– La bandiera bianca ed azzurra della Ceramica Del Conca-Faetano sventola in 50 paesi nel mondo. I ricavi alla voce estero rappresentano il 70 per cento del totale. Il resto viene venduto in Italia. L’azienda nel 2005 ha fatturato 130 milioni di euro; 90 dai mercati all’estero, con una crescita a due cifre rispetto all’anno precedente.
Del Conca-Faetano è una delle imprese più belle del Riminese e di San Marino. Proprietà sammarinese, direzione generale a Faetano, unità produttiva fondamentale a San Clemente, la guida Donald Mularoni, un ingegnere.
La sua è una storia fatta di lavoro, investimenti, capacità e fortuna. Nasce 26 anni fa, Ceramica del Conca. Allora in Italia c’erano circa 400 imprese produttrici di piastrelle e la Del Conca era l’ultima. Dopo poco più di un quarto di secolo, le aziende rimaste sono circa 200 e quella di San Clemente-San Marino occupa stabilmente la decima posizione.
“In un mercato sempre più competitivo – commenta l’ingegner Mularoni – vogliamo crescere sia con le nostre forze, sia acquisendo altre aziende”.
Come avete chiuso il 2005?
“Grazie al cielo bene. E’ stato un anno interessante; siamo cresciuti a doppia cifra rispetto all’anno precedente. Uno sviluppo omogeneo: in Italia, Europa e Stati Uniti, un mercato che vale un terzo del nostro export. I risultati sono stati possibili grazie agli investimenti effettuati nel 2001-2002, quando abbiamo raddoppiato la capacità produttiva a San Clemente. Inoltre, abbiamo acquisito una società storica, leader nel gres porcellanato rustico nella metà degli anni ’90. Siamo cresciuti in un anno in cui l’export italiano alla voce ceramica ha avuto una piccola contrazione”.
Quale chiave di lettura della vostra crescita?
“Il frutto di alcune scelte ben fatte qualche anno fa. Alla fine degli anni ’90 decidemmo di affrontare il mercato americano in modo innovativo. Oltre alla distribuzione tradizionale, siamo entrati con i nostri prodotti nei negozi di moquette e nella grande distribuzione per la casa. A questo si è aggiunto il fatto che sul mercato americano c’è stato un grosso incremento della domanda dei prodotti ceramici; stanno sostituendo le moquette con manufatti duri, soprattutto le terrecotte. Inoltre, l’economia americana è cresciuta negli ultimi anni. E noi abbiamo colto tale opportunità”.
Come vengono viste dal mercato americano le nostre piastrelle?
“Gli Usa apprezzano lo stile italiano anche nelle piastrelle, anche quando il Made in Italy è più caro dei nostri competitori. Infatti, fatto 100 i nostri prezzi, le mattonelle spagnole si vendono a 70, quelle sudamericane a 50, le cinesi tra 30 e 50. Diciamo che un’ampia fascia di clientela non è legata al fattore prezzo ma alla qualità e al fascino della storia”.
Com’è organizzata la vostra piramide commerciale?
“All’estero un po’ ovunque abbiamo agenti, preferibilmente residenti; con funzionari di vendite che seguono i nostri clienti prima e dopo la vendita”.
Come si fa a far andare bene un’azienda?
“Una regola è difficile trovarla. Ogni settore ha le proprie peculiarità, con opportunità diverse. Primo mai scoraggiarsi. Secondo, viaggiare molto. Personalmente prendo parte alle fiere più importanti nel mondo; visito i clienti primari. Si cerca di capire le tendenze in Italia e all’estero. Viaggiare apre la mente. Tutte le volte che sono di ritorno mi dico che devo viaggiare più spesso. Si portano idee, esperienze, stimoli nuovi. Spesso purtroppo noi imprenditori ci rinchiudiamo dentro le nostre aziende. Invece, possono fare a meno di noi. Credo che bisogna andare dove sono i mercati; le riflessioni riportate non hanno la stessa efficacia: come ragionano i clienti, come si comporta la concorrenza è meglio viverle sul campo”.
Che cosa significa innovare, in concreto?
“Il nostro settore è affine a quello della moda. Due volte l’anno vengono presentate nuove collezioni; ed ogni anno rinnoviamo un terzo della gamma. C’è un gruppo di lavoro che si occupa di creatività, marketing. Poi il ramo vendite, produzione, direzione generale, si confrontano sulle tendenze e le opportunità che vengono avanti. C’è un gruppo che programma e coordina i laboratori interni. Inoltre, all’occasione, alcuni progetti vengono commissionati anche all’esterno”.
Quanto investe all’anno?
“Normalmente, tra tecnologie e beni materiali, ogni anno abbiamo investito 10 milioni di euro. Mentre nel 2001 e 2004 abbiamo avuto investimenti straordinari, rispettivamente di 25 e 35 milioni di euro. E le risorse da investire vanno guadagnate; non ci si può fermare, altrimenti andiamo tutti a casa”.
Nel suo settore, qual è la giusta dimensione?
“Non esiste. Una nicchia potrebbe essere uno stato di grazia. Chi ha bassi volumi deve vendere per forza caro. Credo che la cosa migliore che possa fare un imprenditore è salvaguardare la redditività, che ti permette di effettuare investimenti”.
Che cosa chiede allo Stato un bravo imprenditore?
“Nulla a livello di sovvenzioni ed assistenza. Uno Stato efficiente deve creare le condizioni affinché gli imprenditori riescano a sviluppare le aziende. Deve rimuovere gli ostacoli. Ad esempio il fattore tempo per chi fa impresa è fondamentale; altrimenti rischiamo di arrivare fuori tempo massimo. Purtroppo, i tempi della burocrazia sono lunghi. Ci sono cose che richiedono lustri, mentre i benefici in economia si esauriscono in pochi anni. Gli Stati moderni non hanno mezzi e se li hanno sono costretti ad agire sulla leva fiscale. Insomma, snellire la macchina pubblica significa avvantaggiare le nostre imprese: più il sistema paese funziona, più le aziende sono competitive”.
Quali sono gli ingredienti di un bravo imprenditore?
“La passione, la voglia di crescere, di impegnarsi e dedicarsi. Ho colleghi bravissimi, non geni, vincenti, che vivono totalmente immersi in azienda, nel sistema produttivo e nel mercato. Hanno la capacità di cogliere le opportunità, i gusti, dove fallisce anche chi si è formato in scuole di livello assoluto, ma non sa vivere per intero quegli strani talenti che sono le esperienze in azienda”.
Articolo tratto da Cna Piccola Industria Magazine della Provincia di Rimini