La presente indagine ha valutato un campione casuale di 25 giardini zoologici italiani. I requisiti della Direttiva, al momento della sua ratifica nel 2005, risultavano effettivamente recepiti nella legge italiana. Tuttavia, l’efficacia degli stessi è venuta meno a seguito di alcune modifiche apportate al D.Lgs. 73/2005 nel gennaio e nell’aprile del 2006. Una successiva revisione delle norme nel 2008 ha ovviato a gran parte di tali carenze, ma da allora in poi il processo di effettiva attuazione e applicazione della legge nazionale è risultato lento e di portata limitata. Solo 5 dei 68 “giardini zoologici” registrati in Italia hanno una licenza.
Le ispezioni dei giardini zoologici da parte della Commissione preposta sono minime e, anche se talune Regioni sembrano essere più attive e propositive rispetto ad altre, la maggior parte dei giardini zoologici italiani esercita la propria attività senza aver ottenuto una licenza e senza essere soggetta a regolamentazione. Come previsto, solo una scarsa minoranza del campione rappresentativo di giardini zoologici è conforme ai requisiti minimi di cui al D.Lgs. 73/2005 e, per quanto applicabili, a quelli del D.M. 469/2001. I risultati indicano che i giardini zoologici italiani, che siano o meno affiliati all’UIZA o all’EAZA, forniscono un contributo insignificante al mantenimento ed alla riproduzione delle specie a rischio di estinzione, a programmi di ricerca riconosciuti dalla comunità scientifica, alla promozione della conservazione delle specie ed a condizioni idonee per la custodia degli animali.
Per facilità di lettura, le conclusioni dell’indagine sono state suddivise in categorie, di cui pubblichiamo ampi stralci.
Attuazione della Direttiva. In Italia, le norme per la concessione di licenze ai giardini zoologici e la loro regolamentazione sono riportate nel Decreto Legislativo 21 marzo 2005, n. 73: “Attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici”’ (e successive modificazioni – “D.Lgs. 73/2005”), della cui attuazione è responsabile il Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con il Ministero della Salute ed il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
La legge italiana in materia di giardini zoologici (D.Lgs. 73/2005) stabilisce alcuni requisiti ai quali gli stessi devono conformarsi in relazione alla conservazione della diversità biologica, l’educazione e la sensibilizzazione del pubblico, la sicurezza pubblica e la custodia degli animali (articolo 3, comma 1, D.Lgs. 73/2005). Tali requisiti non soltanto sono in linea con quelli dell’articolo 3 della Direttiva, ma vanno spesso molto al di là degli stessi. Tuttavia, il problema è che, come confermato dalla presente indagine, il D.Lgs. 73/2005 non è pienamente attuato e applicato. Tutti gli Stati membri (25) erano tenuti a recepire ed a dare attuazione ai requisiti della Direttiva 1999/22/CE entro il mese di aprile del 2005. L’attuazione della Direttiva da parte degli Stati membri rientra nel principio della sussidiarietà e, sebbene il processo di recepimento sia sottoposto alla vigilanza della Commissione Europea, spetta a ciascuno Stato membro recepire scrupolosamente tutti i requisiti della Direttiva nel diritto nazionale e applicarla entro i tempi assegnati.
Inoltre, a differenza di altre Direttive comunitarie, la Direttiva 1999/22/CE non comprende orientamenti o note esplicative e, quindi, una sua efficace applicazione può essere influenzata dall’interpretazione che ne dà lo Stato membro e dalle eventuali linee di indirizzo emanate dall’Autorità competente. Ciò ha portato a incoerenze applicative fra gli Stati membri dell’UE e l’Italia non fa eccezione.
