PERSONE
– Con Ferdinando Staccoli inizia un viaggio in cerca di amministratori e politici dei decenni passati. Vedremo com’era la politica allora e com’è oggi. Differenze e similitudini. Quali erano i valori e i sentimenti.
– Ferdinando Staccoli è stato sindaco di Montegridolfo per 10 anni. Dal 1975 al 1985. Del Partito comunista italiano, l’antenato del Pd. Un bel sindaco. Proveniva da una famiglia di mezzadri galantuomini. Nel 1970, il possidente, i Merli di Casinina, vende il podere. Viene proposto agli Staccoli. Firmano il rogito, ma il finanziamento agricolo giunge soltanto due anni dopo. Bravissimi i Merli a fidarsi, non meno bravi gli Staccoli. A raccontare l’episodio nel mondo degli affari di oggi, sembra una favola.
Una volta gli italiani erano così. La stretta di mano aveva più valore di una firma su una pila di fogli davanti al notaio. E se il Paese ce l’ha fatta economicamente è stato proprio per questa coesione sociale. Per la fiducia reciproca.
Quel mondo andava oltre l’appartenenza dei partiti. Aveva un suo carattere. Una sensibilità verso gli altri. Staccoli: “Mio nonno e mio babbo ci hanno sempre insegnato il bene. Dicevano che se non puoi aiutare una persona, non fargli del male. Gli stessi valori li ho detti ai miei figli e li ho ripetuto ai miei nipoti”.
Montegridolfo, con meno di mille abitanti, allora era il comune più piccolo della provincia di Rimini. Non proprio facile di guidare e con gli stessi problemi di territori più complessi. Staccoli andava in Comune tutti i giorni. Apriva tutta la posta per tenere sotto controllo la situazione. Durante i suoi 10 anni di governo, gli capita di dover fare una variante al Prg (Piano regolatore generale) appena fuori del borgo per cercare di aumentare gli abitanti. Il proprietario della terra lo prega con queste parole: “Non farlo, che mi rovini”. Preferiva metterci le barbabietole in quelle terre e lavorare al facile guadagno. Altri tempi, altra gente, altri valori. Oggi, i sindaci hanno la fila; tutti chiedono lottizzazioni, cemento e altro ancora.
A chi gli domanda se qualcuno, nonostante i poveri interessi di Montegridolfo e la sua riconosciuta graniticità etica, gli avesse fatte proposte tristi, risponde: “Una sola volta cercarono di allungarmi una busta. Dissi che in casa mia era sempre il benvenuto per mangiare e bere; per il resto era meglio non farsi più vedere”.
Il Pci per molti storici ha portato una ventata di calvinismo in Italia, ovvero serietà e rigore. Staccoli: “Eravamo un partito serio. Se oggi la sinistra fosse come allora, chi non ci voterebbe? Anche il più contrario, sarebbe con noi. Ci troviamo di fronte ad una sinistra di allevamento, tipo Veltroni. Alla morte del Pci, mentre noi piangevamo negli angoli, un giornalista gli chiese come mai festeggiasse. Rispose che non era mai stato comunista. Per la poltrona sì. Costoro nelle riunioni fanno bei discorsi, da intellettuali, ma in concreto? Bersani vuole mandare a casa Berlusconi, ma prima dovrebbe indicare agli italiani che cosa vorrebbe fare lui per costruire una società migliore. Insomma, mettere in fila un po’ di cose da fare e chiedere”.
“Personalmente – continua Staccoli – mi riconosco in Rifondazione comunista. Spero in un’unificazione tra la Federazione della sinistra e il Sel di Vendola. Sono 20 anni che noi base costruiamo, mentre il vertice si diverte a distruggere. Che senso ha cambiare, come ha fatto la sinistra, per essere come gli altri. I problemi italiani di oggi sembrano quelli del 1948. Essere di sinistra significa operare per il bene comune. Per coloro i quali sono meno fortunati. Modernizzare il Paese con le infrastrutture. Senza riempirsi la bocca, ma in concreto. Che senso ha dirsi di sinistra o di destra oggi? Quando ci sono problemi comuni come l’evasione fiscale, per esempio”.
Settantatré anni, sposato due figli, grande passione per le bocce (non appena finisce di mangiare la sera si fionda al bocciodromo per la briscola, il tressette e la scala quaranta con gli amici), Ferdinando (nome di origine tedesca che significa sicurezza e coraggio) entra nel Pci giovanissimo, a 16 anni, nel ’54. Segue le orme della famiglia, lo zio Rodolfo era stato consigliere comunale e segretario. A poco più di 20 anni diventa segretario. Va per le case a vendere l’Unità tutte le domeniche mattine. Ne “vendeva” una quarantina. Quando qualcuno non pagava ci rimetteva di tasca propria. Oltre, a fare il contadino nel famoso podere pagato dopo due anni dall’acquisto, Ferdinando Staccoli è imprenditore. Insieme ai due figli, gestisce un grande magazzino con prodotti per l’agricoltura (dalle sementi alle macchine agricole), per il giardinaggio.
Del suo allontanamento dalla politica attiva, ricorda: “Nella seconda legislatura, tra l’80 e l’85, capisco che l’azione amministrativa è sempre meno il luogo per persone serie e oneste. I dirigenti riminesi argomentano che la politica richiede compromessi, al di là di quello che è giusto”.
Ma quali sono i giorni belli per chi amministra? “Quello delle elezioni. Della vittoria. Quando si è chiamati ad amministrare si è sulla giostra delle arrabbiature”.