IL PROFILO
– Matteo Serra è imprenditore in Cina ed ha qualcosa dentro: lo spirito di fare impresa. Ha aperto un’azienda di servizi due anni e mezzo fa, che ha 40 dipendenti e tutti cinesi. E’ giovanissimo. “Non proprio dato che ho 35 anni”, dice. Una risposta figlia della cultura anglo-sassone. Due sedi, Pechino e Shanghai, la sua creatura si chiama “Pure Fashion” (Moda Pura) e opera in quattro settori.
Il primo. Si occupa della distribuzione di alcuni marchi della moda italiani. Qualche nome: Golden Point, Phard, Malo, Zu+Elements, Fabi Calzature.
Il secondo. E’ fare consulenze aziendale, il settore dal quale proviene. Fa analisi di mercato, posizionamento di prezzo.
Il terzo. Organizza eventi. Il prossimo è un ambizioso progetto che si chiama “Dreaming of Italy (sogni italiani). Lo sta organizzando insieme ad un’agenzia di Milano, “Fun & Fashion” (Divertimento e moda). Si terrà a Pechino il prossimo ottobre, prima e poi a Chongqing (con 28 milioni di abitanti è la più grande città cinese); l’intento di diffondere le eccellenze italiane attorno ai cinque sensi. Saranno presenti una ventina di aziende, tra cui il Gruppo Natuzzi (Divani & Divani).
La quarta ed ultima attività invece riguarda l’importare in Italia dei manufatti in partnership con fornitori cinesi molto qualificati, come manichini, mobilio.
Tre lingue, oltre l’italiano, l’inglese e lo spagnolo (anche un po’ di cinese, sempre per quella cultura figlia della serietà afferma che lo parlicchia), ha una caterva di passioni. Gli piace fare sport, nuoto e basket su tutto. Ampio il raggio delle letture: i romanzi, i gialli (un affezionato di Carlo Lucarelli), Storia e politica. Fidanzata russa conosciuta in Cina, passa gran parte dell’anno in quella grande nazione. A chi gli chiede qual è il suo pensiero sui cinesi, argomenta: “Nel mondo degli affari si muovono con molta scaltrezza; hanno una grande capacità positiva di saper negoziare. Se la maggioranza vuole realizzare subito, i più intelligenti sviluppano il loro lavoro sul medio e lungo periodo. Come in Italia, non c’è molta etica professionale. Personalmente i miei collaboratori cinesi hanno capito le nostre logiche basato su un ritorno culturale e etico. Se al cinesi trasmetti la conoscenza del tuo mestiere, che ti sai muovere nella loro rete, anche lontane, ti trattano alla pari”.
“Il cinese – continua Serra – parla in concreto, si informa molto. Sono preparati e strutturati. Per loro il prodotto è soltanto una parte, mentre per la cultura italiana è tutto. Danno importanza al prezzo, al posizionamento, alla comunicazione. La grande attenzione al prodotto è tipica della cultura artigianale italiana”.
Ma i cinesi come vedono il made in Italy? Serra: “Conoscono poche eccellenze, come Ferrari e Ermenegildo Zegna. Per il resto hanno una visione limitata. Per loro l’abbigliamento fatto negli Stati Uniti o in Italia è la stessa cosa: qualcosa di qualità. E non sanno che il gelato e la pizza sono i prodotti italiani per antonomasia”.
Ma quanto è arduo entrare nel mercato cinese? Serra: “la Cina è grande, con usi e costumi diversi. E richiede sforzi grandi: si entra in un paese ma devi gestire un continente. E la Cina, per la produzione di base, non è più a buon mercato; stanno delocalizzando gli stessi cinesi, in Vietnam, Cambogia. Però, e sembra incredibile, è più facile avere il patrocinio delle amministrazioni cinesi che quelle italiane. In Cina abbiamo 20 Camere di commercio italiane e nessuno fa nulla gratis”.
Ragioneria al Valturio, economia alla Bocconi, il primo lavoro del riminese è a Tele2, nel ’99 (è il quinto impiegato). Successivamente, passa 4 mesi all’ambasciata italiana in Canadà; nel 2000 entra come consulente direzionale alla Monitor Group, società di consulenza fondata da un guru dell’economia, Michael Porter. In Italia ha clienti del calibro di Heineken, Coca Cola, e qualche fondo. Un anno di svolta è tra il 2002-2003, frequenta un master della francese Insead a Singapore. Va a lavorare da Value Partners, una nota società di consulenza. Il riminese si occupa di distribuzione e acquisizioni. E lo fa in Cina. Lavora per l’ingresso in Cina per aziende di livello assoluto: Pirelli, San Paolo. Segue dei fondi ad Hong Kong e dei clienti cinesi in cerca di partnership internazionale.
Due anni e mezzo fa si mette in gioco. Apre la sua azienda Pure Fashion. Racconta Serra: “Ho iniziato per gioco e perché ci credevo. Come consulente lavoravo 70-80 ore la settimana, con un fine settimana libero ogni 8. Poi ho visto che ero più imprenditore che consulente. I teorici della consulenza fanno bellissimi piani, io invece ero più attento alla risoluzione di problemi pratici. Mi interessavano i risvolti più concreti. Mi interessava rispondere alla domanda: come entrare in Cina? ”.
Ma è vero o luogo comune che il mondo del lavoro in Italia è chiuso alle belle menti giovani? Serra: “Per un giovane è più facile fare carriera all’estero che in Italia”.