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Home Località Cattolica

Macanno, storia soffocata dal cemento

Redazione di Redazione
12 Novembre 2007
in Cattolica
Tempo di lettura : 5 minuti necessari
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– “Là dove c’era il verde ora c’è una città, e quella casa in mezzo al verde ormai, dove sarà… ah,ah…”.
Una bella canzone di Celentano di 40 anni fa denunciava l’assalto della cementificazione selvaggia a quel verde poetico di periferia fatto di vecchie case ricche di storia e di storie. Anche a Cattolica è arrivato il momento di “far legna” del verde di periferia, dopo avere scaldato le motoseghe per l’abbattimento delle profumate e ombrose acacie di via Marconi e via Don Minzoni, poi dei monumentali pini di via Dott. Ferri, testimoni dello sciamare di generazioni di scolari verso le scuole del centro e del cuore della vita cittadina. Con l’avanzare della tropicalizzazione del clima con temperature estive sempre più insopportabili, l’amministrazione preferisce orientarsi verso il “verde ornamentale” fatto di cespugli, fioriere e alberelli da giardinetto della Barbie, piuttosto che conservare i meravigliosi alberi ultra cinquantenari, dispensatori di ombra e ossigeno, e “fedeli amici di un tempo migliore”, piantati da saggi amministratori del buon tempo antico.
L’alibi della distruzione delle vecchie alberature cittadine è sempre stato quello del “rifare l’arredo urbano e risanare i marciapiedi”. Cosa che ha portato alla scelta di una via a senso unico: la ‘soluzione finale’ per le piante ormai fuori moda, senza possibilità di un’opzione diversa per i marciapiedi. I primi allarmanti segnali di questo ‘nuovo corso’ di guerra al verde, iniziò negli anni ’90 con la distruzione dei platani di via Dante, dei giardini di piazza 1° Maggio che dovevano permettere di costruire un parcheggio interrato per privati (con l’escamotage di uno sbandierato parcheggio pubblico – a scadenza – però), dei cedri del Libano di piazza Roosvelt con l’indimenticabile albero di Natale di tutti i cattolichini, e dei lecci davanti al Comune sostituiti da quell’incredibile accozzaglia di siepe mista che fa da muro tra il palazzo comunale e Piazzale Roosevelt.
Se in centro città si doveva far piazza pulita delle vecchie ‘cartoline’, in ragione del new look scopiazzato per il mondo, non si capisce perché si sia dovuta distruggere anche la ‘pinetina Verni’, perfettamente inserita nell’habitat del Parco della Pace. Veramente il mega centro commerciale del VGS aveva bisogno anche di quello scampolo di verde con 40 pini? Eppure gli amministratori avevano promesso di non toccarli…. Proprio la zona della pinetina, della via Carpignola e della via Macanno, grosso modo tra Ventena e Tavollo, per secoli fu ‘la campagna di Cattolica’. Fino a qualche decennio fa. Dice don Serafino della parrocchia San Benedetto: “negli ultimi anni i fedeli sono raddoppiati, da 2500 a 5000”.
Poi con lo sblocco di tutti quei terreni agricoli, l’immagine georgica di questa parte della città è stata progressivamente inghiottita dall’avanzare di uno sviluppo edilizio sempre più aggressivo… che sembra essere giunto a un punto di saturazione. Lo denuncia anche il consigliere comunale Valeria Antonioli, a lato della protesta per difendere la casa colonica Cerri, che parla del Macanno come di “un pallone troppo gonfio di cemento”. Infatti i residenti del quartiere sono decisi a dimostrare il loro disaccordo verso il progetto di costruzione che sta per partire: un palazzo di 4 piani a ‘L’ che chiude la vista della vecchia casa su via Macanno. La casa colonica, soggetta a vincolo storico, dovrebbe essere ‘recuperata’ da una ristrutturazione mirata. Per alcune unità abitative al suo interno.
