LA RIFLESSIONE
di Valerio Gigante*
– Esprimere pubblico sostegno al presidente del Consiglio non è, di questi tempi, attività molto in voga all’interno della Conferenza episcopale italiana. Qualche eccezione però c’è. Una di queste è rappresentata dal vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri, seguace della prima ora di mons. Giussani nel movimento Comunione e Liberazione, che nelle ultime settimane si è spesso prodotto in difese a spada tratta di Silvio Berlusconi, accompagnate da sonori rimproveri ai “bacchettoni” che ne criticano comportamenti e frequentazioni.
Mons. Negri aveva cominciato con una intervista a Libero (23/1), nella quale sosteneva che «la Chiesa deve condannare il peccato, non additare il peccatore al pubblico ludibrio. E un uomo politico non si giudica dal peccato, ma dalla capacità di servire il bene comune». Certo, ammetteva Negri, il magistero indica modelli di comportamento, «ma senza che questo voglia dire che la Chiesa interviene nella vita personale di questo o quello a dare dei giudizi e addirittura dei giudizi pubblici».
Anche perché, aggiungeva il vescovo (che probabilmente non pensava ai gay, alle coppie di fatto, ai divorziati, ai “cattolici adulti”), «chi può giudicare il cuore di un altro? Noi possiamo dire quali sono le linee giuste di comportamento e poi ciascuno nella sua coscienza vive o meno l’adesione a questi principi».
Del resto, incalzava, «la Chiesa non ha mai condannato pubblicamente i peccatori. Ha condannato il peccato. Se uno pecca, e sa di peccare, perché mai la Chiesa dovrebbe dire “tu pecchi”?».
Circa un mese dopo (28/2), arrivava una seconda intervista, questa volta alla Stampa, nella quale Negri ribadiva che «le incoerenze etiche di un governante non distruggono il benessere e la libertà del popolo», mentre «gli attacchi alla famiglia e alla sacralità della vita devastano la vita sociale». Più esplicitamente: «Sui comportamenti personali il giudizio spetta solo a Dio». Tanto più che «a far male alla società sono i Dico, la legislazione laicista, la moralità teorizzata e praticata da quanti inondano di chiacchiere sulla rilevanza pubblica di taluni comportamenti privati».
Ma non finiva qui: in un’altra intervista, stavolta al settimanale ciellino Tempi (2/3), Negri aggiungeva alle sue tesi anche un duro attacco alla magistratura («Non si era mai vista una magistratura muoversi con la prepotenza con cui lo sta facendo oggi») ed una critica nei confronti dell’indignazione che serpeggia in tanta parte del mondo cattolico e anche tra esponenti in vista della Chiesa italiana: «L’indignazione non è un atteggiamento cattolico. Tutti gli uomini di buona volontà, che sono più di quelli che sembra al di là di ogni schieramento partitico, devono guardare e portare la situazione con sofferenza, non con indignazione».
Un fiume di parole, che non è rimasto però privo di risposta: un altro vescovo, mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi, ha deciso infatti di replicare a Negri, attraverso una lettera aperta: «Per quanto giro in Italia – scrive Bettazzi – sento spesso la lamentela dei cristiani di fronte alla mancanza di “indignazione”, che Lei dice non essere “atteggiamento cattolico”, di noi vescovi di fronte al malcostume della politica, e non solo per gli scandali “privati”, ma anche per la moda invalsa di leggi ad personam, proposte, si dice, per difendersi da una Magistratura che esorbita dalla sue funzioni», «ma che in realtà non fa che assicurare che la legge sia uguale per tutti. Anche se non poche di queste accuse vengono dimostrate serie e verosimili, dal fatto che si pensa non di difendersi da esse, ma di scavalcarle con leggi specifiche e con ben calcolate prescrizioni. Quanto all’indignazione, anche Gesù più di una volta si è indignato, e proprio contro chi utilizza la posizione pubblica a difesa dei propri interessi personali o di casta».
Rispetto al preteso appoggio di Berlusconi ai “principi non negoziabili”, aggiunge Bettazzi, ciò non giustificherebbe comunque «il sostegno, senza indignazione, ad un governo che si mostra invece insensibile di fronte a quello che è il fondamentale “principio non negoziabile”, che è la solidarietà; perché se questa si esprime davanti alle vite più deboli, come sono appunto quella iniziale e quella terminale, per essere convincente, deve impegnarsi anche contro tutte le vite minacciate, come sono quelle di quanti sfuggono la miseria insopportabile o la persecuzione politica, che sono invece fortemente condizionate dal nostro Governo (quante vite umane sono sparite nel nostro mare o per le imposture della Libia!)». E poi: se Negri sostiene che dei politici andrebbe valutato solo il comportamento pubblico e non quello privato, Bettazzi replica che «già gli antichi ammonivano che noblesse oblige, cioè che chi sta in alto deve dare il buon esempio, perché esso – tanto più in quest’era mediatica – influisce sull’opinione pubblica. Ed è questo che dovrebbe preoccupare noi vescovi», non solo perché «così si diffonde l’idolatria del “fare soldi” e del “fare quello che si vuole”, che Gesù indica come la vera alternativa a Dio (“o Dio, o mammona”)», ma anche perché è la stessa Cei che da anni, «soprattutto nelle Settimane Sociali, insiste sul primato del “bene comune” come impegno specifico dei cristiani! E invece i giovani hanno poche speranze di un lavoro stabile, gli operai – soprattutto se donne – non sono difesi dai ricatti dei “padroni”, mentre gli stessi immigrati sono respinti, sfruttati, troppo spesso ricattati perché, se “in nero”, non possono protestare: giustamente Lei si richiama alla speranza che viene da Cristo, ma questa va “incarnata” nella vita concreta».
«So, caro Vescovo – è la conclusione di mons. Bettazzi – che la Sua difesa del Governo interpreta il sentimento di una certa parte del mondo cattolico; credo però che essa debba tener conto delle tante contraddizioni che questo ignora, anche per la manipolazione dei media, e che rendono così sconcertata e sofferente tanta parte dello stesso mondo cattolico, proprio anche per certe presunte coperture di noi Vescovi».
*Adista n.21 2011