– Il 24 maggio, sull’omonima via, non era il “Piave che mormorava calmo e trepido al passaggio dei primi fanti…”, ma le tantissime donne, (ex-commesse, sarte, clienti, amiche) che ‘marciavano’ per salutare e complimentarsi con loro, ‘le Lorenzetti’: tutte a festeggiare il cinquantenario del negozio di tessuti più rinomato della città e anche il 93° compleanno della sua fondatrice, Tina Funaro, un’imprenditrice ante-litteram, prima che questo termine venisse comunemente attribuito al mondo femminile. Tina, madre di Luciana Lorenzetti, l’attuale conduttrice, nacque nel 1913 a la Spezia da una famiglia ebraica, commerciante di tessuti da generazioni. Negli anni ’20 si trasferirono a Torino dove aprirono 3 negozi in centro.
Tina ricorda che avevano tantissimo lavoro soprattutto per fare le divise per i ‘balilla’ e le mantelle per le ‘giovani italiane’: rimanevano alzati tutta la notte per tagliare i tessuti sul pavimento. Il giorno dopo consegnavano tutto alle tante sartine per la confezione e in pochi giorni i clienti ritiravano le loro divise. Tina si sposò con Giovanni Lorenzetti, di religione cattolica, che fece battezzare e passare la Comunione le due figlie Anna e Luciana. Proprio le foto di quella prima comunione si rivelarono in seguito un prezioso salvavita per la famiglia.
Infatti le persecuzioni razziali del 1938 distrussero in parte la famiglia dei Funaro: 17 di loro non tornarono più dai campi di sterminio di Auschwitz. Purtroppo non valutarono in tempo il pericolo, e furono traditi da ‘amici’ o vicini di casa. Un fratello di Tina, Ernesto, fu preso perché non volle lasciare la fidanzata incinta. I nazifascisti non risparmiarono neppure l’anziana nonna di Tina che era cieca, sorda e paralizzata su una carrozzella. Tutti furono concentrati prima nel campo di Fossoli, poi deportati oltre il Brennero. Giovanni ebbe la lucidità e la prontezza di agire per tempo e trasferire la propria famiglia, più la suocera Jole e altri parenti, 13 in tutto, a Pianello di Iesi.
Riuscì anche a mettere in salvo tutte le stoffe dei tre negozi, grazie all’aiuto di un suo carissimo amico, il commendator De Bonis, direttore dell’Ufficio Imposte di Torino e padre di Luisa, amica pure delle figlie di Giovanni. I tessuti furono caricati su un vagone ferroviario e raggiunsero intatti Iesi dove i Lorenzetti aprirono un altro negozio. Luciana ricorda ancora con angoscia il 1944 quando i tedeschi occuparono Pianello. Un loro ufficiale si autoinvitava spesso a pranzo da loro e diceva: “Se io avere mamma e papà ebrei, io uccidere!”.
Furono proprio quelle foto della prima comunione a non insospettire quel tedesco, che poi qualche mese dopo veniva ucciso dai partigiani a Riccione. In paese tutti sapevano che loro erano ebrei, ma li coprirono. Solo una volta, una vicina, per disperazione, rivelò il motivo della loro presenza: un gruppo di nazisti aveva preso un suo giovane nipote per portarlo a lavorare in Germania. La donna allora disse: “prendete il ragazzo da quelli là che sono ebrei!”. Mentre i tedeschi si dirigevano verso la porta dei Lorenzetti, un fratello di Tina che era ancora a letto, fu nascosto in un armadio. Le SS chiesero allora chi avesse dormito lì. Una domestica disse coraggiosamente che era stata lei, ma un ufficiale mise una mano tra le lenzuola e sentì che erano ancora calde.
A quel punto mise in mano al nipote della vicina un fucile e gli ordinò di sparare contro l’armadio. Il ragazzo disse che non era capace di usarlo, lo gettò a terra e scappò. I tedeschi lo inseguirono ma lui fu più svelto e furbo di loro. Si salvò. Così pure il giovane Funaro che ebbe il tempo di rifugiarsi sotto il tetto e i tedeschi non lo trovarono più. Luciana racconta che quella vicina poi chiese a loro scusa ancora tante volte, anche se la cosa si concluse bene e loro la perdonarono subito. I Funaro per sfuggire a un altro rastrellamento si erano nascosti da alcuni contadini, ma un tedesco, vedendo che Tina era tornata con una grossa spesa alimentare ne chiese spiegazione, visto che Giovanni aveva dichiarato che loro, i Lorenzetti, cattolici, erano solo in quattro.
Si giustificò che il rifornimento era anche per i vicini. Ad un tratto passò davanti all’ingresso la madre di Tina. La figlia spaventatissima stava per gridare ‘mamma’ ma una provvidenziale afasìa la bloccò. Iole con disinvoltura si defilò e fu salva. Ma la voce, a Tina non tornò per molti giorni. Negli anni a seguire e ancora oggi, quando Tina vive una forte emozione o un dispiacere, è colpita dallo stesso fenomeno: perde completamente la voce per giorni. Poi il fronte si spostò più a nord e non essendoci nelle vicinanze di Iesi, obbiettivi militari, la zona fu risparmiata dai bombardamenti. Tutti i parenti, salvati dalla solidarietà dei paesani e da un coraggioso prete, tornarono a Torino.
