– Inizia oggi un appuntamento con l’arte sulle pagine di questo mensile: si tratta di incontri ravvicinati con artisti che operano nella nostra regione e che hanno fatto dell’attività creativa ragione di vita e professione primaria. Il primo appuntamento è con Angela Micheli, protagonista di recente di una kermesse espositiva che ha visto le sue sculture in un circuito di sedi e spazi suggestivi tra Santarcangelo, Rimini e Cattolica, dove l’artista ha espresso un tema sentito quanto assoluto: quello della maternità.
La mostra era intitolata Le natività di Angela Micheli, presentata alla Galleria Scarpellini e al Palazzo della Provincia di Rimini; nella grande Grotta Monumentale di Santarcangelo di Romagna, alla Galleria Comunale S.Croce di Cattolica.
Verucchiese di origine dove ha frequentato artisti come Pazzini e Dasi, negli anni ’60-’70 in contatto con il grande scultore Elio Morri, Angela Micheli ha vissuto per numerosi anni ad Udine per poi ritornare a Rimini dove oggi lavora; negli anni ’80 frequenta corsi specialistici in ceramica a Ravenna e a Faenza collaborando in studi di noti scultori e iniziando una fiorente attività di ceramista e scultrice in bronzo. Numerose le mostre e le esposizioni nel suo lungo curriculum. Hanno dato contributi critici al suo lavoro: Pier Giorgio Pasini, Vittorio Sgarbi, Luca Cesari, Rosita Copioli, Alessandro Giovanardi, Antonio Paolucci.
L’incontro è stato diretto, immediato come la personalità di Angela Micheli che prorompe nei gesti e nel conversare, trasparente come il suo sguardo ceruleo che si posa mobile e carezzevole sulla sua schiera di donne e bambine di terracotta e di bronzo, frutto di una sua ricerca originalissima. Una ricerca capace di incunearsi con forza nella migliore tradizione scultorea italiana, quella che affonda nei nomi di Marino Marini e Agenore Fabbri ma anche quella più recente e contemporanea di Ugo Riva e Ilario Fioravanti.
Entrando nella sua casa – laboratorio si è investiti totalmente dalla esperienza creativa di Angela Micheli. Come molti studi di artisti è un luogo singolare, unico, un giacimento inatteso, espressione di un lavoro di lungo corso, ma anche di prove e tentazioni dove il vissuto si intreccia alla creatività; qui si svela la storia particolare di una donna inesausta e caparbia che si misura con la scultura, con le forme del corpo umano e femminile in particolare e declina, sotto una angolazione personale, un tema forte e frequentato, anche retoricamente nella scultura del ‘900, come quello della maternità.
Si è subito colpiti dalla apparizione operosa della sua immaginazione, espressa in questa moltitudine di modellati e di crete. Giovani donne, madri, fanciulle, bambine, bambole. Sono sedute su poltroncine di vimini intrecciato, assorte; sono i troni della sacralità quotidiana, cattedre di sapienza e pietà, come è nelle leggi non scritte delle madri: tutto è assorbito nella emblematica figura maestosa e prosaica al tempo stesso della madre, i volti vagamente arcaicizzanti, le forme che tradiscono una consapevolezza profonda della scultura classica.
Colpiscono le lunghe braccia avvolgenti, che stringono quasi per paura dell’abbandono. E il primo abbandono dell’umanità, in fondo, è stato quello di scivolare dal ventre materno. “Il corpo si fa tempio” scriveva Dasi a proposito delle donne di Angela, “ma contiene sentimenti come affetto, tenerezza, riflessione”.
Le braccia si protendono verso un cenno di abbraccio, grembi e ginocchia accolgono generosamente l’abbandono tutto infantile dei bambini di lasciarsi andare nel sonno, i volti si sfiorano, si incontrano in un appagante conforto. Un intero universo femminile plasmato con le mani nell’argilla. La bambola, sinonimo di gioco, ma anche proiezione di una maternità futura, ciondolando dalle loro mani accompagna fedelmente tenere bambine colte nello smarrimento, nella concentrazione o nella loro gestualità più spontanea.
Sono le stesse bambine elette simbolo di continuità di vita che si ritrovano solitarie stilite, in attonita compostezza su sottili colonne ceramiche. Interrogano il presente, traguardano la storia e il passato, quello che Angela Micheli sa guardare con occhio acuto.
Una energia che stenta a sopirsi sembra abitare le opere di Angela Micheli. La stessa che la sua persona irradia. Quando la incontriamo, anche solo per pochi minuti, non si può non rimanenere colpiti dalla generosa determinazione con cui si accosta all’arte.
Qui, in questo luogo, tra queste stanze, l’artista diviene anche artigiano, con la costanza e la dedizione del fare, del misurarsi con la forza della materia, dei refrattari e delle argille, con la densità e con il colore dei pigmenti (spesso tempere) e dei suoi incanti figurativi.
Angela Micheli racconta: “All’intuizione, spesso trasposta in grandi disegni, subentra l’attuazione della scultura nella creta, e quindi l’organizzazione della materia, sempre per modellazione, con la forza delle mani, del pollice che imprime i solchi e i percorsi della forma”. “L’arte – dice ancora Angela – è previsione; chi lavora l’argilla intuisce i rischi e l’enigma della materia, l’imprevedibile del risultato una volta portata a termine l’opera”.
Le donne e le bambine di Angela, specchio della sua attitudine inventiva e fedele trasfigurazione del reale, rappresentano un universo inviolato e fragile di incontri e di silenziosi dialoghi. Temi legati tutti a una scena quotidiana, a un teatro degli affetti che si traduce a volte in racconto simbolico.
Il sacro non è per Angela Micheli un luogo conosciuto, ma prefigurato, connaturato nell’esistenza, nella vita delle donne. Nel loro quotidiano.
*Direttrice della Galleria comunale S. Croce
di Cattolica