IL FATTO
di Matteo Marini
– È come se non fosse di nessuno, questa chiesa. Eppure un proprietario ce l’ha. Anzi, sei. La chiesetta di Santa Maria del Monte è di proprietà della famiglia Spina, da sempre. Però si sa, con le successioni e le eredità, spesso i patrimoni si spezzano, si dividono tra fratelli e cugini e insieme, quando le responsabilità di moltiplicano, è difficile prendere una decisione anche solo per dare una mano di vernice. Figuriamoci per la manutenzione di un edificio che porta più di 300 anni sulle spalle, con tutto l’investimento che comporta. Succede anche qui:“La proprietà è divisa in tre – spiega Paolo Spina, uno dei tre fratelli marignanesi della famiglia – perché tanti erano i fratelli, mio padre e altri due. Ora però siamo sei cugini ed è difficile mettersi d’accordo. Non c’è l’intenzione da parte di tutti a mettere denaro per restaurare la chiesa”.
“In passato ci sono stati contatti anche con la curia, ma il vescovo Mariano De Nicolò disse che ci avrebbero fatto sapere”, la classica formula per dire “non credo proprio che ci interessi”. In questa storia quasi tutto è fermo, nonostante tutti sembrino muoversi. Un sussulto sembra venire solamente dalla diretta interessata, la chiesa. Un grido d’allarme con il crollo del tetto del portico l’estate scorsa, le crepe che solcano le pareti e le volte sono la profezia di un collasso che potrebbe essere imminente.
Fermi sono rimasti gli Spina in tutti questi anni: “Noi non potevamo fare più di tanto. Me ne sono occupato sempre io – continua Paolo Spina – della pulizia e di tutto il resto. Tutto a carico mio. Poi don Luigi prima e don Piero poi hanno sempre avuto le chiavi ed è sempre stata a disposizione della comunità”. È evidente che non è bastato, altrimenti non saremmo a questo punto: “Anche nelle case ci sono delle infiltrazioni, non è così strano. Noi tre fratelli, che abbiamo un terzo della proprietà, abbiamo chiesto un progetto allo studio tecnico DS, spendendo anche diverse migliaia di euro, però da soli non possiamo affrontare la spesa”.
A questo punto ci vorrebbe un deus ex machina che ci si metta d’impegno e risolva il bandolo. Il Comune è intervenuto con una proposta di perequazione sui terreni. A sentirne parlare Spina ride: “Sì ci hanno proposto una perequazione su terreni che sono solamente miei, come se fossi io l’unico proprietario della chiesa. Senza specificare altro. Non so che cosa si siano messi in testa, forse che rimettiamo la chiesa a posto e poi la cediamo al Comune? Non se ne parla nemmeno. È della nostra famiglia dal ‘600 e non abbiamo intenzione di cederla”.
Sulle condizioni della chiesa, il giudizio dello studio tecnico incaricato dai proprietari non sorprende: “Per fine gennaio dovrebbe essere pronto il progetto di consolidamento che i fratelli Spina hanno chiesto – afferma la geometra Lorenza Del Baldo – li ho visti intenzionati a risolvere il problema ma non dipende solo da loro se ci sono altri cugini di mezzo. Di certo bisogna intervenire il prima possibile, anche se non sulle finiture, per le quali la spesa salirebbe parecchio, almeno per quanto riguarda il consolidamento statico del portico e della chiesa. Ma è necessario agire sulle fondazioni, il rischio è il crollo”.
L’intervento pubblico sembrerebbe forse l’unica soluzione applicabile. La legge permette infatti l’esproprio dei beni culturali, mobili e immobili, per fini di pubblica utilità. La norma è contenuta negli articoli dal 95 al 100 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Dove è scritto che “I beni culturali immobili e mobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica
utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di
tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi”. Inoltre “Possono essere espropriati edifici ed aree quando ciò sia necessario per isolare o restaurare beni culturali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l’accesso”. Calza a pennello.
Ma cosa stanno facendo tutte le istituzioni, prima tra tutte il Comune, per favorire l’intervento del Ministero o per sollecitare gli Spina a intervenire? “Il comune in tempi non sospetti ha già dichiarato l’interesse pubblico di tutta l’area, soprattutto perché ci interessa la chiesa – spiega il sindaco Domenico Bianchi – e nel Piano strutturale abbiamo indicato come tutta il terreno sia soggetto a perequazione. In pratica diventerà pubblico dopo l’iter di approvazione”. Solo che l’iter è lungo, infatti ci si pensa da due anni e gli Spina sono decisi a combattere per tenersi una chiesa che sta andando in malora: “Da una parte fa piacere tutta questa gelosia per questo pezzo di storia – continua Bianchi – però hanno lasciato che in questi anni si riducesse nelle condizioni in cui è adesso”. Quindi si annuncia un conflitto, il Comune vuole l’area, Spina non la cede. L’unico modo per uscirne sarebbe che gli Spina risistemassero la chiesetta e la donassero di nuovo all’uso della collettività come è stato in passato. Come abbiamo visto, prospettiva tutt’altro che praticabile. Intanto nessuno ha ancora chiamato il ministero per segnalare che c’è una chiesa del ‘600 che sta collassando per avviare un iter per la requisizione dell’immobile: “Abbiamo ritenuto di seguire un’altra strada – conclude Bianchi – che passa attraverso il Piano strutturale, uno strumento consentitoci dalla normativa regionle”. Però lento. E ogni giorno è peggio, la neve ha sicuramente fatto i suoi danni, le gelate notturne continuano ad allargare le crepe. Una recinzione che impedisca l’accesso non c’è e nessuno sembra avere una responsabilità in merito, fino a quando qualche ragazzino, magari uno di quelli che in passato ha graffito quei cuori e quei “ti amo” sui pilastri del portico pericolante, non si farà male. Dopo un elenco infinito di “non” e “nessuno” resta un’osservazione, fatta dallo stesso Bianchi, che dà un po’ il senso di come non si stia facendo abbastanza: “Di questo passo probabilmente non faremo in tempo per evitare che crolli”.