LA RIFLESSIONE
– Il potere è una droga. Non è vero che logora solo chi non ce l’ha. Chi lo esercita, ne vuole sempre di più, e lo chiede, lo esige in nome di un più proficuo servizio al popolo. In nome, per conto, e nell’interesse altrui. Ma, alla fine, l’interesse tutelato è, spesso, solo il proprio. Facciamo fatica a tenere a bada la sete di potere, quel virus indiavolato che ci abita e che crea guai alla società. E anche alla chiesa. Forte è stata l’eco suscitata dalle parole di Benedetto XVI in occasione dell’ordinazione sacerdotale di 14 diaconi il 20 giugno: «Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero».
Parole scontate, vista l’occasione in cui sono state pronunciate. Ma è stato difficile non collegarle ad alcune critiche mosse alla chiesa e al Vaticano in quei giorni, funestati da accuse ad alti prelati di appartenere a cricche predone.
La parola “potere” era stata tirata in ballo anche da Timothy Radcliffe, già maestro generale dei domenicani, parlando al clero della dicesi di Dublino lo scorso dicembre. L’aveva addirittura messa al centro dell’odierna «tremenda crisi della chiesa»: «È molto più che la crisi delle violenze sessuali perpetrate su dei minori da parte di alcuni sacerdoti e religiosi.
È la crisi di tutta la concezione del sacerdozio e della vita religiosa (…) È profondamente legata al potere e al modo in cui il potere funziona nella chiesa a tutti i livelli: dal Vaticano al sacrestano della parrocchia».
Anche Gesù Cristo ha affrontato la tentazione del potere. Davanti al compito di annunziare e instaurare il Regno di Dio sulla terra, ha dovuto scegliere tra due logiche: quella del Padre, che lo voleva servo debole e povero, e quella di Satana, che gli suggeriva tre pietre efficaci per portare a termine la sua missione: pane, prodigio e potere.
Grande teologo, Satana! Le tre “P” da lui avanzate hanno un fondamento nelle Scritture: si credeva che il Messia atteso le avrebbe usate tutte e tre, e in grande stile. Del resto, se il mondo soffre la fame, perché non lo sfami, se questo è in tuo potere? Se vuoi che la gente ti ascolti e ti segua, opera prodigi: avrai tutti ai tuoi piedi. E se puoi avere tutto il potere del mondo nelle tue mani, perché non accoglierlo con gratitudine, visto che, in quanto Figlio di Dio, dovresti essere del tutto esente dal rischio di abusarne? Diciamocelo chiaro: molti missionari impegnati nel sud del mondo fanno spesso ricorso a queste pietre. E sembrerebbe che anche Propaganda Fide non le disdegni. Funzionano, convincono, danno risultati… e anche un briciolo di gloria.
Ma a quelle di Satana, Cristo oppone altre “P”: parola, protesta, progetto. Queste le pietre che egli userà per edificare il Regno. E per un solo motivo: anche se sembrano poco efficaci, sono quelle che il Padre vuole che usi. Invece di moltiplicare pani e pesci, annuncerà la Parola: «Giustizia e pace si baceranno»; nel mondo non c’è bisogno di donare il pane agli affamati se c’è più giustizia, perché, in quel caso, i poveri saprebbero procurarselo da soli e condividerlo: «Date loro da mangiare voi stessi». Alla pietra del prodigio Cristo oppone quella della protesta: «Vattene, Satana!… Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! ». E invece del prodigio, opterà per un progetto: piccolo, umile, quasi insignificante, condiviso da 12 amici, che non dovranno contare sul denaro, convinti che «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10). Pietre difficili quelle scelte da Cristo. Anche rischiose: lo porteranno al fallimento della croce. Ma sono le uniche che ha scelto e proposto ai suoi. Benedetto XVI ai novelli preti: «Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo, sarà sempre schiavo di sé stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni. Così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi». Serve una chiesa umile e orgogliosa della sua umiltà. Un’umiltà che sa sfidare apertamente strutture, tradizioni e stili di vita che rischiano d’innalzare e insuperbire, dai titoli magniloquenti alle vesti sontuose. Con le tre “P” di Cristo, tutto cambia. Perfino il bisogno di cibo, di denaro, di gloria e di potere. Il cristiano deve essere assetato solo di reciprocità.
Nigrizia (luglio-agosto)
Fatima, doverosa e opportuna precisazione
– Lino Selvagno intervenendo nel dialogo a distanza fra il sottoscritto e Silvio Di Giovanni definisce il fenomeno (miracolo) noto come “il sole che trema e che balla” avvenuto a Fatima il 13 ottobre 1917, da me citato come fatto realmente accaduto e documentato: “…delle immagini non molto diverse da quelle che si trovano in certe pagine bibliche (e sicuramente in altri libri religiosi dell’antichità). E aggiunge:‘Per quanto riguarda le testimonianze anche gli ufo godono di buona reputazione’.
Mi sembrano due paralleli che non reggono e che sono totalmente fuori tema.
Infatti, quando parliamo di ciò che è successo a Fatima non parliamo né di “immagini”, non meglio precisate, né di avvistamenti, più o meno individuali, di oggetti strani (ufo).
Parliamo di un fatto avvenuto solo circa 90 anni fa, quando già da molto tempo esistevano stampa e giornali.
Le testimonianze pubbliche (giornali) e private (lettere), di cui si conservano le copie, sono state riportate a caratteri cubitali dalla stampa del tempo, e nessuno ne ha mai contestato la veridicità.
I testimoni oculari hanno avuto tutto il tempo necessario per smentire eventuali descrizioni fantasiose del fenomeno, ma non lo hanno fatto perché il fenomeno era realmente avvenuto ed era stato visto da decine di migliaia di persone.
Persone accorse in quel luogo, non per caso, ma appositamente convocate per assistere a qualcosa di eccezionale. E quel qualcosa di eccezionale è realmente accaduto.
Caro Selvagno, queste non sono né “immagini” né ufo, sono fatti realmente accaduti che la Chiesa chiama miracolo e la scienza non sa come spiegare.
Gianfranco Vanzini