Domenica 18 dicembre presso la sala conferenze del Centro culturale polivalente di Cattolica, il magistrato cattolichino Piergiorgio Morosini ha presentato in anteprima nazionale il suo ultimo libro: “Attentato alla giustizia – Magistrati, mafie e impunità” (Rubbettino editore). Libro in vendita in tutte le librerie. Organizzava l’Associazione Arcobaleno di Cattolica. Un bel regalo natalizio per Cattolica, ampiamente ricambiato dalla presenza di oltre duecentocinqua persone. Morosini Gip alla Procura di Palermo da 18 anni è oggi uno dei magistrati antimafia più rappresentativi e impegnati. Un ampio capitolo del suo libro è dedicato alle infiltrazioni e penetrazione delle mafie al Centro-Nord e sul nostro territorio.L’intervento che pubblichiamo tratto dal suo libro, si riferisce all’operazione antimafia “Vulcano”, teatro d’azione la nostra zona, Cattolica compresa.
“Tutti a Rimini questa estate”. di Piergiorgio Morosini*
“Succede così a chi si comporta male”. L’ossessione permanente di Michel. Parole associate a fotogrammi. Quattro uomini che lo caricano su una macchina e lo trascinano a forza in un capannone industriale in aperta campagna. Una pistola puntata alla tempia da uno degli accompagnatori. Le grida di un uomo con il viso tumefatto. Due malacarne che infieriscono con calci e pugni. Poi dei rantoli. E quell’accento campano: “succede così a chi si comporta male”.
Quella sera. Un incubo. Il 6 novembre 2010, Michel non se lo scorderà più. L’immagine di quell’uomo con il viso insanguinato lo terrorizzava. Così lo avevano convinto a firmare delle carte. Buona parte del suo capitale andava ai Casalesi. In pochi mesi gli avevano spillato beni e denaro per circa 200.000,00 euro. Ma non finiva lì. Avevano preso di mira la sua azienda e la boutique gestita dalla moglie. Gli avrebbero preso tutto.
Il calvario era cominciato qualche mese prima. Michel viveva un momento difficile. Problemi di liquidità. Le banche gli girano le spalle. Deve riscuotere dei crediti, ma questo non basta per ottenere un fido. La crisi non fa sconti neppure ai suoi debitori. E l’imprenditore rischia di fallire. Qualcuno sa e porta la notizia a chi di dovere. Non se ne accorge, ma Michel è già nel mirino.
E’ un gioco da ragazzi metterlo alle strette. Basta poco. Il primo passaggio: individuare l’esca. L’esca giusta. L’amico che consiglia. La persona di cui si fida che ha sempre una soluzione perché è più lucido; perché non deve fare i conti con le pressioni dei fornitori e con le cambiali in scadenza. Quello con cui ha confidenza perché ha rapporti di famiglia, con cui si vede quando le mogli fanno shopping assieme. Quello che, quando va a cena, offre lui perché sa che Michel è in difficoltà. Insomma, un “Giuda”. Un professionista del “doppio gioco”. Il finto consulente che, mentre ti rassicura a parole, ti porta nelle mani dei criminali. Uno che alla fine fa solo gli interessi di chi ti vuole stritolare.
D’altronde, quando sei con l’acqua alla gola, e gli enti locali non ti pagano per via del patto di stabilità, come fai se non ricorri agli usurai? Come puoi rinunciare a cedere quote societarie o avere finanziamenti facili che possono servirti a salvare azienda e occupazione?
Era stato così anche per Michel. Il “Giuda” gli aveva indicato chi poteva recuperare i suoi crediti. Dopo qualche tempo si era accorto che i “benefattori” esigevano più denaro dell’ammontare del credito recuperato. Era entrato in un giro vizioso. Minacce di tutti i tipi. “Ti porteremo via i bambini”, “ti uccideremo”, gli avevano detto per convincerlo a cedere. Ad un certo punto, si era sentito costretto a firmare di tutto. Dalla cessione degli immobili alla polizza vita, il cui premio sarebbe stato poi incassato dai camorristi in caso di morte. Avrebbe perso ogni cosa, compresa la dignità. Tutto per consentire a quei criminali di “lavare” denaro sporco.
Storie di ordinaria camorra in terra campana? L’ennesima estorsione a danni di un imprenditore che opera in un territorio segnato dalla pervasiva presenza dei clan? Neanche per sogno. Lo scenario non è l’hinterland vesuviano ma la riviera romagnola. I fatti si consumano nel triangolo Rimini, San Marino, Cattolica, come svela la direzione distrettuale antimafia di Bologna con il provvedimento di fermo del 22 febbraio 2011.
