STORIA
Le Romagne tra “stato indipendente” e Unità d’Italia
di Luigi Sartoni
Furono annesse al Regno di Sardegna un anno prima dell’Unità d’Italia. Era il 18 marzo del 1860
– Andar per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia è l’occasione per approfondire le vicende – non del tutto lineari – che portano al “passaggio” delle Romagne (intendendo con ciò le quattro Legazioni e cioè, oltre a Forlì e Ravenna anche le provincie di Bologna e Ferrara) all’Italia, anzi, più precisamente al Regno di Sardegna. Infatti, come noto, l’atto di nascita del Regno d’Italia risale al 17 marzo 1861, mentre le Romagne furono annesse al regno sardo un anno prima ed esattamente il 18 marzo 1860. Ma come avvenne questa annessione?
L’antefatto è la II guerra d’indipendenza, dichiarata il 26 aprile 1859 e che vede i franco-piemontesi combattere in Lombardia contro gli austro-ungarici, ma il “detonatore” che provocò le ribellioni a sud del Po nei Ducati e nelle Romagne fu la sconfitta austriaca a Magenta il 4 giugno 1859.
A seguito di tale sconfitta la guarnigione austriaca di stanza da tempo a Bologna (a difesa dell’autorità pontificia) nella notte dell’ 11 giugno si ritirò a Ferrara: il giorno seguente, a seguito di tumulti popolari “ben diretti” il Legato abbandonò Bologna e la Magistratura (cioè la giunta comunale) nominò una Giunta Provvisoria di Governo.
Anche negli altri centri, partito il Legato o altro rappresentante pontificio, le Magistrature nominarono Giunte Provvisorie di Governo: il 13 giugno a Ravenna, il 17 a Forlì, Cesena e Rimini, il 21 a Ferrara.
Le Giunte erano ovunque composte da liberali moderati filopiemontesi o bonapartisti (come il marchese Gioacchino Pepoli a Bologna, cugino di Napoleone III), con esclusione di elementi patriottici democratici-mazziniani e di liberali radicali.
Il 22 giugno, “liberate” tutte le Romagne (l’ultima città lasciata dagli austriaci fu Ferrara) la Giunta bolognese si autonominò Giunta Centrale di Governo, esercitando una autorità di fatto su tutte le città romagnole. Tra i primi atti della Giunta vi è la richiesta a Vittorio Emanuele II dell’invio di un commissario, il che avvenne l’11 luglio con l’arrivo di Massimo d’Azeglio, accompagnato da due battaglioni di bersaglieri.
L’adesione al regno sabaudo sembrava ormai a portata di mano: già era stata adottata (28 giugno) la lira e suoi decimali al posto dello scudo/quattrino/baiocco (una curiosità: il cambio fu di 5 lire per uno scudo…), D’Azeglio di fatto esercitava pieni poteri su tutte le Romagne, l’ordine era garantito da truppe piemontesi giunte a dar manforte ai Veliti (ex Gendarmeria pontificia) anche se la transizione dal vecchio al nuovo regime avvenne ovunque in modo pacifico, né si verificarono da parte del nuovo governo atti ostili alla religione cattolica o verso esponenti della passata amministrazione.
Peraltro, va osservato che il Governo Pontificio mai intraprese, per tutto il periodo considerato, azioni militari per ristabilire la propria sovranità nelle Romagne (a differenza di quanto avvenne in Umbria e nelle Marche) limitandosi a proteste verbali, pressioni diplomatiche e molte scomuniche.
Province secessioniste
Senonchè i negoziati di pace di Zurigo, che fecero seguito all’armistizio di Villafranca tra franco-piemontesi ed austriaci, nel sancire il passaggio della Lombardia al Piemonte, nulla stabilirono circa il destino delle Romagne, che – a differenza dei Ducati, stati autonomi – erano provincie “secessioniste” di uno stato non solo ancora esistente, ma che per le sue particolari caratteristiche godeva di ampie protezioni internazionali!
