Intorno c’erano poche case coloniche, piccoli agglomerati che qui si continuavano a chiamare ghetti, ed una strada polverosa in terra battuta che passava poco distante da lui. I fianchi della sua collina erano liberi da case e ai suoi piedi scorreva e “Ri Aqua viöla” il vento di mare arrivava portava sabbie fini e gialle ma dava un senso al suo nome. Il tempo è passato veloce. Il pino marittimo è cresciuto e ancora svetta lì sul fianco della collina del ghetto di Ca’ Togni. Il Ghetto ormai non è più ghetto. Case ed asfalto hanno inglobato e circondato lui e il povero pino. I marciapiedi sfiorano il suo tronco che e la gente che vede ha ormai i colori e le lingue del mondo, le sabbie che arrivano dal mare non sono più quelle di una volta ma grigie e maleodoranti. Si chiede perché il povero pino che nel frattempo ha imparato ha conoscere l’uomo e sa che, con improbabile senso di giustizia, questo trattamento non è stato riservato solo a lui. Il vento non gli porta più i messaggi dei suoi simili. Mancano all’appello quelli di numerose querce più vecchie di lui, cadute sotto le pale delle ruspe o soffocate nel cemento. Lui per ora è li, coi suoi tanti anni e sopporta anche i tagli malfatti dei rami che allargandosi troppo darebbero fastidio ai costruttori, i nuovi padroni del mondo. E’ costretto così a crescere solo verso il cielo e lo farà, fino a quando non diventerà troppo alto e qualcuno, con la bava alla bocca e una motosega in mano, deciderà che proprio lui, il pino più vecchio del paese, è diventato pericoloso. Allora finalmente l’uomo, animale notoriamente intelligente, potrà eliminarlo come si eliminano i testimoni scomodi e i pericoli immaginari.
Claudio Casadei