Emanata nel 2005, la legge italiana in materia di giardini zoologici è entrata ufficialmente in vigore soltanto nel marzo del 2007 (ai sensi dell’articolo 10 del D.Lgs. 73/2005), due anni dopo la scadenza imposta dalla Commissione Europea. Nel 2006, sono state apportate due modifiche al D.Lgs. 73/2005 – D. 1/2006 e D.Lgs. 4/2006 – che hanno dato luogo a una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione Europea per inadempimento della Direttiva. La prima modifica (D. 1/2006) ha soppresso il requisito in base al quale un giardino zoologico già costituito doveva richiedere una licenza; ciò è stato fatto eliminando la frase “entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento” dall’Allegato 4 A) 1 del D.Lgs. 73/2005, mentre la seconda modifica dell’aprile del 2006 (D.Lgs. 4/2006) ha introdotto ulteriori specifiche riguardanti la conservazione delle specie e una modifica della definizione di giardino zoologico contenuta nell’articolo 2 del D.Lgs. 73/2005. La seconda modifica ha, di fatto, separato i pochi giardini zoologici virtuosi, che già effettuavano la “protezione della fauna selvatica e la salvaguardia della diversità biologica” (articolo 1, D.Lgs. 73/2005), da altri giardini zoologici che non svolgevano tali attività. Ciò ha fatto sì che soltanto alcuni giardini zoologici (come definiti nella Direttiva) avessero una licenza, mentre la maggior parte non aveva alcun incentivo.
Nel 2007, la Commissione Europea ha individuato tale situazione come un inadempimento della Direttiva, avviando una procedura di infrazione presso la CorteEuropea di Giustizia (procedura di messa in mora 2007/2179). Conseguentemente, il Governo italiano ha emanato il Decreto 6 giugno 2008, n.101 (“D. 101/2008”), che ha riportato la definizione di giardino zoologico contenuta nell’articolo 2 del D.Lgs. 73/2005 alla precedente versione. Il danno, comunque, era già stato fatto e, da allora in poi, sono stati compiuti scarsi progressi nell’attuazione della legge in materia di giardini zoologici. Solo un numero limitato dei giardini zoologici che sono noti in Italia dispongono di una licenza; alcuni hanno avviato l’iter per l’ottenimento della stessa, altri sembrano usufruire di esenzioni, ma la larga maggioranza rimane sprovvista di licenza e non sottoposta a regolamentazione (Registro degli Zoo 2011). È presumibile che le esclusioni dipendano dalle specie e dal numero di animali custoditi (articolo 2, comma 2, D.Lgs. 73/2005) (Ministero della Salute, com. pers., 22 dicembre 2011), eppure emergono numerose differenze. Ad esempio, nell’Aquarium & Reptilarium sono state rilevate oltre 10 specie (94 specie rilevate), mentre il Delfinario di Rimini ospita 14 specie di animali, ma tutti i delfinari sono tenuti ad avere una licenza di esercizio. Sebbene il Ministero dell’Ambiente affermi che sono stati fatti progressi e che non occorre emanare ulteriori linee di indirizzo, i risultati dell’indagine indicano notevoli ritardi.
Sin dal 2008 e dall’emanazione del D. 101/2008, la legge (D.Lgs. 73/2005) è risultata ampiamente coerente con i requisiti della Direttiva. Tuttavia, la maggior parte dei giardini zoologici (come definiti dall’articolo 2 del D.Lgs. 73/2005) non è conforme al D.Lgs. 73/2005 o alla Direttiva. Il Ministero dell’Ambiente non sembra aver assolto ai suoi obblighi ai sensi del D.Lgs. 73/2005, in quanto la larga maggioranza dei giardini zoologici italiani (come definiti) svolge la propria attività, è aperta al pubblico, ma non è regolamentata. I risultati dell’indagine evidenziano come numerose strutture ricadenti nella definizione di giardino zoologico non sono state individuate come strutture che necessitano di una licenza di esercizio.
