“La moda è la scrittura della cultura del tuo tempo. Mentre l’eleganza è la capacità di indossare le cose che ti stanno bene”. Pensiero di Elio Fiorucci, uno dei padri nobili della moda Made in Italy. Gradara e Cattolica onorano una carriera per certi versi molto più che esaltante.
Titolo: “Elio Fiorucci, quarant’anni di arte, design, moda e spettacolo”. Sottotitolo: “Love makes life magic”, ovvero l’amore rende la vita magica”. E forse nel sottotitolo c’è l’essenza dell’uomo Fiorucci, uno ama scrutare la vita con la lente positiva.
Tutto nasce a metà anni ’60. Fiorucci è un giovane di buona famiglia. I suoi genitori possiedono 4 negozi di scarpe a Milano. Va a Londra e porta nella capitale lombarda l’avanguardia inglese. Apre un negozio di 1.700 metri quadrati su tre piani. Non sono solo le dimensioni a colpire, ma anche che cosa c’è dentro. I contenuti. Oltre ai vestiti, libri, musica, bar, poltrone, pentole. Il settimanale Panorama diretto da Lamberto Sechi gli dedica 4-5 pagine. E’ subito successo; è il lancio. Anche quel monumento di Enzo Biagi si occupa dell’utilità e della cultura dietro le “frivolezze”. E sulla terza pagina del Corriere della sera scrive che Fiorucci è l’uomo che ha distrutto la moda per poi ricostruirla. A modo suo, però. E questo suo modo è fatto di anarchia, dolcezza, amore. Nel ’76, sbarca a New York; è una delle prime volte del Made in Italy in America con un negozio diretto. Lo progetta l’italo-austriaco Ettore Sottsass, uno tra i più geniali designer italiani; diventa il ritrovo di artisti del calibro di Andy Wharol, Keith Haring, dello scrittore Truman Capote.
Per i giovani di allora Fiorucci è un mito. Uno che sa leggerne lo spirito. La Montedison gli chiede di fondare il Centro design Montefibre e diventa suo socio col 50%. Il marchio viene esportato in tutto il mondo. Se è vero che la vita è fatta di alti e bassi, Fiorucci ne è la testimonianza. Inizia il declino; nel ’90 la griffe viene venduta ai giapponesi. Nel massimo splendore il suo impero fatto di magliette e idee, di colore e passione, di vita e dissacrazione, fatturava 500 miliardi di lire (oltre 250 milioni di euro); era tra le prime 5 aziende italiane del settore. Si avvaleva di collaboratori che hanno reso prestigioso il rigore, lo studio e la cultura legate al design italiano. E’ stato uno dei primi, Fiorucci, a dare nobilità all’arte di Keith Haring (il padre del graffitismo); lo chiamò a dipingere il suo tempio milanese. Chi andava a Milano per monumenti, faceva una capatina anche da Fiorucci.
Del suo stretto passaggio industriale , ricorda: “Era un’azienda troppo grande, ingovernabile e con il socio non andavo neppure troppo d’accordo. Per cui sono iniziati i problemi”.
Ma il maturo Fiorucci non ha perso il piacere del gioco. Continua a fare moda, a sfornare idee e fa il consulente per Coin. Nel 2004, apre un suo negozio a Milano San Babila con lo stesso spirito del ragazzzino. “Perché mi diverto ancora: a disegnare, inventare, viaggiare. Ho la fortuna di sentirmi sempre bambino”.
La mostra di Gradara-Cattolica è curata dall’architetto Laura Villani e organizzata da Andrea De Crescentini, presidente di Gradara Innova, che ne ha ideato la collocazione in un percorso dislocato su più sedi.
Si ripercorre Elio Fiorucci nel mondo della moda, dell’arte, della fotografia, della pubblicità e del design. Da ammirare anche opere originali di Wharol e Haring.
Luoghi dell’esposizione. Gradara, Palazzo Rubini Vesin. Cattolica, Galleria ex cinema Ariston e viale Bovio. Dal 27 giugno al 2 novembre.
Per maggiori informazioni: Tel. 0541-964673.