La guerra era finita. Cominciarono a tornare i reduci dal fronte e i sopravvissuti dai campi di sterminio. Luciana ricorda che la nonna Jole, alla notizia di quei rientri, gridava felice: “E’ arrivato Ernesto!”, e si precipitava alla stazione dove abbracciava tutti i ragazzi dell’età del figlio ai quali chiedeva di lui notizie. Ernesto non tornò e nemmeno giunse mai; dal governo tedesco, una comunicazione ufficiale della sua morte.
Nei primi anni ’50 i Lorenzetti venivano in estate a trovare gli amici De Bonis in vacanza a Cattolica e nel 1955 videro in via 24 Maggio, l’attuale negozio, in vendita. A Tina piacque subito: era situato in un prestigioso palazzo e in mezzo alla zona dove ogni sabato, in quegli anni, si svolgeva il mercato ambulante. Era perfetto per le stoffe e sopra vi si trovava anche un appartamento per abitarci. Lo acquistarono e nel 1956. L’attività partì con una novità: una collezione di sete di Como che non si era mai vista a Cattolica.
I finlandesi e gli svedesi ne andavano pazzi: si facevano confezionare vestiti da sarte del posto e in più se ne portavano a casa le pezze intere per decine di metri. Luciana, 17 anni, ‘votata dalla nascita ai tessuti’, come lei stessa dice, affiancando nel lavoro la madre, divenne in breve l’anima del negozio perché dotata ormai, sia di naturale competenza nelle stoffe, che di una notevole capacità di relazionarsi alle persone.
Simpatia e intuizione psicologica sono fondamentali per condurre un negozio del genere, un luogo per eccellenza delle donne. Infatti “le Lorenzetti” diventarono in breve un polo femminile dove le tante storie di donne e di famiglie vi s’incrociavano.
Lì si compravano stoffe per gli abiti per le feste, per i matrimoni e per il lavoro: così quasi tutta la vita della città, praticamente, passava di lì. Filtrata dalle donne. Loro si occupavano degli acquisti e delle confezioni. Impossibile che non ne nascessero relazioni. Di lavoro e di amicizia.
Anna, la sorella di Luciana, si sposò presto e lasciò il negozio dove invece si succedettero per decenni le commesse: Adriana, Marta, Irma, Enrica, Teresa e Giordana. Ma quella storica è Bruna Magnani, ‘arruolata’ dal 1972 e ormai parte integrante del negozio e della famiglia Lorenzetti.
Anche Luciana si sposò, ma continuando a dare il massimo dell’attività al suo negozio. E tanto per rimanere ancor più radicata al suo ‘habitat’ naturale, visto che lei stessa si autodefinisce “nata tra e per i tessuti”, destino volle che il marito, Paolo Selva, fosse un produttore… di tessuti. Ma le telerie Selva si rivolgevano a un altro mercato: vele per barche, tende da mare, tele per sdrai e brandine.
Un mondo diverso da quello del negozio Lorenzetti dove la clientela affluiva da tutto il circondario compreso tra Fano, Urbino, Morciano e Rimini. Le clienti venivano con le loro sarte e i contatti si moltiplicavano.
Sarte leggendarie sono state: Pallotta, Adolfa, Gnèla, Pina, Nina, Bianca, Fernanda, Tina, Ancarani, Gabriella… Sarti da uomo notevoli: Fratesi, Brizzi, Uccio, Pipén… Dal negozio sono usciti centinaia di abiti da sposa e migliaia di cappotti. Vi si tenevano le lane migliori come Agnona, Zegna e Cerruti. Ma le sete e i pizzi da favola che ci sono sempre stati, hanno costituito per le donne una continua e magica attrazione, perché sono stoffe su cui ognuna ama sognare. Alla fine degli anni ’80 è arrivato poi sul mercato il sintetico.
Luciana dice: “Per anni mi sono rifiutata di tenerlo, convinta che la qualità paghi sempre e meglio, chi la indossa e chi la confeziona. Poi mi sono dovuta adeguare alle insistenti richieste, ma solo in misura molto limitata. In effetti il negozio si è sempre distinto per il valore dei suoi tessuti.
E questo tipo di lavoro sta ora riprendendo quota perché il mondo della confezione non può permettersi materiali così preziosi. Perciò le persone che amano un look classico, stoffe di qualità e hanno problemi di taglia, non trovando nelle boutique quello che cercano, si rivolgono ai negozi di tessuti e a brave sarte”.
E così questo straordinario ‘club delle donne’ che ha appena compiuto i suoi primi 50 anni, ha tutta l’aria di continuare ancora parecchio, visto che l’universo femminile ha sempre legami fortissimi e risorse imprevedibili.
di Wilma Galluzzi