Inoltre, gli zoo che l’hanno richiesta non l’hanno ancora ottenuta e pochi sopralluoghi sembrano essere stati fatti. Ciò è stato confermato dal Ministero della Salute, il quale ha indicato che sono state svolte poche ispezioni nei giardini zoologici e che molti di essi devono ancora richiedere una licenza di esercizio. Svariati fattori potrebbero giustificare una quantità così elevata di giardini zoologici senza licenza: la tardiva attuazione del D.Lgs. 73/2005 nel mese di marzo del 2007 (articolo 10, D.Lgs. 73/2005), le modificazioni del D.Lgs. 73/2005 nel 2006 e le residue differenze fra il D.Lgs. 73/2005 ed i requisiti della Direttiva (in particolare, l’articolo 3, comma 1 b), il D.Lgs. 73/2005 sembra stabilire tuttora che soltanto i giardini zoologici rispondenti agli obiettivi dell’articolo 1 dello stesso Decreto sono tenuti ad avere una licenza), la mancanza di linee guida, la possibile cattiva interpretazione dei criteri di esclusione (articolo 2, comma 2, D.Lgs. 73/2005), la possibile confusione in relazione ai criteri di esclusione indicati dal Comitato Scientifico CITES (articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 73/2005) o numerosi altri fattori che determinano un’inefficace attuazione da parte delle Autorità competenti. Potrebbe anche trattarsi di una combinazione di tutti questi fattori, ma quello che è certo è che, in base ai risultati dell’indagine, i requisiti del D.Lgs. 73/2005 e degli articoli 4 e 5 della Direttiva devono ancora essere pienamente attuati in Italia.
Inefficace attuazione. Nonostante l’apparente contraddizione tra la scadenza assegnata per il recepimento della Direttiva (aprile 2005) e la scadenza indicata nell’articolo 10 del D.Lgs. 73/2005 (marzo 2007), l’adeguamento rispetto al D.Lgs. 73/2005 sarebbe dovuto avvenire entro il 2009, cioè durante lo svolgimento dell’indagine sui giardini zoologici dei Paesi dell’UE. Tuttavia, come sottolineato sopra, il D.Lgs. 73/2005 deve ancora essere pienamente attuato e, se 5 giardini zoologici dispongono di licenze ed alcuni rispondono ad alcuni requisiti, la maggior parte di quelli noti (Registro dei Giardini Zoologici 2011) resta in esercizio senza licenza e senza conformarsi alle norme vigenti. In base all’Allegato 4 al D.Lgs. 73/2005, tutti i giardini zoologici (secondo la relativa definizione) devono richiedere una licenza di esercizio ma, come riportato sopra, le modifiche della legge nel 2006 potrebbero aver causato confusione fra i titolari dei giardini zoologici, determinando una scarsa disponibilità degli stessi a richiedere una licenza, come dovrebbe invece essere. A differenza delle Autorità competenti di molti Stati membri dell’UE, l’Autorità competente italiana gestisce un registro dei giardini zoologici. Tuttavia, quelli che hanno già ottenuto una licenza sono pochi, mentre la maggior parte ha solo avviato l’iter. Quindi, i dati relativi agli 87 giardini zoologici registrati (compresi quelli “esclusi”) indicano un’incoerenza nell’applicazione della legge ed il mancato rispetto dell’articolo 4 del D.Lgs. 73/2005, in base al quale la licenza va rilasciata entro 180 giorni dal momento della presentazione dell’istanza.
Secondo il Ministero della Salute, che è coinvolto nelle ispezioni dei giardini zoologici, fra il 2006 e il 2011 sono state effettuate, in totale, 25 ispezioni in 22 giardini zoologici (Ministero della Salute, com. pers., 17 gennaio 2012). Ne consegue che, mentre alcuni giardini zoologici sono stati ispezionati più volte, la maggioranza di essi non è mai stata ispezionata. La decisione di rilasciare una licenza ad un giardino zoologico, dopo aver previamente accertato che lo stesso risponde ai requisiti del D.Lgs. 73/2005, spetta al Ministero dell’Ambiente di concerto con altre Autorità statali e regionali (articoli 4 e 6 e Allegato 4, D.Lgs. 73/2005). Se le licenze di esercizio non sono rilasciate, come sembra, allora non può essere confermato che i giardini zoologici rispondono ai requisiti dell’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 73/2005. Tuttavia, i giardini zoologici che hanno una licenza di esercizio dovrebbero conformarsi ai requisiti dell’articolo 3, comma 1), requisiti che vengono valutati attraverso ispezioni annuali (Questionario standard). I risultati dell’indagine rivelano che la maggior parte dei giardini zoologici in Italia non adempie agli obblighi di legge e, se il livello di adempimento di alcuni giardini zoologici è migliore di altri, lo stesso non sembra essere la conseguenza di ispezioni regolari annuali.
