– “Tutta roba di Cattolica, quella esposta. Cinque sezioni come cinque metropolitane nel ventre caldo della confusione. …Bisognerebbe stare un momento fuori dagli stereotipi; vari e contrapposti suggeriti per via scientifica o frutto dell’autoimmaginario giovanile. In questo rimpallo di definizioni c’è infatti il rischio di un morto: la realtà. Ed è forse la città doppia su cui insistere per ricavare dalla mostra qualcosa di migliore.
Dare intanto per scontato che ogni città può essere vista come metamorfosi di molti doppi: organico/disorganico, centro/periferia, presente/passato, fabbrica/scuola, esclusione/integrazione e così via. Ma normalmente questi doppi convivono simultaneamente. La riviera invece è due persone in una che piuttosto di dissociarsi nel corso di un giorno come Jeckil e Hyde, si separano ogni sei mesi, secondo un rito pluridecennale. Lavoro/vacanza, rotazione di abitanti, schizofrenia di bisogni e risposte. Vista in uno scenario economico, la riviera deve essere la prima ad entrare nella post-economia. La fabbrica che non c’è e un terziario arrapato. Purtroppo o per fortuna nessuna tecnologia post, e il protorivierasco è quella che ammalia e tesse ancora la vera rete economica. In una struttura cosiddetta familiare il conflitto rimbalza fra una gerarchia economica e una interpersonale.
E i giovani, soprattutto, stanno dentro una specie di collasso da manuale: un’economia che produce più tempo libero di quanto se ne possa pagare. Sei mesi di lavoro e sei mesi di “ferie” (la scuola uno sfondo incerto). Non sembra male ma può voler dire, anche, due volte meno liberi. Quale lavoro, infatti? Quali ferie? Padroni e garzoni. Cooperazione e conflitto nel lavoro e ognuno per la sua strada nei consumi invernali. Però anche qui le contaminazioni prodotte da un mercato che taglia e cuce, rende omogenei i bisogni e poi li separa per raddoppiarli. C’è qualcosa di buono in tutto questo per il giovane. Per esempio, il lavoro si è evoluto verso forme ‘neutrali’. Lavorare tre mesi quanto basta per pagarsi un inverno alla meno peggio, sempre meglio che lavorare dodici mesi. Il lavoro si trova in un new look fatto anche di incertezze positive.
Ma tutti stentano a dare una direzione collettiva alla propria vita produttiva. Mentre le soluzioni sono più facili e molto più subalterne nella collettività del consumo. Molti attaccati al video-game, che è un gioco, ma se avanzano i futuribili la scienza non sarà più un gioco che simula la vita su uno schermo: e allora tutti alla moda ma ai margini della società.
Le foto ci parlano di una vasta subalternità che però non è più teorizzata e perciò può essere anche vissuta felicemente. In fondo spesso essere fuori significa essere solo dal lato sbagliato di una definizione culturale. Se i vecchietti popolassero le discoteche? E vengono fuori soprattutto i simboli. La maggioranza trasportano significati a cui il giovane non può dare nessun esito controllato. I simboli sono aggressivi ma l’aggredito vince sempre”.