SCUOLA
di Matteo Marini
– Sarà una battaglia dura, che sembra già persa in partenza. Quella dei genitori di 18 bambini che a settembre, zainetto nuovo in spalla, varcheranno la soglia dell’aula della prima elementare per il loro primo giorno di scuola. A San Giovanni. 27 ore settimanali, un solo rientro pomeridiano. Eppure al momento dell’iscrizione i genitori dei nuovi scolaretti avevano fatto richiesta per avere il tempo pieno: 30 ore alla settimana, sei al giorno con il sabato a casa. Dalla segreteria della scuola, dopo qualche mese di attesa, è arrivato alla fine il “no”. Il motivo è la mancanza di risorse. Insomma non ci sono soldi per un insegnante in più che possa garantire l’insegnamento anche al pomeriggio. Può sembrare cosa di poco conto solo se non si fa lo sforzo di calarsi nei panni di genitori che lavorano e che al pomeriggio non saprebbero come giostrare le ore “libere” dei figli.
San Giovanni poi, con il suo polo industriale che conta almeno 2.000 addetti, è terra dai ritmi produttivi elevati.
Che fare? Scrivere, innanzi tutto. L’appello firmato da 11 delle 18 famiglie è arrivato sul tavolo dell’assessore comunale all’Istruzione, Nicola Gabellini, della dirigente dell’Istituto comprensivo Anna Sanchi e, tramite loro, fino alla scrivania della dirigente dell’ufficio scolastico provinciale: Agostina Melucci.
“Quest’anno abbiamo 15 classi in lista d’attesa in tutta la provincia – spiega la Melucci alla Piazza – che non saranno soddisfatte perché non c’è, in vista, nessuna nuova classe a tempo pieno per il 2010-2011”. Quello dei genitori di San Giovanni non è l’unico coro di protesta. Il problema interessa tutta la provincia di Rimini:“Anche altri come a Santarcangelo e Morciano, in tutto saranno cinque o sei scuole, hanno protestato perché non è stato attivato il tempo pieno nonostante la richiesta. Però sono meno degli anni scorsi. I genitori cominciano a capire che il modello di scuola è cambiato e si organizzano di conseguenza”.
L’andazzo, d’altronde, è quello da tempo. Negli istituti statali della provincia, nelle scuole primarie, sono venuti a meno 170 insegnanti solo l’anno scorso e 76 quest’anno. La direzione impressa dal ministro Gelmini è quella della mannaia e le risorse, il denaro, invece che aumentare diminuiscono.
Ma come funziona il tempo pieno? I requisiti sono un numero minimo di alunni, almeno 18. La richiesta delle famiglie di usufruirne e, appunto, le risorse. Il principio è quello del “pareggio”: per una classe quinta a tempo pieno che esce, una prima può essere attivata senza utilizzare ulteriori danari: “Non si possono fare miracoli – spiega con decisione Anna Sanchi, dirigente dell’Istituto – l’anno scorso siamo riusciti a garantire a una classe il tempo equivalente, che però non era tempo pieno, solo grazie a una riorganizzazione interna. Quest’anno di risorse non ne abbiamo e, a meno che non ci siano delle rinunce, delle risulte, non riusciremo ad attivare altri tempi pieni in altre classi”. La filiera che sembra una questua parte dalla scuola con la richiesta del numero di classi da attivare. Passa per Rimini dall’ufficio scolastico provinciale e fa tappa a Bologna, dove convergono tutte le domande della regione. Da Bologna parte tutto il plico verso viale Trastevere a Roma, dove ha sede il Ministero della pubblica istruzione. E cominciano i dolori.
“Ma il comune non può fare niente?” E’ lo sfogo di una delle madri. Anche Gabellini, l’assessore comunale competente, è costretto però ad allargare le braccia, dopo essersi fatto ambasciatore dei genitori davanti alla Melucci: “La situazione è pesante, il Comune già stanzia fondi per la scuola per servizi come lo sporzionamento dei pasti e la sorveglianza pre e post- scuola (quasi 40.000 euro, più i contributi per gli educatori di sostegno, quasi 100.000 euro). Per noi non è possibile far fronte ai costi di una maestra in più”. Servirebbero infatti almeno 30.000 euro per una maestra aggiuntiva ma anche se si trovassero i soldi comunque il problema non sarebbe risolto. Per dirla con le parole di Anna Sanchi, sarebbe una somma senza utilità perché “non posso pagare lo stipendio a una figura che non è prevista in organico”. La provincia di Rimini, osserva ancora Gabellini, che spera ancora in un colpo di fortuna “soffre un divario notevole rispetto alle altre della regione. La percentuale di classi a tempo determinato sul totale da noi è la più bassa: solo il 20 per cento, contro per esempio il 70 per cento di Modena. Sappiamo che in periodo di crisi è inutile chiedere quello che non c’è, ma speriamo che da eventuali rinunce sia la nostra provincia e in particolare il nostro comune a beneficiarne”.