Le ragioni delle mancate ispezioni ai giardini zoologici sono ovviamente difficili da individuare, ma potrebbero essere: il lungo e laborioso processo decisionale della Conferenza Unificata, un organismo che riunisce rappresentanti delle Autorità competenti statali e delle amministrazioni regionali e che è tenuto a decidere se deve essere rilasciata, negata o revocata una licenza; la mancanza di competenza, esperienza e formazione del personale incaricato della vigilanza sul rispetto della legge; la confusione in relazione all’Autorità responsabile (come indicato dagli URP, com. pers., a partire dal 10 marzo 2011); la mancanza di risorse; la mancanza di ulteriori indirizzi e la possibile cattiva interpretazione dei criteri di esclusione individuati dal Comitato Scientifico CITES (articolo 2, comma 2, D.Lgs. 73/2005); il coinvolgimento di 3 Ministeri nella regolamentazione degli zoo; o, conseguentemente, la carenza di comunicazione e collaborazione fra i 3 Ministeri competenti (articolo 6, D.Lgs. 73/2005). Nonostante l’Autorità competente rassicuri che esiste una base conoscitiva sufficiente (Questionario standard) e che l’ispettorato dei giardini zoologici è competente ad attuare il D.Lgs. 73/2005, la regolarità, la qualità e l’effettiva realizzazione dei sopralluoghi suscitano preoccupazione, richiedendo un maggiore approfondimento delle modalità di svolgimento degli stessi. Attualmente, le Autorità competenti non adempiono all’obbligo di effettuare ispezioni periodiche nei giardini zoologici al fine di garantire il rispetto dei requisiti del D.Lgs. 73/2005 (articoli 4 e 5 della Direttiva). Si raccomanda che la Commissione Europea approfondisca ulteriormente la questione.
Rischi di lesioni e patologie per il pubblico. La legge italiana in materia di giardini zoologici (D.Lgs. 73/2005) introduce numerose salvaguardie per tutelare la salute e la sicurezza del pubblico e degli operatori (articolo 3, comma 1 h), D.Lgs. 73/2005) e, nell’Allegato 3 al D.Lgs. 73/2005, esprime l’esigenza di avvisare il pubblico del rischio, di scoraggiare il contatto fisico diretto con gli animali, salvo sotto stretta sorveglianza da parte di personale esperto, e vieta l’apporto di cibo e bevande agli animali da parte dei visitatori. Requisiti più rigorosi sono imposti alle strutture che ospitano delfini tursiopi (T. truncatus), in quanto è vietato al pubblico nuotare o entrare in contatto diretto con i delfini (D.M. 469/2001). I risultati dell’indagine mostrano che, a causa di recinti mal progettati o lasciati senza manutenzione e di mancanza di sorveglianza da parte del personale del giardino zoologico, il pubblico può – senza preavviso e senza controllo – entrare in contatto con le varie specie, anche quelle notoriamente molto pericolose o portatrici di zoonosi. Inoltre, 2 dei 4 giardini zoologici valutati che detengono esemplari di T. truncatus sembrano consentire ed incoraggiare il contatto fra il pubblico e i delfini, a prescindere dai requisiti del D.M. 469/2001.
Si ritiene che gli animali, soprattutto quelli selvatici, siano all’origine di oltre il 70% di tutte le infezioni emergenti (Kuiken e coll., 2005). Ad esempio, rettili e volatili possono essere portatori di salmonella (siti Centri per la Prevenzione e il Controllo e delle Malattie; Mermin e coll., 2004). Il rischio di infezione per le persone che accarezzano o tengono in braccio questi animali è quindi molto probabile (Warwick e coll., 2009). Anche i delfini possono trasmettere patologie agli esseri umani e viceversa. I delfini sono particolarmente suscettibili alle infezioni respiratorie e portatori di alcuni batteri possono causare patologie negli esseri umani per inalazione o contaminazione di ferite (Buck e Schroeder, 1990; Patterson, 1999). Il rischio di trasmissione di patologie, in particolare zoonosi, é spesso sottostimato. I titolari dei giardini zoologici non sembrano svolgere controlli periodici dei recinti dove vengono tenuti gli animali per garantire il rispetto della legge e, così facendo, espongono a rischi sia il pubblico sia il personale. Anche questo aspetto deve essere oggetto di ulteriori approfondimenti da parte delle Autorità competenti.
