– Quirino Principe è uno tra i massimi intellettuali italiani. Soprattutto è un pensatore controcorrente, mai scontato e refrattario agli schemi; uomo dalle qualità poliedriche. Nato a Gorizia 71 anni fa, è un musicologo, scrittore e poeta. Ha introdotto Tolkien in Italia, curando l’edizione italiana de “Il Signore degli Anelli”, nel lontano 1970. Ha insegnato musicologia al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e storia della musica all’Università di Trieste.
Fine traduttore dal tedesco e da altre lingue, nel ’91 ha ricevuto il premio internazionale “Ervino Pocar” per la traduzione dal tedesco. Ha tradotto opere di Ernst Jünger, Max Horkheimer, Hannah Arendt, Karl Jaspers, Jean Guitton, Henry Perl, Hugo von Hofmannsthal, Hedwig Lachmann, John Dryden, Théophile Gautier, oltre ai testi di numerosissimi libretti d’opera, cantate, Lieder e melòloghi (vari autori, fra cui Johann Wolfgang von Goethe, Johann Sebastian Bach, Friedrich Rückert, Joseph von Eichendorff, Gottfried Daumer).
Il compositore prediletto da Quirino Principe è il romantico Robert Schumann, il suo perché è vita pura. “La musica di Schumann somiglia alla città in cui sono nato. Somiglia al profumo dei tigli di una certa via di Gorizia dove abitava una tale di cui ero innamorato, somiglia al giorno in cui è morta mia madre quando avevo 14 anni, somiglia a tante cose che mi è capitato di fare e di pensare in vita mia, praticamente posso dire che io sono una microscopica parte dell’archetipo umano di cui quell’uomo è stata la più alta realizzazione”. E’ stato uno dei mattatori delle conferenze di filosofia che si tengono da anni a Misano nei mesi invernali. E’ qui tra una pietanza e l’altra che lo abbiamo intervistato.
Che cosa apprezza di più in un essere umano?
“Il coraggio. E’ la qualità più cercata e che provoca danni sociali e paradossalmente è quella che ha più a che fare con l’intelligenza, cultura”.
Qual è il peccato più frequente oggi?
“La banalità, la semplificazione, lo svilimento della realtà. Esempio, oggi non si crede più ai valori spirituali. Siamo caduti in un vortice di follia delirante. Al secondo posto metterei l’invidia, acuita da alcune realtà tipiche del terziario. Dove tutto si fonda sulla gestione; così si guarda agli altri e alla qualità dei beni che si posseggono. Di contro mancano i vizi benefici, come l’ira che è la molle della nostra inadeguatezza morale. Lussuria e gola sono segni di vitalità; c’è la fantasticheria sulle cose”.
Che cosa umilia di più l’uomo?
“Certamente l’impossibilità di raggiungere il proprio fine, che è un fallimento. E’ la consapevolezza del proprio fallimento. Ed è una situazione storica, presente da sempre. Chi vuole fare l’insegnante di Liceo è felice; mentre chi ambiva alla carriera universitaria e si ritrova in un Liceo esce bastonato e infelice. Ai miei tempi, 3-4 allievi ufficiali di corso non venivano espulsi ma relegati al ruolo di sottufficiali; era meglio essere soldati”.
Come vede il futuro?
“Vedo importanti elementi reazionari e regressivi, tuttavia la consueta imprevedibilità ci offre margini di speranza. Ma non offrire dei dati divertenti e confortanti è tipica della nostra storia, come pure la capacità di rovesciare la situazione; la nostra risalita dopo la Seconda guerra mondiale era impensabile”.