L’INCHIESTA
di Francesco Toti
-Tutti d’accordo: gli imprenditori, le famiglie non possono fare a meno del sostegno del credito distribuito dal sistema bancario. Dell’economia ne è il cardine e molto probabilmente, senza banche, non ci sarebbe lo sviluppo. Il credito affermano gli studiosi sta all’economia come il sangue al benessere dell’uomo. Ma la banca come fanno notare coloro i quali stanno dall’altra parte della scrivania, direttore generali, presidenti, consiglieri di amministrazione, è anche un’impresa che deve salvaguardare la propria salute e gli investimenti dei soci, dei risparmiatori.
E sulla ferrea divisione dei ruoli Luigi Sartoni, direttore generale della Banca Popolare Valconca, provenienza Comit (tra il meglio prodotto dalla cultura bancaria nazionale) è categorico: “La banca non è un ente pubblico; non è l’Inps; non è la Caritas. E’ un’impresa come la loro. Una mano la sta dando mantenendo i propri impegni, come i fidi. C’è una forzatura che fa opinione ed è pretendere aiuti, dimenticando che negli ultimi 8 anni gli imprenditori hanno fatto utili come non mai. Solo che non vanno investiti in barche e ville e pretendere quando gli utili non ci sono che siano gli altri a pensarci. Il primo a credere nella propria azienda deve essere il titolare”.
Ma che cosa può fare lo Stato per aiutare le imprese senza “danneggiare” il cittadino? Sartoni: “Ha due strade. Una quella maestra, attraverso le legge dovrebbe imporre la patrimonializzazione delle imprese, detassando chi lo fa in base al proprio fatturato. Visco aveva fatto tale norma, la dual income tax. Era giusta ma il governo Berlusconi l’ha abolita, forse perché fatta semplicemente da altri”.
“L’altra strada – continua Sartoni – è la leva fiscale sugli investimenti. Cioè compri macchine utensili e ricevi maggiori sgravi fiscali; magari ammortizzando gli investimenti in 3 e non in 5 anni.
Altro fattore di intervento dello Stato potrebbe essere il pagare celermente i propri debiti per immettere contante nel mercato”.
In questa crisi economica, per l’attaccamento al territorio, per la conoscenza diretta del cliente, la banca locale si rafforza rispetto a quelle di interesse nazionale o internazionale. Dimostra una maggiore sensibilità. La Banca Popolare Valconca sta andando incontro alle difficoltà delle famiglie e delle imprese sospendendo per 6 mesi le rate mutuo, allungando la durata dei prestiti (quelli casa generalmente erano di 10-15 anni; oggi sono diventati di 25).
L’architetto Fausto Caldari, è il presidente della Banca di Credito Cooperativo di Gradara, che ha filiali equamente distribuite nelle province di Rimini e Pesaro: “Questa crisi ha rilanciato il ruolo della banca locale; addirittura il ministro Giulio Tremonti le ha portato come esempio da imitare. Come istituzione del territorio abbiamo svolto un ruolo forte ed è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo continuato a sostenere le imprese in questo particolare momento di congiuntura economica”.
Famiglie e imprese si aspettano aiuti, attenzioni particolari. Caldari: “Di specifico la nostra banca non ha fatto nulla, però come è nel nostro Dna ci siamo mossi con estrema disponibilità. Un esempio forte è il fatto che nei primi 6 mesi di quest’anno i nostri impieghi sono stati di gran lunga maggiori dello scorso anno; siamo passati dai 128 milioni del 2008 ai 165 di quest’anno. Insomma, abbiamo continuato a sostenere il cittadino, la famiglia e la piccola impresa. In tanti, grazie ai nostri vantaggiosi tassi, hanno trasferito i mutui prima-casa da noi, provenienti da altri istituti di credito. Come Bcc continuiamo a restare vicini alle imprese; in cambio chiediamo impegno, capacità di fare impresa, rispetto delle regole”.
Gianfranco Vanzini, già direttore generale Aeffe, la nota casa di moda, consigliere della Carim, è solito affermare che il segreto del lavoro, che poi si tramuta in successo, sta nel buon senso. Nella capacità di non fermarsi alle regole, ai numeri. E di essere responsabili rispetto al quello che si fa. Le rigide procedure di finanziamento le banche di interesse locale le riescono a interpretare per le forti relazioni col territorio, per la conoscenza diretta del cliente. Sanno con chi hanno a che fare.