Scarse attività di conservazione. La Direttiva sancisce che tutti i giardini zoologici della Comunità Europea devono contribuire alla conservazione della diversità biologica, in conformità all’obbligo della Comunità di adottare misure per la conservazione ex situ ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione sulla Diversità Biologica (1992) (sito CBD). Questo requisito è previsto nel D.Lgs. 73/2005: i giardini zoologici italiani sono tenuti a “proteggere la fauna selvatica e salvaguardare la stessa diversità biologica” (articolo 1, D.Lgs. 73/2005). Inoltre, l’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 73/2005 prevede che i giardini zoologici partecipino a ricerche scientifiche da cui risultino vantaggi per la conservazione delle specie, ad attività di formazione e di scambio di informazioni, alla promozione della conservazione della biodiversità ed a programmi di riproduzione in cattività, al fine di arricchire il pool genetico delle popolazioni animali custodite. Queste sono tutte facoltà per gli Stati membri dell’UE, come stabilito dall’articolo 3 (1) della Direttiva. Tuttavia, in base all’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 73/2005, esse sono più che facoltà, sono degli obblighi. Sorprendentemente, l’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 73/2005 consente ai giardini zoologici di prelevare animali dallo stato libero, qualora ciò rientri nell’interesse nazionale o internazionale. A seguito delle modifiche introdotte nel D.Lgs. 73/2005 dal D.Lgs. 4/2006 (come sopra indicato ), i giardini zoologici sono tenuti a concentrare le loro attività di conservazione (“in particolare, ma non esclusivamente”) sulle specie minacciate di estinzione o altre specie “sensibili ai fini della conservazione” (articolo 2, D.Lgs. 73/2005). Sebbene la definizione di giardino zoologico di cui al D.Lgs. 4/2006 sia stata ulteriormente modificata dal D. 101/2008, permane l’enfasi posta sulle specie minacciate e “sensibili dal punto di vista della conservazione” (o a rischio di estinzione).
Ex Mantenimento delle specie a rischio di estinzione. I risultati dell’indagine su un campione rappresentativo di 25 giardini zoologici evidenziano che soltanto una percentuale modesta (16%) di tutte le specie animali rilevate in tutti i giardini zoologici rientra nella Lista Rossa delle specie a rischio di estinzione dell’IUCN. Questa percentuale comprende solo il 5% di tutti gli animali che figurano nella categoria Minacciati e soltanto il 2% di quelli presenti nella categoria Gravemente minacciati. Fra tutte le specie a rischio di estinzione rilevate nei giardini zoologici, dominano i mammiferi e gli uccelli, non vi sono invertebrati e vi è un solo anfibio. Ciò è preoccupante in quanto il numero di anfibi a rischio di estinzione supera di gran lunga quello dei mammiferi (Lista Rossa dell’IUCN). Risulta anche una minoranza di specie a rischio europee, con una percentuale pari solo all’8% del totale delle specie di mammiferi, rettili, anfibi ed invertebrati riportati nella Lista Rossa Europea dell’IUCN, mentre la maggioranza di queste specie è definita a bassa priorità. La maggior parte delle specie animali osservate nei 25 giardini zoologici risulta di scarsa importanza ai fini della conservazione. Ciò dimostra che non vi è il livello di impegno atteso da parte dei giardini zoologici italiani in relazione alla conservazione della diversità biologica, specialmente per quelle specie che sono riconosciute a rischio di estinzione (articolo 2 del D.Lgs. 73/2005).