Gli abitanti della zona ritengono quella casa il loro simbolo identitario della passata civiltà contadina e vorrebbero che fosse salvaguardata con dignità e non soffocata da un condominio, nè stravolta da un ‘recupero conservativo’ solo a parole. A questo scopo sono state raccolte già 200 firme e alla recinzione del cantiere vengono continuamente appese fotocopie di articoli che parlano della protesta e citazioni di scrittori e poeti che si sono ispirati nelle loro opere al ricordo lirico di quel passato che diventa faro nel procedere della vita di ciascuno. Una frase di Proust coglie come un’epigrafe il senso di questo sentimento condiviso dalla gente comune: “Siamo tutti esuli del nostro passato e pertanto abbiamo bisogno di ritrovarlo”.
Ma ‘il bisogno di ritrovare il passato’ in certi casi non è ben tollerato da chi è invece intenzionato a ricavare solo un profitto dai luoghi di testimonianza storica. In giugno è stata rasa al suolo, senza tanti complimenti, l’antica casa di Pacialòt di via Carpignola. Già censita nel ‘700, era stato un centro d’irradiazione di numerose famiglie Galli e di altri ceppi famigliari che hanno popolato mezza Cattolica. Punto di riferimento secolare di quella economia contadina che controbilanciava la precaria attività marinara, garantendo la sussistenza alimentare a buona parte della città. La casa è stata abbattuta con tutto quello che si trovava dentro: porte di antichi artigiani, finimenti vecchi di 200 anni per mucche e cavalli e attrezzi da lavoro di un mondo archiviato in fretta davanti al rombo delle fameliche ruspe. Naturalmente la casa di Pacialòt aveva il suo bravo ‘vincolo storico’, come altre case nel Macanno, però, in certi casi, i vincoli spariscono.
Anche la casa Cerri che, risalente a metà ‘800 ha una storia analoga a quella di Pacialòt, è vincolata per il suo valore testimoniale e storico. Vincolata sì, ma non troppo. Infatti il suo interno è ‘free’, i suoi 3 olmi secolari sono stati condannati a morte e così la sua grande aia, sacrificata a un costruendo palazzone. L’amore per il passato e per le tracce delle nostre più antiche radici, non abiti più qui. Un altro esempio clamoroso di tale insensibilità: si sta lavorando per costruire un centro commerciale (VGS – 11mila mq) di cui nessuno sentiva il bisogno e che sta devastando una sana e tranquilla area verde tra scuole e abitazioni. Un’area da sempre conosciuta per i suoi continui ritrovamenti archeologici.
Persone oggi anziane e cresciute lì, ricordano degli affioramenti, dopo le arature, di ossa umane, statuette, lucerne e lamiere incise con strane parole. Due mesi fa vi sono stati ritrovati grossi frammenti di stele funerarie tipiche delle popolazioni daunie del Gargano. Si tratta di una scoperta sensazionale perché sarebbe la prima traccia di insediamenti dauni fuori dal Gargano. Ma la Soprintendenza Archeologica comunica di ritenere che “le probabilità che i pezzi siano originari di Cattolica, siano scarse”. Comunicato che i nostri amministratori si sono affrettati a mettere sul sito web del Comune, tanto per scoraggiare a visitare la città chiunque pensasse che Cattolica possieda un tesoro archeologico.
Inoltre, dato che le stele sono state rinvenute in una zona da sempre archeologica, si preferisce credere che ‘provengano dall’estero’. E’ lo spunto per registi a corto di idee per fare di Cattolica il nuovo set del prossimo film di Indiana Johns? Ma, fantasticherie a parte, i lavori al VGS continuano con controlli che lasciano dubbi su cosa viene alla luce. Ogni tanto si vede qualcuno che interloquisce con gli operai e che potrebbe essere lì per l’indagine archeologica annunciata. Ma il più delle volte gli operai lavorano per proprio conto. Difficile pensare che possano portare di propria iniziativa, un contributo alla conoscenza del nostro passato più remoto.
Marcel Proust sostiene giustamente che “la memoria è come un cannocchiale puntato sul tempo”. Ma c’è sempre qualcuno che preferisce non guardare nel tempo. Meglio guardare dalla finestra. Di un condominio. O di una sala-giochi.

di Wilma Galluzzi

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