L’INTERVISTA
– Sta ancora studiando “riminologia”, da un paio di mesi catapultato in città sulla poltrona di assessore alla Cultura della nuova giunta Gnassi, Massimo Pulini proverà a mettere la sua firma sul programma dell’offerta artistica a largo spettro di Rimini. Una “piantumazione” estetica, per seminare i germogli del bello in giro per la città. Del bello lui ha piena conoscenza, professore all’Accademia delle belle arti di Bologna, studioso esperto di pittura del ‘600 e pittore lui stesso. Sposato, separato, condivide la sua casa di Montiano, sui colli forlivesi, con tre gatti (anche se ammette di averne avuti fino a 14) e i suoi quadri. Alle pareti del suo ufficio i calchi di Giove e Apollo, i due volti decorativi entro i clipei dell’arco di Augusto e un’enorme tela, un vaso di fiori, dipinta da lui.
Dunque: la Cultura a Rimini. Da dove si comincia?
“Premetto che non sono un politico ma un tecnico. E sono appena arrivato. Non ho mai vissuto a Rimini e quindi sto ancora studiando. La situazione che c’è qui ma che c’è dappertutto, Rimini non è diversa dal resto dell’Italia, è una situazione di stallo per quanto riguarda l’arte figurativa. Mentre gli altri settori sono in qualche modo tutelati con incentivi, per la musica, il teatro, anche il cinema. Se si tratta soprattutto di arte contemporanea siamo fermi, in questi decenni non le è stata data voce”.
Per questo ha rispolverato una legge di 62 anni fa?
“Sì la legge 717 del ’49 esiste ed è in vigore. Il principio è molto giusto, quello di destinare il 2 per cento del budget per la costruzione o la ristrutturazione di un edificio pubblico all’acquisto di un’opera d’arte contemporanea che lasci una testimonianza artistica del proprio tempo. Naturalmente da individuare con bando, ma deve essere una cifra prevista già da subito. Finora invece è stata ingiustamente disattesa. La legge si ispira a una analoga del ventennio, infatti non esiste palazzo di quell’epoca che non abbia una statua o un bassorilievo di pregio. Questo intendo con ‘riforestazione del bello’”.
Ha già in mente qualche luogo in particolare?
“Si parla del tribunale. Quello è un edificio statale ma la legge vale per tutti gli edifici. Quindi spingeremo perché quello sia il primo. Poi la colonia Murri, della quale dovrebbe cominciare presto l’opera di ristrutturazione”.
Come linea programmatica invece cosa possiamo dire?
“Tra le mie deleghe mi piace molto quella alla ‘Identità dei luoghi e degli spazi’. Ripeto, io sono un tecnico, vengo dal settore museale ed espositivo e riguardo a questo ho le idee più chiare. Gli altri come la musica, il cinema e il teatro hanno già una loro struttura consolidata. Le prime idee riguardano la risistemazione degli spazi espositivi con una logica e organicità delle proposte. Negli ultimi anni l’amministrazione ha più risposto a domande dall’esterno invece di dare degli input suoi”.
Qualche esempio?
“Palazzo del Podestà e dell’Arengo. Ora ospitano una serie di iniziative senza un criterio preciso, mischiate come se fosse una piazza coperta. Esposizioni, iniziative di beneficenza o dedicate agli appassionati di un settore. Sia chiaro, non voglio azzerare nulla. Solo dare una logica coerente. Le stanze al piano terreno potranno ospitare mostre d’arte contemporanea. È l’amministrazione che diventa committente e non solo ospitante. Poi c’è il museo della città da valorizzare con il completamento della nuova ala nella quale troveranno posto anche i reperti archeologici della domus del Chirurgo e in alcuni spazi collezioni felliniane. E il museo degli sguardi, un patrimonio da valorizzare che tuttora è poco frequentato”.
Le iniziative che hanno avuto più successo ultimamente sono quelle tenute a Castel Sismondo, Gauguin e gli impressionisti. Che però vengono “acquistate” da fuori e non realizzate da Rimini, che ne pensa?
“Quelle di Castel Sismondo sono mostre organizzate dalla Fondazione Cassa di risparmio di Rimini, non siamo noi, non è di nostra competenza intervenire in questo tipo di scelte. Anche se spero che in futuro l’amministrazione possa collaborare con la fondazione”.
Ma non ci sono solo i musei…
“Per gli altri settori mi sto facendo accompagnare dai tecnici e il progetto lo sto facendo adesso, mano a mano. L’idea per ora è di continuare ad appoggiare le iniziative che già sono attive e hanno successo, Assalti al cuore, la Sagra malatestiana, il Festival del Mondo antico da riattivare a pieno…
Anche per il teatro vogliamo seguire l’esempio di altre città, penso a Cesena, che hanno aperto laboratori e spazi al pubblico attraverso piccoli festival”.
Lei è esperto d’arte del ‘600. Cosa pensa di portare a Rimini?
“L’eccellenza. Cose che la città non ha visto, che non conosce e allo stesso tempo valorizzare i diamanti del nostro territorio che potrebbero diventare i fulcri attorno ai quali far ruotare mostre e iniziative. La Pietà del Bellini potrebbe essere il baricentro di una serie di altre opere che travalichino anche i tempi, accostare per esempio a quella tela un video di Bill Viola. Una vitalità nuova per portare a Rimini opere di livello internazionale”.
Che rapporto vede tra la città e il suo entroterra? Si può creare una collaborazione con le altre realtà del territorio? Per esempio iniziative come San Leo 2000 che interessano il paesaggio come museo a cielo aperto per conoscere le opere di artisti come Piero della Francesca.
“Ci deve essere, anche se ancora non ho un progetto preciso per questo, serve lavorarci e prendo questa domanda come un buon suggerimento.
Diciamo che una delle battaglie sarà contro il fotovoltaico selvaggio. Ci siamo appena salvati dal nucleare, ora dobbiamo salvarci dal fotovoltaico dei campi che con gli incentivi indiscriminati sta rovinando il paesaggio. Il fotovoltaico deve stare sui tetti delle case e dei capannoni non nei campi. Così come mi piacerebbe riportare l’acqua sotto il ponte di Tiberio. Dopo la deviazione del Marecchia è rimasto appena un rivolo patetico. Anche questa è ‘identità dei luoghi’”.
Prima ha citato la Murri. Le colonie sono esempi anche di eccellenza architettonica del nostro territorio. Lei è professore all’Accademia delle Belle arti di Bologna, come pensa si debba agire?
“Penso che siano un potenziale enorme e un’occasione per reinterpretare un patrimonio con un concorso di idee. Stando attenti però, perché da quando l’architettura è uscita dalle accademie ed è entrata nelle università ha un po’ perso il contatto con l’arte e con il bello”.
Che opinione si è fatto in questo dibattito sull’Università e le sedi decentrate?
“Non posso dire di avere ancora tutto chiaro nel dettaglio. La ramificazione dell’ateneo, non solo formale, che valorizzi le peculiarità di un territorio, nel caso di Rimini si parla di turismo, è una risorsa preziosa.
Lei è un tecnico ma quest’ultima è una frase da politico…
“E’ vero… chiedo scusa…”.
Sta imparando… (ride)