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Ogni giorno muoiono 17.000 bambini

Redazione di Redazione
25 Gennaio 2010
in L'altra pagina
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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– Chi ha avuto occasione di seguire appena un po’ la recente Assemblea della Fao a Roma sa che tra i dati più sconvolgenti segnalati uno lascia senza respiro: circa 17mila bambini ogni giorno muoiono di fame o malnutrizione, mentre sul pianeta, dice il papa, c’è cibo per tutti; e il costo giornaliero per salvare un bambino, puntualizza Save the Children, è di 75 centesimi di euro, meno di un caffè espresso. Tutti abbiamo ascoltato con sbigottimento, ci siamo scandalizzati per qualche attimo, ma poi abbiamo ricominciato la nostra vita lasciando agli annuari delle statistiche ogni cifra da brivido.
Non è andata meglio, però, a chi si è imbattuto – o gliele hanno sbattuto sotto il naso – altre cifre. In tal caso lo sgomento è diventato rabbia; cifre come queste: qualche decina di milioni di euro versati allo Stato dai contribuenti italiani con l’8 per mille, oltre a quelli direttamente indicati per la Chiesa cattolica, sono stati ulteriormente consegnati agli enti ecclesiastici per restauri di chiese, monasteri, edifici di culto, mentre di quelle somme milionarie solo 800mila euro sono stati destinati per ‘combattere’ la fame nel mondo, vale a dire meno del 2%. E, tanto per infierire, ci sarebbe da contare il proliferare di numerose collette, sponsorizzate anche dall’altare e dalle banche (banche che però non prestano una lira alle famiglie per acquistare agevolmente una casa), per salvare questa o quella chiesa, questo o quell’edificio per uso sacro o profano.
E intanto, ogni sera, quando spegniamo la luce per addormentarci si spegne anche la vita di 17mila bambini. Non solo, da molte Curie, oltre a narcisismi autoreferenziali, partono, anzi continuano a svilupparsi, operazioni di ‘conversioni’, non del cuore, come brontola sapientemente il Vangelo, ma di aree immobiliari (frutto di lasciti, beneficenze o parassitismi), aree che da uso agricolo si ‘trasfigurano’ in destinazioni urbanistiche più redditizie, grazie a supine compiacenze ‘pubbliche’ (che invece blaterano in altre occasioni di laicità dello Stato), nuove destinazioni d’uso come investimenti e plusvalori necessari per stare al passo con il ‘mercato’, alla faccia della salvaguardia del creato, e in fuori onda con l’invito coatto di Gesù a sbattere i mercanti fuori dal tempio. Di più: la crisi di vocazioni e la mancanza di ‘manodopera a costo zero’ ha provocato uno svuotamento di una serie di ‘contenitori’ (ex chiese, conventi, monasteri, orfanotrofi, borghi di antiche pievi, ecc., frutti a suo tempo di elargizioni del popolo o di dinastie cardinalizie, o di generose collette paesane in denaro o in natura), creando un’offerta extra large sul mercato degli affitti e della speculazione edilizia, e dimenandosi con disinvoltura tra i metodi, le valutazioni e le regole voraci degli squali delle agenzie immobiliari e del sistema economico – finanziario.
Regole, anzi, spesso anticipate o vezzeggiate, anche se poi, però, vengono ammonite o ammansite con encicliche sociali piene di impronte digitali liberali. Poi scopriamo che i veri problemi per la Chiesa sono i crocifissi, non quelli che muoiono ai piedi delle infinite croci sparse sulla terra, non il Crocefisso come donazione e testimonianza della vita e dell’amore, ma quelli sbiaditi e pieni di polvere appesi alle pareti, perché sono quelli che ‘fanno identità’, profumano di radici e, si dice, sono civiltà; e si stabilisce che gli edifici che deturpano il creato sono i minareti, e non quelli osceni nati sulle colline bolognesi e di altre città per sogni di gloria, infranti, o per investimenti clericali a lungo termine; e ci si impenna a dire che la famiglia è vera ed autentica se il comma di una legge la protegge o la isola da contagi d’amore, e non se nasce dalla libertà di una vita che fruga nei cuori o dall’audacia di diversità oppresse; e si promulga che i ‘diversi’ e i ‘barbari’ non hanno dignità di rappresentanza nel consorzio dei diritti umani, ma che invece la dignità di ogni persona soggiace ad un giudizio etico unilaterale ed esclusivo, perché il Dio di tutti è diventato un Dio ad personam, che distribuisce permessi di soggiorno ad orologeria, e rimpatria la sua umanità.
Odora di muffa questo tempo, tempo di non sincerità e menzogna, di orgoglio e disperazione, di un troppo che ci rende immobili, eppure è tempo di Natale, seppure senza bambini, senza lavoro, senza giustizia e senza ‘il festeggiato’, forse per questo i grandi dolori sono muti e le grandi passioni attendono carezze.
Ci siamo ricondotti a un Natale pagano, nemmeno laico, che coltiva l’indifferenza, come quello romano e imperiale di secoli e secoli fa, e siamo ridotti a un Natale depresso, ma tutt’altro che povero, che fa nascere un Bambino già stanco di vivere, e ne fa sparire, nella stessa notte, 17mila che abbracciano i sogni. E la Chiesa dimentica che per guarire la vita deve spogliarsi, e che né potere, né soldi, né verità dispotiche le faranno lacrimare gli occhi alla libertà della luce.

di Benito Fusco
prete e religioso della congregazione
dei Servi di Maria, Budrio (Bo)

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