“Come si può rinnovare la Chiesa se le sue teste migliori stanno sotto la ghigliottina di chi vede eresia dove c’è fedeltà allo Spirito Santo?
Martini: “Bisogna farsi comprendere ascoltando anzitutto la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze, lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall’alto, da una teoria, ma siano prese da quello che la gente sente e vive, la verità dell’esperienza, e portino la luce del Vangelo”
IL VIAGGIO
– “Questo papa vi stupirà”. Così, mi sembra di ricordare, si era espresso lo stesso cardinal Martini subito dopo l’elezione di Ratzinger al soglio pontificio. Anche se un po’ increduli, forse ci avevamo sperato. Le persone cambiano; anche in conseguenza degli uffici che ricoprono. E poi, si pensava, “lo Spirito Santo mica dorme”.
Ma poi è venuto il caso Welby che ha riproposto il tema grave del diritto ad una vita e a una morte dignitosa; di fronte ai drammi umani di persone sofferenti la chiesa riproponeva freddi e astratti principi, giungendo, come è noto, perfino alla negazione dei funerali religiosi.
Poi sono venuti i Dico con le pressioni quasi quotidiane da parte del cardinal Ruini ai parlamentari cattolici. I quali, sempre secondo i massimi vertici della chiesa, non sono la longa manus del Vaticano, tuttavia non possono dissentire da esso. Ma paradossalmente bisogna ringraziare tali prese di posizione perché costringono i cattolici che tengono alla loro dignità a reagire, venendo allo scoperto e mostrando che ci sono modi diversi, e molto diversi!, di intendere la chiesa.
E che dire dell’invito del papa ai giovani di Colonia a leggere (udite, udite) non il Vangelo, che come si sa è un testo pericolosissimo, bensì “il catechismo della chiesa cattolica” che contiene tutto ciò che il popolo cristiano deve sapere e credere, naturalmente tutto filtrato dalla teologia della curia romana?
Così tralasciando altre cose, giungiamo infine alla condanna del teologo gesuita Jon Sobrino, primo dell’era Benedetto XVI, e dodicesimo dell’era Ratzinger.
A dire il vero, si era sperato in cambio di clima, quando nei primi giorni del suo pontificato, il papa aveva ricevuto con grande cortesia l’ex collega Hans Kueng; al termine dell’incontro lo stesso Kueng aveva invitato ad aspettarsi grandi novità. Non so se Kueng e Martini, siano ancora dello stesso avviso.
Per quanto riguarda il cardinal Martini, suonano piuttosto chiare le sue recenti prese di posizione ribadite anche a un gruppo di pellegrini della sua ex diocesi milanese, guidati dal cardinal Tettamanzi in visita a Gerusalemme: “Ci sia dato, anche come Chiesa italiana, di dire quello che la gente capisce: non un comando dall’alto che bisogna accettare perché è lì, viene ordinato, ma come qualcosa che ha una ragione, un senso, che dice qualcosa a qualcuno… Bisogna farsi comprendere ascoltando anzitutto la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze, lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall’alto, da una teoria, ma siano prese da quello che la gente sente e vive, la verità dell’esperienza, e portino la luce del Vangelo”.
Ma veniamo a Jon Sobrino, ultimo (per ora!) della lista. Sobrino è un teologo gesuita scampato al massacro avvenuto il 16 novembre 1989 all’università centroamericana dei gesuiti a San Salvador; gli squadroni della morte uccisero in quel giorno il rettore Ignacio Ellacuria, uno dei più grandi teologi della liberazione e quattro suoi confratelli, insegnanti. Insieme a loro morirono, perché non restassero testimoni, la cuoca e sua figlia. Sobrino sfuggì alla morte perché in quel momento si trovava in Thailandia.
In un documento da far pervenire alle autorità vaticane, sottoscritto, tra gli altri, da Arturo Paoli, Luigi Ciotti, Alex Zanotelli, Leonardo Boff, Marcelo Barros, Frei Betto si chiede amaramente: “Come si può rinnovare la Chiesa se le sue teste migliori stanno sotto la ghigliottina di chi vede eresia dove c’è fedeltà allo Spirito Santo?
Quel che c’è dietro la censura a Jon Sobrino è la visione latinoamericana di un Gesù che non è bianco e non ha gli occhi azzurri. Un Gesù indigeno, negro, scuro, emigrante; Gesù donna, emarginato, escluso. Il Gesù descritto nel capitolo XXV di Matteo: affamato, assetato, stracciato, malato, pellegrino. Gesù che si identifica con i dannati della terra e che dirà a tutti che di fronte a tanta miseria devono comportarsi come il buon samaritano : “Ciò che farete a uno dei miei piccoli fratelli, lo farete a me” (Matteo 25,40).”
Strana chiesa questa che invece di amare e difendere i suoi figli che muoiono per essersi messi dalla parte dei poveri, come il vescovo Romero, ne prende le distanze, quasi abbandonandoli al loro destino. Strana chiesa questa che si trova coccolata e sostenuta da persone e gruppi, come i cosiddetti atei devoti, che certo non l’amano ma la vedono come alfiere della civiltà occidentale, baluardo contro la deriva dei valori e contro il pericolo islamico. Quasi questa fosse la missione assegnatale dal suo Signore!
Iglis Selvagno