Partecipazione a programmi di riproduzione in cattività e di reintroduzione. La riproduzione in cattività, in genere attraverso un programma di collaborazione per la gestione delle specie, rappresenta un elemento riconosciuto della conservazione ex situ che dovrebbe integrare le misure in situ (CBD; Rees, 2005). Il 12% delle 982 specie rilevate presso i 25 giardini zoologici era registrato nei programmi europei di riproduzione in cattività per le specie minacciate di estinzione (EEP) o nei Libri genealogici europei (ESB). Da un’ulteriore indagine tesa a determinare se esemplari di tali specie facessero parte dei programmi EEP o ESB, è emerso che soltanto il 13% delle specie a rischio di estinzione erano coinvolte nei programmi europei di gestione delle specie. Inoltre, solo 2 dei giardini zoologici valutati, il Bioparco di Roma and il Parco Natura, partecipavano a programmi di reinserimento. Appare chiaro che vi è uno scarso impegno da parte dei giardini zoologici italiani nei confronti dei programmi di collaborazione per la riproduzione in cattività e la conservazione della diversità biologica.
Partecipazione a ricerche scientifiche e scambio di informazioni. Solo il 16% del campione rappresentativo dei giardini zoologici contribuisce alla ricerca scientifica. La maggior parte delle relative pubblicazioni a oggi disponibili è finalizzata al miglioramento del benessere e della longevità degli animali selvatici tenuti in cattività e non riguarda necessariamente attività a favore della conservazione delle specie, come stabilito dall’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 73/2005. Conclusioni analoghe possono essere tratte per le ricerche zoologiche nel Regno Unito (Rees 2005). Nonostante l’accento posto dal D.Lgs. 73/2005 sulla conservazione delle specie, i risultati globali indicano che i giardini zoologici italiani non rispondono ai requisiti dell’articolo 3, comma 1 e, per quanto applicabili, a quelli del D.M. 469/2001 (strutture che detengono esemplari di T. truncatus). Dei 6 giardini zoologici facenti parte dell’UIZA e dei 5 facenti parte dell’EAZA nel campione analizzato, che dovrebbero avere una forte vocazione scientifica ed educativa (sito UIZA): 3 membri UIZA e 3 membri EAZA partecipano ai programmi europei di gestione delle specie ed 1 membro UIZA e 3 membri EAZA collaborano con istituti di istruzione a livello universitario e svolgono ricerca. Emerge quindi che i giardini zoologici italiani danno un insignificante contributo alla conservazione (globalmente o a livello europeo) delle specie in via di estinzione. Pochi giardini zoologici partecipano a ricerche scientifiche di rilevante entità e uno scarso numero di specie è inserito nei programmi di riproduzione in cattività e di reintroduzione.
Scarse attività educative. Oltre all’impegno verso la conservazione della biodiversità, i giardini zoologici dell’UE devono promuovere l’istruzione e la sensibilità del pubblico in relazione alla stessa, in particolare fornendo informazioni sulle specie esposte e sui loro habitat naturali (articolo 3 (2) della Direttiva). L’articolo 3, comma 1 c), del D.Lgs. 73/2005 ha recepito tali requisiti, ma pone maggiore accento sulla promozione della conservazione delle specie e sull’impegno verso il mondo della scuola. Inoltre, le strutture che detengono esemplari di T. truncatus devono fornire informazioni sulla biologia, l’eco-etologia e la conservazione dei cetacei attraverso un programma educativo mirato che preveda l’utilizzo di pannelli illustrativi e visite guidate. Le dimostrazioni dei delfini dovrebbero essere “basate prevalentemente sul comportamento naturale dell’animale” ed includere commenti in relazione alla biologia della specie (Allegato al D.M. 469/2001). La presente indagine indica che, sebbene tutti i giardini zoologici valutati prevedano in qualche misura attività educative, la quantità e la qualità del materiale didattico ed i risultati ottenuti variano sensibilmente. In molti casi, le informazioni essenziali sulla specie sono assenti, incomplete, inesatte o illeggibili o viene attribuita maggiore attenzione alla promozione degli sponsor commerciali locali che alla conservazione della biodiversità. Le informazioni essenziali sulle specie esposte sono spesso assenti (il 29% delle 2.698 presenze di specie non è definito o descritto) ed i cartelli informativi, ove presenti, sono spesso incompleti. Contrariamente ai requisiti specifici dell’articolo 3, comma 1 c), del D.Lgs. 73/2005, nel 76% dei cartelli informativi sulle specie non sono riportati dati sul loro habitat naturale. Inoltre, mancano i nomi comuni ed i nomi scientifici delle specie rispettivamente nel 90% e nel 76% dei cartelli informativi sulle specie presenti e soltanto il 6% in media dei cartelli informativi scelti casualmente include informazioni sulla conservazione delle specie.
