L’INTERVENTO
– “Sarei lieto se La Civiltà Cattolica rivedesse il duro e ingiusto giudizio su di me e sul mio piccolo saggio, ma temo che ciò non avverrà. In ogni caso non ho mai aspirato al patentino ufficiale di teologo cattolico-romano, visto che da tempo parlo di una teologia ‘laica’, cioè abitata dall’aria pulita della libertà di pensiero, unica condizione, a mio avviso, perché l’Occidente torni a interessarsi della sua religione”. Così Vito Mancuso – in un articolo pubblicato lo scorso 26 febbraio su La Repubblica – ha risposto alla rivista dei gesuiti che qualche settimana fa, con un saggio firmato da padre Giovanni Cucci, aveva criticato molto duramente il suo ultimo libro La vita autentica. Del resto non era la prima volta che La Civiltà Cattolica – le cui bozze passano al vaglio della Segreteria di Stato – attaccava con toni molto accesi l’opera del teologo dell’Università San Raffaele di Milano. Già nel 2008 c’era stata la netta stroncatura del libro che aveva reso noto Mancuso al grande pubblico (L’anima e il suo destino, un vero e proprio caso editoriale con oltre 100mila copie vendute).
L’ultimo affondo, quello di padre Cucci, è stato, a detta dello stesso Mancuso, “più profondo, meno aggressivo e apparentemente meno insidioso del precedente”. Tuttavia, nemmeno in questo caso sono mancati giudizi molto taglienti. Concludendo la sua recensione, lo scrittore della Civiltà Cattolica si è anche chiesto “come Mancuso, escludendo dal suo discorso la possibilità di Dio, possa ancora presentarsi come un teologo cristiano, e su che cosa verta a questo punto l’indagine della sua disciplina, ammesso che le parole conservino ancora un senso”.
Da qui è partita la replica dell’autore de La vita autentica: l’obiettivo della rivista dei gesuiti, si legge nell’articolo pubblicato da La Repubblica, “consiste nel mostrare ai cattolici che a me non è concesso ‘presentarmi come un teologo cristiano’. È questo il vero disegno della Civiltà Cattolica, e forse di qualcun altro dietro di essa”. “La questione sollevata”, ha proseguito Mancuso, “è tale da riguardare da vicino ogni uomo pensante: ‘In fin dei conti, Dio è necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità?’. Padre Cucci, per il quale la risposta è un inequivocabile sì, mi accusa di presentare una risposta ‘ambigua’, ‘equivoca’, ‘contraddittoria’. Io, al contrario, ritengo di aver espresso il mio pensiero molto chiaramente”. “Ecco ciò che ho scritto nel mio libro: ‘Per una vita autentica è necessario credere in Dio? Sono convinto di no’”.
Il concetto è ribadito subito dopo: “Un uomo nell’intimo della sua coscienza può escludere esplicitamente ogni riferimento al divino e al contempo vivere nel modo più autentico, cioè servendo il bene, la giustizia, la ricerca della verità, la bellezza. E viceversa un uomo può professarsi credente, magari rivestirsi di sontuosi paramenti, e tuttavia rappresentare la negazione più drammatica del bene e della giustizia: la storia della Chiesa offre migliaia di esempi al riguardo, non pochi dei quali sono purtroppo ancora attuali ai nostri giorni”. Fra gli esempi citati da Mancuso vi sono da una parte il non credente Primo Levi e dall’altra “uno dei tanti prelati incriminati per pedofilia”. Era questo, del resto, il senso del messaggio spirituale di Gesù, che ai clericali del suo tempo (scribi, farisei, sacerdoti) preferiva altre, più laiche, persone quali pubblicani, prostitute, poveri, pescatori.
Ma affermare che per una “vita autentica” non sia necessaria la fede in Dio – perché è più che altro necessaria “la fede nel bene e nella giustizia” – non conduce in alcun modo, come ha accusato La Civiltà Cattolica, a escludere la possibilità di Dio: “Il mio percorso”, è l’argomentazione di Mancuso, “pone semmai le basi per una rinnovata fondazione del discorso teologico, andando a indagare la profondità dell’essere che il primato dell’etica (smentito dalla cronaca, ma avvertito dalla coscienza) porta con sé”. È seguendo questo percorso che si è spinti a domandarsi “di che cosa sia segno questo senso del dovere rispetto al bene che la coscienza avverte”, “che cosa dica dell’uomo”. Secondo il teologo dell’Università San Raffaele, la legge morale inscritta kantianamente nel cuore dell’uomo è “l’attestazione di una dimensione più profonda dell’essere, la quale, se risulta così affascinante e normativa per la coscienza retta, è perché ne costituisce l’origine da cui viene e il fine verso cui tende, ovvero quel principium universitatis che Tommaso d’Aquino dice essere il nome filosofico di Dio”. Ecco allora che a padre Cucci – il quale si domandava se per Mancuso Dio fosse o no necessario ai fini del discorso sull’autenticità – lo stesso teologo ha così risposto: “Spero che a questo punto il mio pensiero risulti chiaro anche per lui: soggettivamente no (la fede non è necessaria), oggettivamente sì (la giustizia è indispensabile). Questo mio legare Dio all’oggettività del bene e della giustizia, ben lungi dall’escluderlo come mi si accusa, riproduce la medesima prospettiva di Gesù: ‘In quel giorno molti mi diranno: Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome?. Ma io dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità’ (Matteo 7,22-23)”. (e. c.)
(Fonte Adista n. 23-2010)