– Silvano Cardellini, giornalista principe della provincia di Rimini, è morto lo scorso 29 luglio dopo una lunga malattia. Talento di livello assoluto, sciveva sul Carlino; negli anni ’90, aveva lavorato al Messaggero nella sua breve stagione riminese. Orginario di Saludecio, era un profondo amante della storia e arte di Rimini.
di Francesco Pagnini
– Di Silvano Cardellini si è scritto ormai tutto dal punto di vista professionale. E’ pleonastico dire che è stato uno dei migliori giornalisti che Rimini abbia prodotto. Di sicuro era il migliore in attività. Oltre alla capacità di scovare notizie e intrattenere rapporti, doti fondamentali per chi fa questo mestiere, era capace di scriverle con una leggerezza impareggiabile. Mai un suo articolo, anche sul tema più tecnico, riusciva pesante. Neanche se era l’ennesimo redatto quel giorno. Una dote, quella della leggerezza, che è la quint’essenza di “Una botta d’orgoglio”, il suo libro su Rimini che si legge tutto d’un fiato.
Tanto si è scritto anche sul carattere di Silvano. Io l’ho conosciuto prima di fama. Quando, nel ’97 ho iniziato a fare il giornalista a tempo pieno, ho incontrato la sua fama. Cardellini: nome temuto e rispettato da colleghi e interlocutori. Poi, tre anni dopo, mi sono trovato a misurarmi con lui, essendo stato destinato dal Corriere di Rimini a seguire (anche) la politica riminese. Quanti buchi mi ha rifilato… Quando glie ne davo (raramente) uno io, me lo segnavo sul calendario. Ma nonostante questo non sono mai riuscito ad avercela con lui (come capitava con altri colleghi-concorrenti). Soprattutto dopo un po’, quando ci siamo conosciuti meglio, Silvano era per me il collega simpatico, oltre che il decano, quello con cui speravi di avere la prima conferenza stampa del lunedì mattina per iniziare meno male la settimana. Quando sono diventato pure corrispondente dell’agenzia di stampa Dire le nostre telefonate si sono moltiplicate. Era, purtroppo, anche il periodo in cui la sua malattia, portata sempre con una dignità esemplare, si aggravava. E di questo aspetto mi è rimasto impresso un episodio. In una di quelle conferenze stampa del lunedì mattina m’è saltato in mente di raccontargli del ristorante dove, il sabato sera prima, ero stato a cena con mia moglie, e lui mi ha detto: “Ah i ristoranti: bei tempi quando potevo andarci…”. Mi sono morso la lingua, ma poi Silvano ha aggiunto: “Raccontami, raccontami cosa avete mangiato”. E mentre io parlavo mi sembrava che assaporasse con le orecchie le vivande che gli descrivevo. Il lunedì dopo ci siamo incontrati di nuovo: io mi ero completamente dimenticato dell’episodio di una settimana prima. E Silvano mi ha chiesto: “Dove sei andato a cena sabato sera? Raccontami i sapori”. Diventò il passatempo del lunedì. Quando non ci vedevamo mi telefonava. E quando gli dicevo che non ero uscito mi sembrava ci restasse male. Così, qualche volta, ho inventato. Silvano aveva una capacità, sul lavoro, di beccare al volo chi provava a dire una bugia. Non so se ha beccato anche me quando gli descrivevo manicaretti che non avevo mangiato, ma non l’ha mai dato a vedere. E quella sua frase, “raccontami i sapori”, è uno dei ricordi più emozionanti che ho di lui. Di un collega che non mi ha mai risparmiato un buco, ma neppure la sua simpatia.