Dieci arresti. Tre i clan in lotta per spartirsi gli affari del racket e del riciclaggio di denaro sporco. È il panorama desolante della Gomorra d’esportazione emerso dall’operazione «Vulcano» condotta dai carabinieri del Ros (raggruppamento operativo speciale). Gli indagati sono accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Appartengono ai clan dei Vallefuoco, dei Mariniello di Acerra e dei Casalesi, frazione Schiavone. Cosche in lotta per contendersi aree di influenza fino all’intervento dei capiclan campani che si erano accordati per evitare inutili guerre e spargimenti di sangue.
La vecchia Via Emilia come una strada tra Gricignano e Casal Di Principe, tra Acerra e la periferia di Napoli. Terra di conquista per i clan. E alcune novità inquietanti filtrano dalle conversazioni intercettate e dai pedinamenti dei carabinieri. Per la prima volta in Emilia-Romagna, le vittime non sono imprenditori originari delle aree di provenienza dei clan trapiantati al nord, ma sono “indigeni”. E l’omertà è la stessa delle regioni meridionali. Nessuna delle persone taglieggiate (e sarebbero nell’ordine di decine) decide di sporgere denuncia.
Sono i carabinieri del ROS ad accorgersi di quello che stava accadendo. Le microspie piazzate nei punti giusti sin dal 2008 svelano cose inquietanti. Summit camorristici negli hotel della riviera. Traffico di eroina e cocaina organizzati tra Rimini e Riccione. Un boss latitante che si nasconde in un residence di Cattolica. Personaggi locali, “uomini ponte” che permettono ai criminali di entrare indisturbati nel circuito economico locale. Fiduciari senza i quali nulla è possibile per i clan.
La mattina del 22 febbraio 2011, i romagnoli sono increduli mentre sfogliano le pagine del Resto del Carlino. L’operazione “Vulcano” li traumatizza. Pensano con malinconia alla Rimini di altri tempi. A quella di Pier Vittorio Tondelli. La Rimini spensierata degli anni ottanta. La Rimini di un romanzo che mette in scena un grande sogno “nazional popolare”. Quella in cui si snodano le storie di uomini e donne molto diverse tra loro raccontate dal cronista Marco Bauer. “Una grande città della notte e del divertimento che si estende per centocinquanta chilometri di costa e in cui si riversano milioni di persone per celebrare il rito di quell’unico vero periodo di deroga carnevalesca che la società odierna consente cioè la vacanza.” Un Luna Park tra Cattolica e i lidi estensi che, per due mesi, diventa l’epicentro della movida estiva. Con le discoteche, la sveglia alle tre del pomeriggio, la spiaggia e l’aperitivo, e con gli immancabili “nipotini dei vitelloni che vanno a caccia di successi”. Atmosfere che Tondelli descrive sulle note del sound degli anni ottanta tra new wave, elettronica, pop sofisticato che rappresenta l’alternativa internazionale all’ “estate al mare” di Giuni Russo, ai ballabili dei Righeira e ai “fotoromanza” di Gianna Nannini.
Leggendo della operazione “Vulcano”, quel mondo è sempre più distante. Appare lontana la sua realtà economica, costruita sulle virtù della impresa familiare. La pensione Kelly con otto camere e coi proprietari al lavoro sino a venti ore al giorno nei due mesi estivi. Una specie di metafora dell’Italia del boom economico e dell’austerity degli anni settanta. Una realtà che si regge sui sacrifici di tre generazioni; le cambiali sempre in scadenza; i lavori in economia durante l’inverno, quando l’albergatore diventa muratore; il rapporto di amicizia con i villeggianti svizzeri, tedeschi e svedesi; i figli giovanissimi che d’inverno studiano e d’estate aiutano i genitori nel rendere più accogliente la vacanza dei villeggianti. I sacrifici che, dopo alcuni anni, trasformano la pensione Kelly nello scintillante Hotel Kelly degli anni ottanta. Insomma, un sistema sano, dove la concorrenza si basa sulle ore di fatica dei componenti della famiglia e sulla ospitalità. Distanze siderali dagli interessi torbidi dei latitanti della camorra e di insospettabili personaggi locali disposti a tutto pur di fare profitto”.
*Giudice per le indagini preliminari Procura di Palermo
IL PROFILO
Morosini in trincea a Palermo
– Piergiorgio Morosini è magistrato dal 1993. È giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Palermo. Titolare di numerosi processi a Cosa Nostra, è stato estensore di sentenze relative ai capi storici della mafia (Riina Salvatore, Provenzano Bernardo, Brusca Giovanni, Bagarella Leoluca). Si è occupato di infiltrazioni mafiose nella sanità, negli appalti di opere pubbliche, nella politica e nella giustizia.
È autore di articoli e commenti in materia di giustizia penale e criminalità organizzata per le riviste «Questione giustizia», «Diritto penale e processo», «Foro italiano». Ha fatto parte della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale dal 2006 al 2008. Attualmente è segretario nazionale di Magistratura democratica. È autore per i tipi Rubbettino de Il Gotha di Cosa Nostra (2009).