Caldari: “Oggi, fare banca è più difficile. Nonostante questo, la nostra vicinanza al cliente, ci consente di stargli vicino, di interpretare meglio i numeri che ci sottopone, andando oltre i parametri stabiliti da Bankitalia. Abbiamo una lettura personalizzata del suo stato economico e della sua serietà professionale. Ed è proprio questo che ci contraddistingue dai grossi istituti di credito”.
Sulla stessa lunghezza di riflessione anche Giorgio Murra, direttore generale di Banca di Rimini che viene dall’impresa privata e dunque conosce bene entrambi i meccanismi: “Le banche locali sono una parte essenziale del territorio. Data la conoscenza diretta dell’interlocutore interpretano in modo meno vincolante i parametri stabiliti da Basilea2. E’ più disponibile. Anche se si dice che oggi siamo un po’ lunghi nell’erogazione del reddito, devo dire che non è vero; abbiamo tempi rapidissimi nelle decisioni”.
E sul lamento degli imprenditori? Murra: “Abbiamo messo a disposizione tutte le risorse, seppur con oculatezza; la prudenza fa parte di ogni sana gestione. Diciamo che ognuno ha una parte della scrivania ed è difficile scendere in campo al posto dell’altro. Forse un pezzo di ragione ce l’abbiamo tutti: noi nella nostra prudenza; loro nelle richieste”.
Un indicatore economico che sorprende in questa crisi, ed è una novità per la provincia di Rimini, è la raccolta: aumentata. Murra, la legge così: “C’è il buon senso di chi ha paura e allora non investe e né spende. Aspetta l’evolversi della situazione. E come nel nostro territorio non si vedeva da lustri, abbiamo una liquidità abbondante. Credo proprio che con lo scudo fiscale aumenterà e penso che possa essere da sprone per gli investimenti, al fine di allungare finalmente il passo”. Come si vede gli abitanti della provincia di Rimini i conti in tasca li sanno fare con indubbia abilita.
Una delle conseguenze sul sistema bancario dell’economia che segna il passo e che mette in difficoltà le imprese più giovani e meno strutturate sono le sofferenze. I prestiti ricevuti che non vengono onorati dagli imprenditori. La percentuale rispetto allo stesso periodo dell’anno passato ha avuto un balzo del 50 per cento, seppur siamo ancora molto al di sotto della media nazionale. Anche questo è un indicatore di una certa maturità e di un tessuto sociale buono” Ma qual è il gisuto rapporto banca-impresa? Si potrebbe scomodare Lui: a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
RIFLESSIONE
Bisogna fare bene il proprio mestiere
– Giorgio Cecchini è tra i maggiori imprenditori della provincia di Rimini. Ha una mente accorta e profonda. Gli piace la semplicità della profondità. Per dire che una persona è intelligente e abile attinge ai detti e in dialetto: “E’ uno svelto”. Per tratteggiare le arretratezze di quest’Italia che nonostante le potenzialità proprio non ne vuole saper di costruire una comunità meno ciabattona afferma che ognuno deve fare bene il proprio mestiere: l’idraulico l’idraulico, l’imprenditore l’imprenditore, l’operaio l’operaio, il prete il prete. E così a seguire. Inoltre, ci vuole un’idea di comunità, di città. Sapere dove andare e anche come. Insomma, dove se le cose non funzionano le colpe non sono sempre degli altri.
“Futuro: molte imprese sono nelle mani delle banche”
Bugli (Cna), Bargellini (Api), Gardenghi (Confartigianato), Pari (Confesercenti), Cecchini (imprenditore)
Soprattutto in questo momento di risorse limitate le banche devono essere da supporto a chi è in difficoltà ma ce la può fare. Capisco anche il fatto che la banca pensa ai propri profitti e porti al minimo i propri rischi. Ci vorrebbe il sostegno dello Stato
con le cooperative fidi a garantire i finanziamenti alla buona impresa
– Il futuro di molte imprese, anche di quelle solide e non soltanto improvvisate più da corsari che da imprenditori, sono nelle mani delle banche. I rappresentanti di categoria chiedono sensibilità agli istituti di credito per superare le difficoltà.
