media Unica e abolizione degli Avviamenti Professionali – Commerciale e Industriale -, aveva solo subito rimaneggiamenti e interventi parziali e saltuari, non sempre produttivi di risultati positivi.
Due interventi in particolare : 1) l’abolizione del voto di condotta, con il relativo abbassamento della “qualità” dello stare in classe e con gli altri, 2) l’eliminazione del rinvio a settembre, con la contestuale istituzione e la successiva cattiva applicazione, del meccanismo dei “debiti formativi” che, anche se restano sempre “debiti non pagati “, consentono comunque di andare avanti.
La Riforma Moratti, dopo molto tempo, si propone invece di aggiornare, modernizzare e rendere attuale il nostro sistema scolastico che, nel frattempo, come tutti sanno, era finito agli ultimi posti nelle graduatorie europee per livello di preparazione degli studenti.
La riforma riporta lo studente in primo piano, gli presta la dovuta attenzione e cura, dà ai genitori il diritto di collaborare con gli insegnanti nella scelta di attività alternative e aggiuntive, ridà al voto di condotta il suo giusto posto (a scuola si impara anche ad essere cittadini corretti e rispettosi delle persone che ci stanno attorno e delle cose altrui, comprese quelle pubbliche).
Non è classista, come qualcuno la definisce, e non divide per classi o per censo i ragazzi, facendoli optare a 14 anni, cioè dopo la terza media, (oggi secondaria di primo grado) per un Liceo o per una Scuola Professionale.
Per chi ha un po’ di dimestichezza di quello che pensano e vogliono i giovani sa benissimo che ci sono ragazzi/e che chiaramente sanno, desiderano e vogliono andare avanti negli studi, come è vero che ci sono contemporaneamente altri che hanno idee, progetti, obiettivi e aspirazioni diverse.
Il censo non c’entra, c’entrano invece la predisposizione, le idee, i desideri, la voglia di fare questo piuttosto che quello dei singoli protagonisti, in quel preciso momento.
Se uno decide per un Liceo sa che lo attende un percorso piuttosto lungo e impegnativo di studio.
Se uno desidera invece iniziare a cimentarsi con il mondo del lavoro, perché i libri non sono la sua passione o il suo forte, opta per la scelta di una Scuola Professionale.
Le idee, i desideri , le sensazioni, gli obiettivi, però, possono cambiare; quello che si pensava a 14 anni può essere diverso da quello che si pensa a 17, 18, ecc. Bene.
La decisione presa a suo tempo, può essere cambiata in qualsiasi momento; attraverso un esame opportuno, si può passare da una Scuola ad un’altra. Dov’è il classismo? Dove sono le catene di una scelta prematura?
Come si fa a dire che chi decide di frequentare un Istituto Professionale: “è figlio di un dio minore, per figli socialmente meno importanti, e che è scarsa considerazione dei tempi psicologici”?
E, poche righe dopo, aggiungere che: “non ci piace l’anticipo scolastico che toglie spazio al gioco attraverso cui si cresce?.”.
Qui i tempi psicologici non sono altrettanto importanti?
Ci può essere un bambino già pronto per la scuola elementare qualche mese prima del compimento dei 6 anni? O in questo caso la maturazione è a orologeria prefissata?
Solo dei preconcetti ideologici possono giustificare queste affermazioni, che, volutamente, forzano le reali situazioni e disposizioni, fingendo di dimenticare che iscrivere i bambini prima dei 6 anni non è un obbligo ma una facoltà, che i genitori valuteranno attentamente insieme al personale scolastico; e che le scelte fatte a 15 anni non sono irreversibili, ma assicurano e seguono, non a seconda di come ci piace, ma sempre, proprio i “tempi psicologici” dei ragazzi.
Avrete capito che i riferimenti virgolettati si riferiscono all’articolo su “La Piazza” del Marzo scorso pagina 23, a firma degli: Insegnanti “resistenti” (a che cosa?) del Circolo Didattico di Cattolica.
Su quell’articolo, solo altre due osservazioni: “Non ci piace… un tempo-scuola allungato, ma privo di qualità??”. E ancora: “Una riforma che sforma e deforma, intrisa di familismo appiccicoso che è tutto, fuorché vera considerazione dei genitori”.
Cari insegnanti, se il tempo scuola è di qualità oppure no non dipende dal Ministro, che sta a Roma, dipende da chi sta in classe e in classe ci siete voi.
Invece di impegnarvi a “resistere”, leggete, capite e applicate in modo costruttivo quello che vi viene proposto ( dovreste sapere che le leggi dello Stato vanno rispettate e applicate ), ricordando che verso i ragazzi che vi sono affidati avete un grande potere e una altrettanto grande responsabilità.
Da ultimo, considerare la presenza e le possibilità di intervento dei genitori come “familismo appiccicoso” non vi fa onore.
Mi sembra anzi che dimostri una scarsa sensibilità verso di loro e poco apprezzamento del contributo di esperienza, di conoscenza dei propri figli e di comune buon senso che questi (i genitori) possono portare.
di Gianfranco Vanzini