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Home Località Cattolica

Giuseppe Marcucci, 16 anni di lavoro per la nave ammiraglia di Nelson

Redazione di Redazione
11 Agosto 2011
in Cattolica
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
A A

PERSONE

– Ignazio Sanchi e Marino Morosini si presentano a casa di Giuseppe Marcucci, il genio, alle 8 del mattino, ai primi dello scorso maggio. I due si presentano così: “Su indicazione di Gianfranco Tonti, siamo venuti a vedere la barca”. Da buon padrone di casa, Marcucci presenta e racconta il suo modellino-opera d’arte, H.M.S. (Her majestic shipping, la nave di sua maestà) Victory (sulla quale vinse e morì l’ammiraglio Nelson nella battaglia navale di Trafalgar contro Napoleone). Dopo averlo ascoltato, replicano i due: “Sì, fa al caso nostro. Lo possiamo portare via. Magari non te lo restituiamo più. Qui è sprecato, lo dobbiamo far ammirare ai turisti”.
Ad essere felice del trasloco è Vincenzina Girometti. La signora Marcucci da 14 anni deve sopportare, sotto una teca a protezione, l’ingombrante oggetto nel salotto di casa. La ditta di traslochi “Tiraferri” di Rimini sposta il monumento da via Garibaldi 138, in via Mancini, nella hall dell’ufficio del turismo di Cattolica. Si trova sulla sinistra, in una teca di plexiglas, non appena varcato l’ingresso. Anche agli occhi dei profani si vede che la nave comunica la magia dell’intelligenza. E’ la copia quasi perfetta della storica nave che è ancorata a Portsmooth, Inghilterra. Qui ha sede il comando della marina militare inglese. In pratica è un ufficio dal fascino unico.
Il modellino-opera-d’arte è stato varato nel ’97, dopo 16 anni e circa 8.000 ore di lavoro. Diamo altri numeri, anche se non sono proprio costoro a dare il senso del livello del monumento costruito dal genio cattolichino, come più avanti vedremo. In scala 1:48 (tipica inglese). Se il veliero da guerra vero è lungo 56 metri, il modellino, altrettanto vero ed inaffondabile, è lungo un metro e venti centimetri dal rostro di prua allo specchio di poppa. Ci sono 1,1 chilometri di cordame sui tre alberi ed il traverso. Le dormienti, ovvero quelle che non si azionano, sono nere e sono state trattate come se dovessero essere utilizzate, catramate e passate con cera d’api. Invece, le corde bianche, cosiddette correnti, che si usano per la velatura, sono lunghe 300 metri. Lo scafo di rovere, è ricoperto, come l’originale, di circa 2.000 mattonelle di rame; ogni mattonella è ancorata da 12 chiodini sempre di rame. Marcucci ha conficcato i chiodini uno dopo l’altro, fino a totalizzarne 24.000.
Lungo lo scafo, su tre ordini, intimoriscono i 100 cannoni. In bronzo, Marcucci li ha modellati col suo speciale tornio. In coperta, invece due carronade, cannoni di grande calibro e bassa gittata, col compito di sfondare il legname delle navi avversarie.
Il quadrato ufficiali a poppa su tre piani è una bellezza nel bello; dai finestroni si intravede anche l’arredo. Il primo piano è la sala da pranzo; il secondo l’appartamento del comandante (Hardy, un antenato del comico Oliver, mentre Nelson come comandante di tutte le navi, era un ‘semplice’ ospite).
Il ponte è da scrutare con occhio certosino. L’immenso parapetto con “gomitoli” bianchi non è altro che le amache dei marinai messe ad asciugare dopo averle lavate. Durante le battaglie, bagnate e arrotolate con sapienza, riuscivano a fermare i colpi dei fucili. Marcucci: “Nelson fu ferito a morte perché si sporse troppo oltre le amache; voleva vedere meglio l’andamento dello scontro per impartire comandi più efficaci”.
Tutta la struttura in legno è costruita come l’originale, in mutuo compenso, cioè ogni doga, trave, ecc… deve reggere l’altro e resistere il più possibile a intemperie e stupidità della guerra. Insomma, il Victory di Giuseppe Marcucci è un assoluto, con punte di creativa intelligenza per far durare il modellino all’infinito. Ha seppellito nella stiva due chili di naftalina anti-tarme. Il modellino ha anche migliorato la barca originale. Si è inventato, Marcucci, una serie di camini nascosti, capaci di creare flussi d’aria per combattere l’umidità, che lentamente corrode il legname. Questo è il suo terzo Victory. Ed è stato fatto benissimo. I primi due erano più da hobbisti, meno fedeli. Il primo, nel ’76, fu venduto a Paolo Tamburini; l’altro, nell’81, invece, fu acquistato da Marcello Della Biancia.
Sessantacinque anni, sposato, due figli, Annalisa (psicologa) e Francesco, Marcucci è un perito meccanico, che ha studiato a Fermo in collegio (parla perfettamente il fermano). Fin da bambino ha una caterva di passioni: suona la chitarra e l’armonica a bocca (da giovane formava una band con Pierluigi Vanzolini, Fabio Badioli e Fabio Biordi), dipinge, fotografa, raccoglie basi musicali (ne ha 50.000). Il suo primo modellino, un rimorchiatore di compensato, lo fece ad 8 anni.
Della sua passione afferma, con due occhi neri scintillanti e una chioma e baffi argentati: “A n’è un giogh, il modellismo. Ma una ricostruzione fedele del vero”. Marcucci è un profondo conoscitore delle tecnologie costruttive. Se qualcuno avesse voglia, coordinerebbe squadre di artigiani per costruire un Victory in scala 1:1. Quando lavorava alla Montedison, progettava scambiatori di calore per l’industria chimica e petrolifera, nella pausa-pranzo andava a consumare il suo panino ai cantieri navali Dino Rondolini di Pesaro, un cugino del babbo. Anche Rondolini aveva un panino nelle mani e gli raccontava i segreti del cantiere.
Licenziato dalla Montedison, Marcucci va a progettare banchi-bar all’Ifi di Tavullia. Ha un sogno: fare un modellino della stazione di Cattolica.

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