Ad esempio, gli spettacoli con i tursiopi (T. truncatus) consistono in acrobazie antropomorfiche che i delfini sono stati addestrati a compiere, ad es. agitare le pinne o la coda, uscire fuori dall’acqua appoggiandosi sul bordo della vasca, muovere o lanciare palloni da calcio, lanciare e riportare oggetti (spesso con la partecipazione di persone scelte fra i visitatori), e varie interazioni con gli addestratori, ad es. spingere o tirare l’addestratore con il muso o la pinna dorsale, “danzare” abbracciati, con l’addestratore in equilibrio sul muso del delfino. Nessuna di queste attività illustra gli attributi o i comportamenti naturali dei delfini, come prescritto dal D.Lgs. 73/2005 e dal D.M. 469/2001. Inoltre, nessuna delle strutture esaminate dispone di pannelli o dépliant illustrativi delle specie di delfini esposte. Nei 3 spettacoli con i delfini osservati, i messaggi divulgativi rivolti al pubblico durano meno di 4 minuti, pari al 14% in media della durata totale dello spettacolo. Queste esibizioni dei delfini contravvengono ai requisiti del D.M. 469/2001.
Complessivamente, i giardini zoologici italiani non sono conformi alle disposizioni dell’articolo 3, comma 1 c), del D.Lgs. 73/2005 e, per quanto applicabili, a quelle del D.M. 469/2001. Anche se alcuni mettono a disposizione materiale informativo di migliore qualità (in particolare quelli aderenti all’IZE e all’EAZA), la maggior parte produce materiale informativo di bassa qualità. Le informazioni essenziali sulle specie esposte sono inadeguate e la maggior parte dei cartelli informativi manca di dati sulla conservazione della specie.
I giardini zoologici dovrebbero fare uno sforzo congiunto per riesaminare la qualità delle loro attività divulgative, cercando di rispondere agli elevati standard previsti nel D.Lgs. 73/2005 e nel D.M. 469/2001. Sarebbe opportuno emanare delle linee guida che possano fornire agli zoo le spiegazioni e gli esempi che sono indispensabili. Come minimo, dovrebbero essere disponibili informazioni su tutte le specie esposte, come previsto dalla Direttiva.
Condizioni di vita inidonee per gli animali. La valutazione dei recinti dei 25 giardini zoologici italiani mostra condizioni estremamente diversificate. I giardini zoologici affiliati all’EAZA prevedono, in genere, sistemazioni più appropriate per i loro animali rispetto a quelle dei non affiliati. Tuttavia, nell’insieme, la qualità ambientale dei recinti esaminati spesso non tiene conto delle esigenze specifiche di ogni singola specie. Le specie sono spesso alloggiate in ambienti inidonei che ne impediscono il comportamento naturale o che le espongono a pericoli e stress. Destano particolare preoccupazione i seguenti aspetti: un alto numero di animali fra quelli osservati non ha accesso ad acqua da bere pulita; molte specie che hanno bisogno di ampi spazi sono tenute in piccoli recinti che non rispondono alle loro esigenze spaziali, mentre le specie sociali spesso non riescono a soddisfare i loro bisogni sociali; le specie che richiedono attrezzature adeguate per arrampicarsi, fare il bagno, tuffarsi, volare, ovvero un substrato idoneo per scavare tane o buche, sono spesso tenute in condizioni tali da pregiudicarne il normale repertorio comportamentale; in molti casi, gli animali sono alloggiati in stretta prossimità con altri animali inadatti oppure non vi sono barriere di separazione fra gli animali ed i visitatori; in numerosi recinti, i livelli di igiene sono scarsi, con un potenziale accumulo di agenti patogeni; alcuni recinti e alcune barriere degli stessi sono in condizioni fatiscenti; molti recinti sono privi di arredi, attrezzature e materiali che consentano alle specie di svolgere attività motorie, esprimere comportamenti normali, riposarsi e cercare comfort e privacy. È ampiamente noto che tenere gli animali per periodi prolungati in ambienti “poveri”, angusti ed in cattività può comprometterne la salute fisica e mentale e il benessere generale. Condizioni che vengono meno alle necessità fondamentali di un animale possono determinare comportamenti anomali, patologie e mortalità precoce. Ne consegue che i giardini zoologici devono cercare di fornire a tutti gli animali degli ambienti più idonei, che ne stimolino le attività motorie e i comportamenti naturali.
