– “Ciao Attilio!! anzi ciao Tilìn! Questo diminutivo dialettalmente vezzeggiato del tuo nome, era entrato ormai nell’uso consuetudinario di noi tuoi amici. Non avrei mai pensato che ieri sera, invece di andare con te a Riccione per la prima di quelle tre serate culturali, mi sarei messo a scrivere la tua orazione funebre per oggi.
Anche il tempo sembra soffrire della tua prematura partenza.
Nel tuo rigore di vita irreprensibile, ispiravi un senso di fermezza e di rispetto che erano tipici del tuo carattere.
Da oltre due manciate di anni, la nostra amicizia, cementata dal comune interesse per la cultura, ci portava a rafforzare le nostre idee della vita, della natura, dei rapporti umani, con le assidue frequentazioni partecipative a tutti gli eventi che servivano a maturare il nostro sviluppo intellettivo ed alla conferma sul pensiero filosofico attorno ai destini della natura umana.
Tu eri fermamente convinto, come me, della coerenza logica attorno alla razionalità della natura dell’uomo come essere mortale, così come tutti gli esseri viventi, e scevro di infingimenti ed infantili illusioni.
Ricordo le nostre disquisizioni in proposito. Sapevi e sappiamo, così come il grande Lucrezio ci ha insegnato, che non ci sono cieli che ci possono attendere. Il premio a cui possiamo ambire, è di essere ricordati nella schiera degli uomini bravi, onesti e laboriosi.
L’altra mattina sei venuto nel mio studio a prendere un libro che ti avevo promesso e, quando vi ho infilato un segnalibro, prima di consegnartelo, sull’inizio delle pagine che contengono un mio scritto, ho colto nel tuo sguardo un segno di benevolo rimprovero, come si fa ad un amico che sta peccando di immodestia e di un tantino di presunzione. Tu avevi maturato una certa conoscenza dell’animo umano attraverso la cultura filosofica.
Sapevi infatti all’occorrenza assumere anche un intransigente giudizio critico, e, quando per contro, ti esprimevi positivamente sui miei articoli e sui miei componimenti, confesso che mi faceva molto piacere.
Altrettanto, ma tanto, piacere, ho provato venerdì sera a Misano al Teatro Astra, quando, in attesa del conferenziere, mi hai chiesto di recitarti di nuovo quei mirabili versi di Lucrezio, dal primo libro del suo capolavoro di cui già altre volte avevamo discusso e disquisito.
Quella sera lo abbiamo intavolato Lucrezio, in quella lunga attesa, pensando quanto le nostre vite siano precarie e provvisorie e tu mi facesti ripetere quei versi che, nella loro sublime bellezza e saggezza, suonano ora come portatori di un segno premonitore.
In verità sono versi pieni di una grande sapienza nella loro semplicità e naturalità della vita, a cui tu riservavi tutto l’interesse che il filosofo sa dispiegare verso l’opera del più grande poeta e scrittore latino che, 2070 anni fa, seppe con la sua opera non solo erigere un solenne monumento alla filosofia epicurea e all’atomismo, ma anche e soprattutto, una alta celebrazione della dignità dell’uomo svincolato dalla paura della morte, degli dei e delle superstizioni.
Con la lettura di questo grande autore, noi due, avevamo raggiunto, direi quasi, una perfetta persuasione della immortale bellezza del mondo di natura, cui la scienza dei fenomeni universali serve a dare la felice serenità della vita.
La vita è anche piena di incognite e di imprevisti e così allo stesso modo ci hai lasciati come 3 anni fa l’amato e indimenticabile concittadino Guido Paolucci e così come allo stesso modo, nella mia famiglia, 4 anni fa, ci ha lasciati il nostro più giovane Enrico.
Ti interessavi della musica ed avevi anche una notevole conoscenza delle principali opere del melodramma e della sinfonia, che sanno beare l’animo umano e godevi di questi casti piaceri della vita, così come quelli di una sana gestione del proprio corpo che ti faceva vivere ed apparire nella pienezza di una salutare esistenza.
Ma ormai dormi senza fine, Attilio, ormai la dissoluzione dei corpi compie il suo lento processo, perché, come diceva il poeta iberico, tu sei morto per sempre e sei morto per sempre come tutti i morti della terra, che inevitabilmente il tempo conduce all’oblio.
Ma oggi ti vogliamo ancora ricordare, per quello che eri, per l’amico, collega e compagno che sei stato, con la tua onestà e il tuo burbero carattere che sapeva anche nascondere una sincera amicizia.
Vai Attilio, non sentire l’urlo bramito, dormi, vola, riposa. Tutto muore e, per dirla con il poeta, con il paradosso di una estrema razio di consolazione, muore anche il mare.
Silvio Di Giovanni