– La Giunchiglia ogni anno trasforma in formaggio il latte prodotto da un gregge di circa 20.000 pecore (produzione annua di 200 litri a testa). Giunchiglia è un fiore spontaneo ed amante dei luoghi freschi del nostro entroterra e la sua forma e i suoi colori sono diventati il noto marchio di formaggi. Molti produttori di formaggio di Fossa lo scrivono con fierezza e prestigio.
“La scelta è stata semplice – racconta Antonio Pala, il titolare. Molti formaggi prendevano il nome dei fiori. Ho scelto un fiore che mi piaceva e dei nostri luoghi”.
E i colori dellla giunchiglia, giallo, bianco e verde, contraddistinguono il caseificio che si trova a Tavoleto. Per la sua livrea lo si nota da molto lontano ed è spontaneo chiedersi che cosa ci fanno dentro.
Giunchiglia dunque significa produzione di formaggio pecorino. Molte le specialità. Due i cavalli di battaglia: la Caciotta di Urbino (80 per cento latte di pecora e 20 di mucca) e il Formaggio di Fossa (100 per cento pecora). Formaggio fatto con latte fresco, bassa carica batterica, ottima qualità, la Caciotta di Urbino si fregia della Dop (Denominazione di origine protetta), cioè va utilizzato solo il latte prodotto nella provincia di Urbino; mentre quello di Fossa è in attesa, da Bruxelles, sempre del prestigioso marchio che ne certifica il luogo. Che significa, in soldoni, un rigido controllo sulla filiera produttiva dei formaggi.
Dietro la Giunchiglia c’è lo spirito imprenditoriale di Antonio Pala. Del suo risultato afferma: “Segreti non ce ne sono. C’è una gran voglia di fare, soprattutto. Non appena si raggiunge un obiettivo, si mette nel mirino il successivo. Credo che si faccia l’imprenditore per indole. Si vive più tranquilli facendo altro. E tutto questo avviene con grande arrabbiatura della moglie. Non condivide le scelte perché sono un continuo mettersi in gioco e neppure slegate dai rischi d’impresa. A me questo dinamismo mi gratifica, al di là della questione dei soldi”.
Sposato, due figli che vanno ancora a scuola, chi lo conosce dice che Pala ha un naturale senso degli affari. Oltre alla Giunchglia che dà lavoro a una ventina di persone, è socio di un caseificio in provincia di Viterbo, Fattoria di Maremma.
Originaria della Barbagia (la Sardegna del famoso codice d’onore barbaricino: dignità, onore, parola data, vendetta), la famiglia arriva a Tavoleto nel ’69. I suoi genitori, con cinque figli, acquistano 2-3 poderini e iniziano ad allevare pecore. A differenza di molti piccoli contadini legati alla terra, trasformano e vendono direttamente i loro prodotti, aprendo subito un punto vendita a Cattolica. Oggi, il loro spaccio agricolo si trova a Morciano. Genitori molto credenti, fanno studiare tutt’e cinque i figli. Con il babbo a redarguire: “Qui, siamo ospiti. Ci dobbiamo comportare meglio che a casa nostra”. L’allevamento delle pecore, testimone del babbo, è nelle mani del fratello di Antonio, Sebastiano. Possiede 5-600 animali, trasforma e vende direttamente i suoi prodotti rigorosamente biologici.
Argomenta Antonio: “Da ragazzo sognavo di fare il calciatore, ma riflettevo sulle economie di scala. Che cosa significasse economicamente avere 5, 500 o 5.000 pecore. Così sono rimasto nell’ambiente che un po’ già conoscevo”.
L’80 per cento della produzione della Giunchiglia viene venduta nel tratto che va da Cesenatico a Fano e il relativo entroterra; il resto nelle altre regioni d’Italia. Per scelta sono solo piccoli negozi; l’unica presenza diretta nella grande distribuzione è all’Iper Rossini di Pesaro “Perché ce l’hanno chiesto”.
“La nostra – continua Pala – è stata una scelta. Puntato più sulla qualità che la quantità. E la strada della qualità, speriamo, sarà la nostra via per il futuro”.