La tutela della salute e del benessere degli animali nei giardini zoologici italiani è un obbligo che ricade su tutti i titolari dei giardini zoologici moderni, sui guardiani e sui veterinari e, in base ai requisiti minimi di cui agli Allegati da 1 a 3 del D.Lgs. 73/2005 (e, in quanto applicabile, del D.M. 469/2001), gli animali devono essere tenuti in condizioni tali da rispondere alle loro fondamentali esigenze di salute e benessere. Tuttavia, questi standard minimi di accudimento degli animali non si applicano a quelle strutture che non ricadono nel campo di applicazione dell’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 73/2005: i criteri individuati dall’autorità CITES. Per fortuna, sembra sia prevista una revisione dei criteri di esclusione (Ministero della Salute, com. pers., 22 dicembre 2011). I giardini zoologici (come definiti) devono ospitare gli animali in condizioni che riflettano l’habitat naturale delle specie, che ne incoraggino i comportamenti naturali e che mantengano elevati standard di custodia e cura.
Destano particolare preoccupazione le condizioni riscontrate nei 4 delfinari. Anche se tutte le strutture che posseggono esemplari di T. truncatus dispongono di una vasca di contenimento e di “vasche di trattamento” separate, gli spazi disponibili sono insufficienti per consentire comportamenti naturali ed evitare conflitti con altri compagni di vasca e non esistono attrezzature che forniscano un ambiente stimolante. Inoltre, le indagini hanno rivelato che gli animali svolgono attività potenzialmente dannose, ad es. spingere e tirare persone (WDCS, com. pers., 17 aprile 2009) ed entrare in contatto con i visitatori. Nonostante l’Italia abbia alcune delle norme più rigorose al mondo per il mantenimento in cattività dei delfini (Decreto Ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469 – “D.M. 469/2001”), le strutture che ospitano T. truncatus non sono conformi a queste norme, il che potrebbe avere delle ripercussioni sulla salute e sulla sicurezza del pubblico, del personale e dei delfini. Occorrono ulteriori indagini da parte delle Autorità competenti al fine di assicurare che tutti e 6 i delfinari italiani si conformino al D.M. 469/2001.
In genere, i principi fondamentali enunciati nel D.Lgs. 73/2005 e nel D.M. 469/2001, riguardanti il soddisfacimento dei bisogni fondamentali e specifici di ogni singola specie dal punto di vista della salute e del benessere, sono disattesi. Senza una vigilanza sull’effettivo rispetto della legge da parte dei giardini zoologici italiani, ogni tentativo di assicurare un ambiente idoneo agli animali è fortemente compromesso. Le Autorità competenti, nazionali e regionali, devono fare di più per assicurare l’effettiva applicazione del D.Lgs. 73/2005 e del D.M. 469/2001, adottando le raccomandazioni contenute nel presente Rapporto, introducendo i necessari miglioramenti e comminando le relative sanzioni (articoli 4 e 8 del D.Lgs. 73/2005), fino ad arrivare all’eventuale chiusura dei giardini zoologici inadempienti. Un Codice di Buona Pratica indirizzato ai giardini zoologici, con indicazioni specifiche per ciascuna specie ed esempi di arricchimento ambientale, potrebbe essere di ausilio per assicurare l’effettiva attuazione delle disposizioni contenute negli Allegati al D.Lgs. 73/2005.