Il D’Azeglio rientrò a Torino (dopo aver tuttavia ordinato al generale Mezzacapo di schierarsi a sud di Rimini a difesa dei confini verso le Marche) ed il Consiglio Centrale di Governo nominò (il 2 agosto) Capo del Governo Leonetto Cipriani, corso e bonapartista, mentre dietro le quinte Napoleone III manovrava per costruire un Regno Centrale con la Toscana da affidare al fratello Girolamo.
Stato indipendente
Mai come nell’estate 1859 il “sogno” unitario divenne tanto lontano: con Cipriani – che governò dal 2 agosto al 7 novembre – le Romagne si organizzarono come stato indipendente:
– l’8 agosto fu convocata l’Assemblea Nazionale e nelle elezioni svoltesi il 28 dello stesso mese furono eletti 123 deputati (25 nella provincia di Forlì di cui 10 nel riminese) tutti rappresentanti della borghesia moderata cittadina e di quella terriera nelle campagne, che si riunirono la prima volta il 1° settembre nel palazzo dell’Accademia delle Belle Arti a Bologna;
– il 27 agosto fu istituita la Cassazione a Bologna ed organizzato un sistema giudiziario autonomo. Sempre a Bologna fu insediato il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti;
– il 30 agosto apparvero i primi francobolli delle Romagne;
– fu fissata al 1° gennaio 1860 l’adozione del “Codice Napoleone civile, organico e di procedura”.
Regno di Sardegna
Tuttavia la larghissima maggioranza dei deputati eletti all’Assemblea Nazionale nutriva sentimenti unitari (tra tutti citiamo Marco Minghetti) e pertanto, dichiarato il 6 settembre decaduto il potere temporale pontificio, il giorno successivo venne votata la seguente dichiarazione “Noi, rappresentanti i popoli delle Romagne, dichiariamo che i popoli delle Romagne vogliono l’annessione al Regno Costituzionale di Sardegna, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II”, dichiarazione di cui Vittorio Emanuele avrebbe tenuto conto perorando la causa delle Romagne presso le Grandi Potenze.
Il piano politico di Cipriani, pur ridimensionato dai fatti appena descritti, non era però del tutto tramontato, anzi, nell’autunno si fece avanti ancor più forte l’idea di uno Stato Centrale tosco-emiliano-romagnolo da affidare non più ad un Bonaparte ma al Principe Eugenio di Savoia Carignano.
Poi il progetto non si realizzò per intero per la resistenza “toscana”, mentre più facile fu l’intesa con i governi provvisori instauratisi a Modena ed a Parma, ove preminente era la figura di Luigi Carlo Farini, un romagnolo filopiemontese al mille per cento.
Si giunse così il 7 novembre a deliberare la reggenza del Principe Eugenio di Savoia Carignano, cui seguirono le dimissioni del Cipriani (ormai in dissidio aperto con i filopiemontesi) ed il giorno 8 novembre il conferimento dei pieni poteri di governo (in attesa dell’accettazione della reggenza da parte del Carignano) a Farini, già Dittatore di Parma e Modena.
Iniziò nelle Romagne – pur mantenendosi come stato indipendente – una politica legislativa parallela a quella piemontese, con l’assimilazione di leggi, regolamenti ed ordinamenti, e non ultimo – con l’adozione “di principio” dello Statuto Albertino, mentre il Farini risultò contemporaneamente capo di governo di tre stati diversi: una “anomalia” che cessò il 1° gennaio 1860 quando le provincie modenesi, parmensi e romagnole si fusero in una nuova entità denominata Regie Provincie dell’Emilia.
In tutti i modi il Farini cercava di “forzare” gli eventi nella direzione unitaria, nonostante la non chiara situazione internazionale: a seguito delle pressioni francesi il Carignano rifiutò l’offerta di reggenza, mentre le pressioni pontificie sugli stati cattolici (Austria, Baviera, Spagna, Regno delle due Sicilie e – più di tutti – Francia) spingevano per un ritorno delle provincie ribelli.
La situazione rimase in stallo fino a quando – raggiunto un accordo tra Francia e Piemonte riguardo Savoia e Nizza – ed ottenuto il placet anche dall’Inghilterra – “le due potenze non si sarebbero opposte ad un voto di annessione di quegli Stati (Province dell’Emilia e Toscana) al Piemonte”: era la tanto attesa “via libera” all’annessione e per tale espressione di voto si scelse (solo per questa occasione!) la forma del plebiscito con suffragio universale maschile (mentre per tutte le altre elezioni si sarebbe adottata la legge elettorale sarda, a base censitaria)1.
