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Home Località Riccione

Francesconi, quella strana cultura di guerra

Redazione di Redazione
16 Febbraio 2007
in Riccione
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Rodolfo Francesconi – Nato a Riccione il 20 febbraio 1928, figlio di Demetrio, l’allora segretario del fascio e ingegnere capo del Comune di Riccione.
Cresce a Rimini, dove il padre si era trasferito per lavoro, vivendo la guerra qui e in seguito a Misano, nella colonia marina Piacentina, dove la nonna materna era prima proprietaria e poi custode.
Nel dopoguerra, si è laureato in chimica a Pavia e si è trasferito a Milano, vendendo per anni strumentazioni scientifiche e lavorando in svariate industrie come direttore generale o amministratore delegato. Dopo essere diventato consulente di Marketing e Gestione aziendale, ha tenuto centinaia di corsi di formazione per dirigenti, un’occupazione che svolge tuttora.
Autore già di diversi libri professionali, dai primi anni Novanta ha scritto numerose opere letterarie molto apprezzate. Tornato a Riccione da qualche anno, è presidente di “Impronte Adriatiche”, un centro internazionale di studi, con sede a Rimini, per la cultura mediterranea.

– Al di là delle privazioni, inedite per noi fino ad allora, quello dei primi anni bellici era però anche un periodo euforico, in cui tutti noi giovani eravamo immersi in una “cultura di guerra”.
Ricordo che ascoltavo i bollettini radio di guerra, che leggevo quotidianamente il giornale e che con i ritagli mi ero anche creato una raccolta, molto nutrita, di immagini delle navi militari che incollavo su album bellissimi.
Avevo anche una carta geografica con le bandierine su cui puntellavo le nuove conquiste dell’Asse, con la convinzione che la guerra sarebbe stata vittoriosa.
Non avevo e non avevamo affatto la consapevolezza che stavamo per perdere la guerra. Quella venne dopo, con lo sbarco degli alleati in Sicilia (il 10 luglio 1943, ndr).
Uno degli episodi che ricordo con maggiore chiarezza è quello del 25 luglio 1943.
Io ero al teatro Novelli di Rimini, assieme a mia madre, ed in scena c’era il “Rigoletto” di Verdi, con la Pagliughi come soprano e Gino Bechi come baritono.
Ad un certo punto lo spettacolo venne interrotto per annunciare la caduta di Mussolini e istantaneamente tutti i molti ufficiali tedeschi presenti in sala si alzarono e abbandonarono il teatro, mentre il pubblico iniziò a intonare “Fratelli d’Italia” (e non certo “Giovinezza”, l’inno fascista). Quasi tutti gli spettatori, nel cantare l’inno di Mameli, si alzarono dalle loro sedie.
Io non mi rendevo conto, data la mia età, di quello che stava accadendo, ma percepivo la preoccupazione nei volti di tutti gli adulti, scioccati dalla notizia e con la mente ai cambiamenti e alle reazioni che questa avrebbe indotto.
Tornammo subito a casa anche noi, ad ascoltare il proclama di Badoglio sulle “dimissioni” di Mussolini. Lo sentimmo tre-quattro volte, di continuo, assieme ad altre persone presenti a casa nostra ed anche qui rimasi stupito dalle reazioni: alcuni iniziarono ad urlare “Vigliacco!” verso Mussolini, altri ancora invece si misero ad applaudire.
Fino a quel momento ufficiali e soldati tedeschi qui ve ne erano, ma erano “convalescenziari”, cioè erano ricoverati presso le colonie marine, così come quelli italiani, per rimettersi in salute e riprendersi dopo la guerra al fronte (specie da quello russo).
E’ l’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio con gli alleati e del disfacimento delle forze italiane, che vidi i primi soldati tedeschi arrivare armati, nei pressi della scuola Decio Raggi (quella dopo il taglio della Marecchia).
In giro era pieno di soldati italiani allo sbando, che bussavano alle porte delle case per chiedere abiti civili e potersi dare alla macchia per non essere presi dai tedeschi.
Rimini, bombardamento
Restammo a Rimini fino al primo bombardamento aereo da parte degli alleati, poi decidemmo di trasferirci da mia nonna materna, sulla spiaggia di Misano Mare, dove era custode della colonia marina di Piacenza.
La colonia marina Piacentina era stata progettata da mio padre negli anni Venti e costruita da mio nonno Amato Amati, che poi la cedette, per far fronte al dissesto economico causato alla sua famiglia dalla “lira a quota novanta” (tra il 1926 e il 1927 Mussolini impose un corso forzoso alla valuta italiana rispetto alla sterlina, svalutandola in sostanza di quasi la metà del suo valore, ndr) e dalla crisi finanziaria di Wall Street (il crollo della borsa di New York nel 1929 ebbe enormi effetti negativi, a cascata, sull’intera economia mondiale, ndr), all’Opera Nazionale Balilla di Piacenza che permise ai miei nonni di restare come custodi.
Mio nonno materno, che era anche pescatore, usava così la colonia come deposito invernale per le reti e le sue barche. Aveva sette cogolli, un saltarello, le nasse. Alla sua morte, nel giugno 1940 (mancando dell’olfatto per un difetto congenito, bevve erroneamente della benzina bianca, quella che veniva tenuta in casa per smacchiare, credendola una medicina), tutta l’attività passò a mia nonna che si avvaleva di un pescatore, Mario, che lavorava a mezzadria (facendo a metà con i proventi della pesca).
A Misano Mare
In realtà, quel primo bombardamento su Rimini, il primo novembre 1943, io lo vidi proprio dalla colonia a Misano. Mia madre mi ci aveva mandato a studiare e a calmarmi, quando le avevo manifestato il proposito di partire come volontario per la Repubblica di Salò e di unirmi ai fascisti (in realtà, bastò questo confino familiare a farmi desistere dall’andare in guerra).
Ero sulla spiaggia con mio zio, che, essendo stato ufficiale di aviazione, un po’ di aerei se ne intendeva. Arrivarono improvvisamente, dal mare (come poi imparammo avvenisse quasi sempre, risalendo la penisola dal mare Adriatico per poi tagliare sull’obiettivo, tranne che per quelli di fine dicembre in cui su Rimini vennero scaricare tutte le bombe che gli aerei alleati non poterono scaricare su Verona per il maltempo).
Mentre mia nonna paterna era già sfollata da un’altra figlia, a Torre Pedrera (dove morì poi di morte naturale nel prosieguo della guerra), mia madre e mio fratello piccolo erano rimasti a Rimini.
Noi, da lontano, vedevamo i pennacchi di fumo alzarsi dalla città colpita. E sapemmo solo in seguito che una bomba era caduta nel nostro cortile di casa, che mio fratello era rimasto sepolto dal muro di sabbia che improvvisamente si era levato, che mia madre si era gettata su quel cumulo scavando a mani nude per riportarlo all’aria e che poi, entrambi terrorizzati, così com’erano, erano entrati in casa solo per il tempo di prendere qualche soldo, e un ombrello, e si erano subito mossi a piedi verso di noi e la colonia di Misano Mare.
Arrivarono dopo sette-otto ore, solo con quell’ombrello tra le mani.
E qui, dalla madre di mia madre, ci fermammo per tutto il resto di quella guerra.

“Non avevo e non avevamo affatto la consapevolezza che stavamo per perdere la guerra. Quella venne dopo, con lo sbarco degli alleati in Sicilia. Il 25 luglio, caduta di Mussolini, io ero a teatro al Novelli col Rigoletto. I tedeschi si alzarano, andarono via. E tutti intonarono Fratelli d’Italia”

di Fabio Glauco Galli

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