IN RICORDO
di Wilma Galluzzi
– Molti cattolichini, nel leggere il manifesto funebre degli amci della Compagnia del Guazz che annunciava l’improvvisa scomparsa di Riziero Giunti, si sono sorpresi di quello che è stato il suo percorso artistico. Confermando il detto nemo propheta in patria, questo grande scultore moderno ha espresso il suo daimon con assoluto spirito libero qual era e in una città unica per bellezza e poesia come Venezia. Coerentemente a ciò, per dirla con Platone: “Noi siamo quello che abbiamo scelto di essere”. E in questo senso siamo chiamati a decifrare il codice della nostra anima per cogliere “con nitore il senso della nostra presenza nel mondo”. C’è una responsabilità etica individuale nella scelta dei vari modelli di vita. Particolarmente se questa intreccia il mondo dell’arte dove restare liberi è una condizione imprescindibile dell’arte stessa.
Riziero Giunti era nato il 17 marzo 1943, poco prima del fratello gemello Walter insieme al quale ha condiviso una fanciullezza e un’adolescenza spensierate e spericolate quanto potevano esserlo quelle dei coetanei compagni di giochi all’indomani della fine della guerra, in un paese pieno di residui bellici, carenze materiali e tanta, tanta libertà. Alimento prezioso per chi sognava “l’avventura”.
E la trovava a due passi da casa, con la fedele complicità degli amici che abitavano la zona del Guazz, via Fiume e dintorni, la zona dove scorreva anticamente verso il mare il Fosso Vivare, poi interrato. Come ricordavano due amici del gruppo, Marco Bordoni e Gianni Magnani, il tempo lasciato libero dalla scuola in inverno e da lavoretti in estate, era tutto dedicato all’avventura. Ci si passava a chiamare senza farsene accorgere dai genitori, con un fischio di riconoscimento sotto la finestra, come piccoli guappi. Poi radunatisi, in genere ai giardini De Amicis, si decideva come far danni.
In autunno si faceva incetta di pigne che venivano stoccate in un interrato, detto la grotta sotto casa Bordoni (Bar Raquette), insieme a materiali di ogni genere e che tutti insieme costituivano il tesoro del Guazz. Le pigne, tantissime, venivano poi divise tra i conponenti la banda del Guazz e portate a casa per toglierne i pinoli con i quali le nonne facevano il croccante. Nella grotta si nascondeva anche la polvere pirica recuperata da proiettili che si trovavano facilmente a spiaggia e nella zona delle Navi. Durante l’inverno, al mare, quell’esplosivo lo si faceva saltare all’interno di tubi. Un’estate, Riziero bambino aveva organizzato un “campeggio” ai montaletti (le dune), vicino alla colonia Ferrarese con una tenda canadese recuperata chissà dove nella quale rimase a dormire con il fratello e gli amici fino a quasi mezzanotte, momento in cui era scattato l’allarme dei familiari e il precipitoso ritorno a casa dei campeggiatori, con relative conseguenze.
Passato il periodo dell’avventura, iniziò il periodo delle avventure. Con le ragazze. La banda giovanile del Guazz si allargò molto con l’ingresso di nuovi amici e amiche e divenne la mitica Compagnìa del Guazz. Aveva lo scopo di organizzare feste da ballo, gite e trasferte per le gare di moto in occasione delle quali si montavano personali tribune sotto le quali si allestiva il vettovagliamento: grigliate di pesce preparate da Gaetano Boga e damigiane di Sangiovese. Finita la corsa, si mangiava, si beveva e si cantava.
E Riziero suonava la chitarra intonando le canzoni della tradizione popolare locale e nazionale, incluse l’Inno dei Lavoratori e Bandiera Rossa. Erano momenti di grande coralità e sentimento. Erano i momenti delle forti passioni giovanili. Poi, con il ’68 arrivò la contestazione globale e Riziero, da Venezia, dove studiava e sperimentava l’arte, portò a Cattolica le canzoni di protesta di quegli anni che lui accompagnava sempre con la chitarra. Erano soprattutto i testi di Ivan Della Mea e di Alberto D’Amico.
Poi siamo cresciuti, abbiamo cantato sempre un po’ meno e ancor meno creduto in quelli che ci erano sembrati ideali raggiungibili. Ogni tanto ci si ritrovava, quando tornava Riziero a Cattolica, intorno a qualche tavola. Nell’eterno rito del mangiare e del bere, insieme. A suggello della vita. E dove il luogo lo consentiva, ci si scioglieva nella classica canta finale. Unificatrice, esaltatrice e lenitiva. Come abbiamo fatto dopo aver dato l’ultimo saluto a lui, al grande capo, al grande Riz. Come lui avrebbe voluto.
E sempre per ricordarlo tutti insieme, amici e Compagnìa del Guazz, ci si ritroverà il 17 agosto alle ore 21, alla Fattoria Eby di Saludecio, con filmati d’epoca, musica e le tante canzoni che hanno segnato un’appartenenza straordinaria. Come straordinario era lui. Saranno presenti anche la moglie Elvira e il figlio Marco insieme a Marta e a Maurizio del “Paradiso perduto” di Canaregio di Venezia.