L’INTERVISTA
– Nando Piccari è un grande giornalista mancato; scrive da dio. Ha dedicato tutta la vita alla politica; fortunata, ma gli è mancato sempre l’ultimo gradino per essere in cima, sindaco di Rimini (un sogno, il suo), o presidente della Provincia. E’ stato segretario del Pci e vice-presidente provinciale.
– In questa crisi economica, quale segnale dalla politica?
“Premessa: cosa s’intende per “la politica”? Questo temine, da solo, non dice molto e non qualifica nulla. Quando si parla di giustizia, si dà per scontata l’esistenza di ruoli differenti: l’accusa, la difesa, la funzione giudicante. Così come, riferendosi alla medicina, mai verrebbe in mente di chieder conto al neurologo di ciò che compete al ruolo del cardiologo. Sta invece prendendo piede l’idea che in politica ‘tutti i gatti sono bigi’, senza distinzione di responsabilità fra chi governa e chi sta all’opposizione: un pregiudizio consapevolmente o inconsapevolmente qualunquista.
Ciò premesso, rispondo alla domanda: la politica del governo, anziché esaurirsi nella truffaldina necessità di impedire che la giustizia si occupi delle schifezze di Berlusconi, dovrebbe incentrarsi sugli effetti di una crisi che, da noi più che altrove, fa aumentare disoccupazione, precariato giovanile e costo delle più elementari esigenze della vita; mentre diminuiscono servizi, protezioni sociali e si fa buia le prospettiva del futuro. Non si chiedono miracoli, ma una politica fiscale di guerra all’evasione (come aveva iniziato a fare Visco) e in grado di colpire di più le grandi e parassitarie ricchezze; insieme ad un vero abbassamento della spesa pubblica, depurata dagli sprechi. La politica dell’opposizione dovrebbe abbandonare le sue masochistiche divisioni e perseguire, per una volta, un’indispensabile coesione strategica, “inventandosi” tutto ciò che possa aiutare l’Italia a liberarsi di questo governo incapace di aggredire la crisi, anche per la sua caduta di credibilità internazionale”.
Qual è il tuo punto di vista sui costi della politica?
“Se si vuol fare sul serio, bisogna cambiare il titolo e parlare di costo della cosa pubblica, che è dato dalla somma di più voci, di cui quella che viene impropriamente chiamata ‘costo della politica’ (quando invece è il ‘costo della democrazia’) è soltanto una delle tante. Il fatto che fra i costi della democrazia ve ne siano di sacrosanti, anche fra quelli che certa ‘vulgata populista’ tende a demonizzare, non significa che tutti vadano difesi allo stesso modo; anzi, bisogna non aver paura di riconoscere che è un dovere morale, oltre che un giusto obiettivo politico, ridimensionarne ed eliminarne più d’uno, quando si tratti di privilegi non dovuti o di spese non più giustificate, che si trascinano dal passato.
Oltre alle Istituzioni e agli Enti elettivi, vanno poi sottoposti a check up anche altri soggetti pubblici, fonte di privilegi o di costose storture burocratiche, anche se da alcuni di loro proviene, non di rado, qualche “rampogna alla politica”. Solo per elencarne alcuni: Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Cnel, Prefetture, Authority, Provveditorati e Soprintendenze di diversa natura, siano santuari immacolati e intangibili?”
Perché chi parla di abbassare i costi delle istituzioni viene tacciato di populismo?
“Naturalmente, non tutto ciò che va sotto questo segno è populismo. È populista – anzi di più: è qualunquista – chi, per esempio, continua genericamente a urlare contro ‘i politici che non vogliono rinunciare ai loro privilegi’, anziché denunciare che pochi giorni fa, in Parlamento, è stata la destra di Berlusconi, Bossi e Scilipoti a bocciare una precisa proposta avanzata in tal senso dal centrosinistra. Se non si vuol essere dei ‘beccaccioni’, bisogna capire che alimentare il ‘populismo dell’anti-casta’ costituisce la principale arma di difesa a cui ricorrono proprio coloro che temono una vera battaglia politica contro i soprusi e privilegi su cui si regge il loro potere. Non è un caso che alla testa di questa opera di mistificazione ci siano il ‘letamaio editoriale’ dei Feltri, Belpietro e Sallusti e l’insopportabile cialtroneria del ‘grillo qualunque’, che rappresenta ‘il lato B’ del berlusconismo”.
E’ stato un anticipatore della questione morale nella sinistra, qual è la tua sensazione oggi?
“Qualche volta di aver perso tempo; qualche altra di aver dato un piccolissimo contribuito a non disperdere l’idea che ‘fare politica’, contrariamente a quanto pensano in troppi anche nel Pd, non possa solo alimentarsi di ‘programmi’, ma abbia prima di tutto bisogno di ‘valori’”.