Piero Cecchini, titolare della Umpi di Cattolica, azienda con crescita a doppia cifra che produce sistemi di telecontrollo che consentono di risparmiare energia elettrica, argomenta: “Gli imprenditori seri chiedono alle banche di valutare obiettivamente la loro situazione e non di guardare soltanto uno schermo. Dovrebbero saper selezionare l’imprenditore da colui il quale ha investito gli utili nello yacht. Fanno bene però a non supportare le aziende che non hanno speranza, perché senza prodotto, perché senza mercato. Soprattutto in questo momento di risorse limitate le banche devono essere da supporto a chi è in difficoltà ma ce la può fare. Capisco anche il fatto che la banca pensa ai propri profitti e porti al minimo i propri rischi. Ci vorrebbe il sostegno dello Stato con le cooperative fidi a garantire i finanziamenti alla buona impresa”.
Salvatore Bugli, direttore della Cna della provincia di Rimini: “Della banca locale sono soddisfatto della loro tendenza di comportamento, anche se siamo a metà del guado. Al di là della reazione iniziale ci siamo cercati. Un grosso ruolo lo ha avuto il nostro Consorzio fidi, che ha reso più disponibile alla concessione di crediti il sistema bancario, benché ancora lontani dai bisogni della piccola impresa. Voglio ricordare che nella provincia di Rimini il consorzio fidi assicura prestiti per circa 3-400 milioni di euro, con una copertura massima del 50 per cento. Per i consorzi un grosso sforzo è stato fatto dalle istituzioni. La Camera di commercio ha messo a disposizione 1,1 milioni di euro, la Provincia 200.000, più altre somme dai Comuni”.
Mauro Gardenghi, segretario della Confartigianato della provincia di Rimini: “Le associazioni di categoria stanno facendo l’impossibile per far rivedere l’atteggiamento delle banche nei confronti della piccola impresa, che è andata in crisi non per colpa sua, ma ne sta pagando le conseguenze più di tutti. Lamentiamo che per la piccola impresa si è incrinato il rapporto con le banche causa gli automatismi, Basilea2, le regole più ferree di Bankitalia. Quest’ultima dice che le banche devono concedere prestiti alle imprese, ma anche di stare attenti a chi li date. Tale rigidità non aiuta certo. Come Confartigianato e Cna dell’Emilia Romagna abbiamo costituito il più importante consorzio fidi d’Italia, che è in grado di sostenere gran parte delle garanzie dei soci. Con le banche che per sempre maggiore garanzia chiedono agli imprenditori di associarsi. Il momento è duro e delicato, le banche locali, seppur più vicine e disponibili, dovrebbero sostenere di più e meglio le piccole imprese. Se ci fosse meno rigidità nell’erogazione dei prestiti, gli istituti di credito del territorio lo farebbero. Se sparisce il ceto medio produttivo, abbiamo chiuso anche con la democrazia”.
Molto critico Bruno Bargellini, presidente di Api (Associazione della piccola e media industria) della provincia di Rimini: “E’ una bella lotta quella tra l’impresa e la banca. Diciamo che fino a poco tempo fa si sono ben comportati. Negli ultimi tempi, i dati che ho in mano dicono che la banca è più restia. Speriamo nella moratoria che consolidi il debito. E’ vero che gli imprenditori sono dalla parte del torto: non abbiamo più i numeri per avere nuovi finanziamenti. In questo momento i destini di molte imprese sono nelle mani delle banche. Credo che se le banche aspettano, tutto va bene, altrimenti saranno tempi amari”.
Mirco Pari, segretario della Confesercenti della provincia di Rimini: “Bisogna vedere da quale punto di vista guardi il comportamento della banca: risparmiatore o debitore. E’ chiaro che il suo compito è di sostegno all’economia e che se non lo fa andiamo tutti gambe all’aria. E’ chiaro che nell’immaginario della gente devono concedere prestiti, ma non possono farlo senza le necessarie garanzie. Oggi, le banche stanno più attente e per abbassare il rischio chiedono molto di più la garanzia della cooperativa fidi”.