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Home Località Morciano

A mia madre, com’è strana la notte

Redazione di Redazione
9 Agosto 2007
in Morciano
Tempo di lettura : 2 minuti necessari
A A

“Sei la madre del mondo che culla i suoi figli per darli in pasto alla luna; sei il sonno consolatore di anime in pena, che ridesta agli inganni del giorno, e godi trionfante di questa eterna giostra”

– Osservo come avanza furtiva sulle nostre vite; come ci illude con fantasmi che rientrano nei nostri involucri e come accarezza dolcemente le nostre ombre che non rivedremo se non al mattino, sotto forma di apparenze di luce. Come è tenera e languida, e come appare disposta al perdono di atti crudeli da noi commessi nel giorno che fu.
E come incanta i nostri occhi, che credono di vedere con più chiarezza all’interno di noi stessi.
Quel noi stessi non ancora conosciuti e che forse mai conosceremo.
La notte annulla ogni rumore, ed esplode in silenzio.
E troviamo mille suoni all’interno di noi stessi; cori di voci dissonanti, e con esse cerchi di comporre canzoni che allietino l’anima, ma non componi che tristezza e malinconia.
La notte ti prende alla gola e ti soffoca, e al mattino muori con essa sempre.
E ripercorri il tempo non vissuto; rifletti sulle vite che hai creduto di amare e che ora appartengono al futuro, che non conoscerai; a quel futuro simile a ieri, pieno di notti come questa.
La notte ti lusinga a cercarti, e t’illudi di trovarti, ma volgi lo sguardo per non vederti come sei ridotta, di quanti pezzi sei composta, e di quanto tempo ancora hai bisogno per essere intera; quel tempo che non t’appartiene.
Ma il tempo, altro nero compagno di viaggio, altro crudele carnefice, fugge veloce dalla tua esistenza, ghignando feroce alle promesse che fai al mattino; e sa che non riuscirai a portarle in salvo.
La notte è dentro di noi. Le apparteniamo e quando essa vorrà, saremo docili prede che nulla faranno per ostacolare i suoi piani.
Siamo riflessi notturni di stelle lontane, di lune calanti. Siamo schegge di vetri infranti, illuse da un raggio di sole.
Meteore spente, che prima o dopo la notte inghiottirà tra le sue fauci: ombre in perenne ricerca di vie sicure, di punti d’appoggio, di risposte. E le mani si toccano, al buio, cercando di distinguere il vero dal falso; il certo dall’illusorio, e trovano spine che lacerano l’anima.
Ti addentri in boschi colmi di inganni, carichi di menzogne; e vedi ai piedi degli alberi altre mani, altri volti, altre apparenze uguali a te stessa. La notte sorride di queste danze alla luna, non vede i grovigli di rovi a cui ci aggrappiamo, non sente le grida di aiuto levarsi dal bosco: aspetta paziente la nostra sconfitta. E con il suo immenso mantello, coprirà le nostre strade fiocamente illuminate, e noi ci perderemo in essa, illudendoci di aver vissuto.
Non riesco a vedere la bellezza del giorno: non posso sentire le risposte che cerco; cerco la luce, e ritrovo il buio; cerco compagni, e le strade sono vuote; cerco me stesso, e la vista s’appanna; e lei, la notte, eterna compagna, sempre presente a ridere degli sforzi profusi.
Perché continui a coprire col tuo velo pietoso i miei occhi che non riesco ad aprire!
Sei la madre del mondo che culla i suoi figli per darli in pasto alla luna; sei il sonno consolatore di anime in pena, che ridesta agli inganni del giorno, e godi trionfante di questa eterna giostra: allora fammi scendere: fammi dormire; e che sia per sempre.

Giordano Leardini

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