In tale contesto, Farini governò da Modena con piglio autoritario, sempre seguendo una politica legislativa improntata al più intransigente laicismo e pedissequamente ricalcata sul modello piemontese.
I plebisciti si svolsero l’ 11 e 12 marzo, gli elettori (maschi maggiori di 21 anni, anche se analfabeti) furono chiamati a pronunciarsi sulle due seguenti proposte:
“Annessione alla monarchia costituzionale di Re Vittorio Emanule II” ovvero “Regno separato”.
Il plebiscito
Nelle Romagne, su 252.727 iscritti i votanti furono 203.384 (80,5%), i voti per l’annessione 202.659 (99,7%), quelli per il Regno separato 254 (0,1%), i nulli 471 (0,2%).
Il 18 marzo i risultati del plebiscito furono presentati dal Farini a Vittorio Emanuele II che accettò: da quel giorno anche le Romagne – come le altre provincie dell’Emilia – entrarono a far parte del Regno di Sardegna.
Le elezioni
E dopo? Il 25 marzo si tennero in tutto il Regno – e quindi anche nelle provincie romagnole – le elezioni politiche generali – Le candidature cavourriane ebbero ovunque un grande successo, la destra reazionaria scomparve quasi interamente, la sinistra radicale ebbe poche decine di seggi e furono eletti anche alcuni democratici tra cui Garibaldi. Il Farini fu nominato ministro degli interni. L’ 11 maggio i Mille sbarcarono a Marsala, l’11 settembre i piemontesi entrarono nelle Marche.
1 Elettori maschi, maggiori di 25 anni, alfabeti, che paghino un censo annuo superiore a 40 lire
1859, deputati eletti
TAVOLA 3
Deputati eletti il 28/8/1859 nell’Assemblea Nazionale delle Romagne nei collegi riminesi
Rimini: Salvoni conte Vincenzo, Bilancioni conte Enrico, Fabri Primo, Serpieri avv. Achille Coriano: Salvoni conte Luigi Santarcangelo: Mazzotti avv. Raffaele
Savignano: Giorgetti Diego Verucchio: Ripa avv. Luigi Saludecio: Albini avv. Achille San Giovanni: Carnevali Achille
CURIOSITA’
I comuni cambiano nome
TAVOLA 1
L’unità d’Italia fu l’occasione per una rivisitazione della denominazione di molti comuni, al fine soprattutto di distinguerli da omonimie. Anche il nostro territorio fu interessato da diversi cambi di nome…
MORCIANO – Morciano di Romagna
MISANO – Misano in Villa Vittoria – Misano Adriatico
MONTEFIORE – Montefiorito – Montefiore Conca
MONTESCUDOLO – Montescudo
SAN MAURO – San Mauro di Romagna – San Mauro Pascoli SANTARCANGELO – Santarcangelo di Romagna
SAVIGNANO DI ROMAGNA – Savignano sul Rubicone
SOGLIANO – Sogliano sul Rubicone
Elezioni 1859, gli aventi diritto
TAVOLA 2
– Dalla Legge elettorale per la elezione dei Consigli Comunali e dell’Assemblea Nazionale della Romagna (1859).
“Sono lettori i cittadini maggiori dei 21 anni, i corpi morali possidenti (escluse le sole aggregazioni di donne) e sono esclusi dall’elettorato attivo gli interdetti, i falliti, gli operai, i mezzadri, i condannati per delitto infamante, i mendicanti”.
“Sono eleggibili i maggiori di 25 anni purchè elettori”.
“L’elezione è invalida se non vi partecipa un terzo degli elettori”.
– Dalle Norme per la partecipazione alla Guardia Nazionale della Romagna (1859).
“Sono esclusi i coloni, le persone di condizioni servili, i braccianti, gli esercenti di mestieri abbietti”.
“La Guardia Nazionale può essere sciolta ove si immischi in atti non propri o deliberasse di fare indirizzi e petizioni”.