– Il primo ricordo di Mario Magnanelli risale agli anni 80’, quando il “pittore randagio” viveva alla “baita dei cento quadri”, in campagna. Era un inverno freddo con molta neve. Ricordo che dipingeva sotto la veranda con una sciarpa enorme ed un passamontagna di lana. Fu un incontro importante.
L’ultima immagine che ho di Mario è quella alla “Casa di Artemisia” a due passi dal teatro Massari. Ricordo che stavo facendo delle foto ai suoi quadri, si parlava di pittura, cosa che facevamo molto spesso, ci salutammo.
Oltre alle sue opere, molti di noi hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di vivere alcune sue esperienze subentrate. Mario era il fanciullo che guarda con gli occhi della mente, e che arriva alla verità (artistica) non attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore e meraviglia come fosse la prima volta.
Mi diceva: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Il suo timbro pittorico, apparentemente sembra confondersi in un solo gesto, in un solo unico movimento. In realtà quel gesto della mano, che è segno e anche colore, è molto profondo; immediata l’azione, nulla viene lasciato al caso. Mario mi è stato maestro in questo: ho osservato a lungo quella mano, quel gesto, quel segno. Mario nell’ultimo periodo mi diceva sempre: “Mi sembra di vivere in equilibrio su di un filo”. In ogni suo quadro c’è il tentativo di riprendere quell’equilibrio, ritrovare una giustificazione per la vita. Diceva: “Sono i quadri, come angeli, che mi hanno salvato”.
Paul Cèzanne scriveva: “La salvezza sta nella pittura”. Apparentemente burbero, Mario era disponibile ed ascoltava la gente e cercava di capire e di approfondire l’animo umano. Alla perenne ricerca di un significato, di una via di fuga, di un senso.
La famiglia per lui ha sempre rappresentato il nucleo di memoria, anche se in maniera contrastante e forte a volte; questo legame con la sua famiglia, la sua terra è un po’, a mio avviso, il “leit motiv” di tutta la sua arte. Non a caso, in occasione di una esposizione del 2002, il catalogo si apre con una foto di fine anni 40’ dove si vede Mario da piccolo in mezzo ai genitori e di fianco i suoi due fratelli.
Nell’ultimo periodo di vita avevamo in programma nuove mostre, nuove intuizioni. Lui aveva voglia di vivere, purtroppo era legato ad un corpo pesante che non lo seguiva più. Nella casa di Artemisia, ormai casa museo, è conservato molto della sua storia, tutto è rimasto come allora. Vi sono gli ultimi quadri dipinti dal pittore, la serie dei volti, dei pazzi come li avevamo chiamati. Lo sguardo attonito, volti pasoliniani, sembrano arrivare da epoche lontane. Guardano, attendono l’interlocutore. Con la sua arte, con la sua vita, Mario ci affida la testimonianza, del tutto attendibile, di uno sviluppo mai determinato dalla moda, dal mutare delle esigenze intellettuali ed economiche, di una ideale continuità.
di Teo Bragagna