di Milena Zicchetti
Passione, umiltà, tanto studio e ricerca: queste sono le caratteristiche che contraddistinguono Piergiorgio Parini, chef dell’Osteria Povero Diavolo a Torriana. Un giovane talento di casa nostra, senza alcun dubbio, con idee molto chiare e diversi riconoscimenti: nel 2010 il Wall Street Journal lo ha inserito tra i 10 migliori giovani chef d’Europa, nel 2011 è stato nominato giovane dell’anno per la guida Espresso e, sempre nel 2011, ha ottenuto la prima Stella Michelin per la sua cucina al Povero Diavolo.
L’evento più recente che lo ha visto protagonista è il premio “La Torre d’Oro”, ricevuto da parte del comune di San Mauro Pascoli come riconoscimento ad un giovane sammaurese che si è distinto per il suo lavoro. Ed è sempre lui che, nella bellissima location di Villa Torlonia, ha curato e ideato una cena del tutto pascoliana intitolata “Pascoli, un piacere per i sensi”, completamente ispirata alla letteratura culinaria del poeta.
Approfittando di un suo periodo di ferie dal lavoro abituale e di pausa tra un viaggio e l’altro, ci siamo incontrati per fare due chiacchiere davanti ad una tazzina di caffé. Appena l’ho visto arrivare mi sono trovata davanti proprio quello che mi aspettavo, l’idea che mi ero fatta di lui: un ragazzo semplice, jeans e maglietta, con i piedi per terra, che non si è fatto minimamente influenzare da titoli o prestigio e con cui parlare è stato davvero un piacere. Dalla professione alla vita privata, ecco che cosa ha detto.
Prima di tutto, come ha vissuto la notizia del premio la “Torre d’Oro” e il fatto che proprio a lei sia stato chiesto di ideare un menù pascoliano?
“Sicuramente mi ha fatto molto piacere ricevere un premio come riconoscimento al mio lavoro, è stato gratificante. Per quanto riguarda la cena, mi è stato chiesto di organizzare qualcosa che legasse il premio con il centenario della morte del poeta. Mi sono state date una serie di lettere e documenti che il Pascoli ha scritto ad amici dove racconta quello che mangiava, quello che gli veniva preparato dalla sorella o che lui stesso si dilettava a cucinare, me li sono studiati e ho cercato di riproporre un menù che lo rappresentasse il più possibile, naturalmente un po’ rivisitato, ma comunque sempre più vicino al suo modo di cucinare che al mio. E’ stato impegnativo, ma la serata devo dire che è andata davvero bene.”
Quando hai veramente capito che quello dello chef sarebbe diventato il tuo lavoro?
A dire il vero dopo tanti anni. All’inizio dicevo: ora studiamo e poi vediamo cosa succede. Poi, piano piano mi ha preso sempre di più, ho cercato di crescere, di imparare il più possibile, di migliorare. Ho avuto dei buoni maestri (alcuni sono diventati degli amici) ed è fondamentale avere qualcuno che ti insegna. Il nostro è un lavoro che si fa con le mani e con la testa: è importante imparare le basi, poi ognuno ci deve mettere del proprio. Noi chef siamo fondamentalmente degli artigiani.”
E dei creativi..
“No, io non mi definisco creativo. Non facciamo altro che “scoprire” ogni giorno quello che in realtà esiste già. Non è un lavoro di invenzione il nostro, ma di scoperta: di un sapore inaspettato, una consistenza, un odore, un profumo… Questo da una grande soddisfazione e poi, diciamolo, chi fa il mio lavoro è sostanzialmente “malato”, la nostra è una malattia incurabile, non bisogna essere troppo sani di mente per fare queste cose. Lo si fa per il semplice piacere di farlo, perché si è innamorati della cucina, perché se dovessi contare le ore di lavoro e di ricerca che ci sono dietro ai piatti, sarei matto a fare tutto questo, perché non gli si può dare un valore economico materiale.”
Il lavoro da chef impegna tantissimo eppure Lei riesce a partecipare anche a diversi eventi, in regione e fuori, a programmi televisivi culinari…Come fai a conciliare il tutto?
“E’ un disastro (ride). Intanto tengo a sottolineare che prima di tutto viene il lavoro al ristorante, la cosa fondamentale a cui devo pensare è alle persone che vengono a mangiare da noi. Le altre cose si fanno se si possono fare, se mi piacciono o mi interessano e se ho tempo di farle, altrimenti niente. Diciamo che, in un certo senso, mi posso permettere il lusso di dire di no.”
Cosa ne pensa del fatto che, grazie anche a questi programmi televisivi, lo chef sia diventato un nuovo sex symbol?
Ah si? E’ successo questo? Forse bisognerebbe chiederlo ad una donna se è così. Lo è? (…e con questa sua domanda inaspettata, con leggero rossore, non potevo che dare la mia personalissima opinione in senso positivo, avendo un debole per la categoria, tv a parte). Io sinceramente non mi sento così, forse perché faccio l’eremita a Torriana e questo mondo mi tocca poco. Quello di positivo che ha fatto la tv è di far conoscere una piccolissima parte del lavoro che facciamo tutti i giorni, ma che in realtà non è poi così spettacolare come lo si riporta. E’ molto più duro. Dalla tv sembra molto facile, immediato, invece dietro ci sono anni di lavoro, studio, sacrifici. Sicuramente è servito a sdoganare quello che era lo stereotipo del vecchio chef: grasso, sudato, con il camice sporco… Anche a me hanno chiesto di partecipare e ci sono andato, ma più che altro per rendermi riconoscibile, per fare vedere che faccia ho, visto che il mio nome è legato a quello del ristorante dove lavoro. Non si dovrebbero però mischiare le cose: ci sono persone che lo fanno di mestiere quello di fare i cuochi in tv e lo fanno benissimo, però è molto diverso dal fare il cuoco in un ristorante. Sono due lavori che non c’entrano niente. Andare in tv può essere poi un arma a doppio taglio e secondo me deve essere usata con un po’ di parsimonia. Va bene che la gente ti vede in tv, ti da un volto e ti lega ad un ristorante specifico, però poi quando viene a mangiare al tuo ristorante è fondamentale che stia bene, perché se la fai venire per la tua cucina, ma tu poi non ci sei perché sei fuori a registrare… ecco che allora non è professionale.”
In queste occasioni ha svelato alcune ricette, altre sono state pubblicate: geloso?
No, geloso proprio no. Chi le legge o le guarda, sa chi sei e ti identifica con quel particolare piatto. Se un giorno mi dovesse capitare di andare in un ristorante e trovare un piatto simile al mio, può addirittura farmi piacere, vuol dire che quello che ho fatto è piaciuto e ha colpito. A maggior ragione da soddisfazione sapere che quello che faccio piace anche a persone che fanno il mio stesso mestiere.”
In definitiva: giovanissimo e molto impegnato, tempo per la vita privata immagino sia poco… se posso permettermi: fidanzato?
“Si, sono fidanzato e ad essere sincero forse nella coppia chi fa il “lavoro” più duro è la mia compagna. Non è semplice stare con una persona che lavora sempre: come dicevamo sono molto impegnato e poi non ci sono mai per le feste e nei fine settimana, giornate che per tradizione sono per la famiglia”
A casa chi cucina dei due?
“Dipende. Adesso io perché sono in ferie, ma quello che cucino è il più semplice possibile. Mi piacciono molto sia la carne che il pesce, ma a casa, quando cucino per me o per la mia ragazza, faccio quasi esclusivamente verdure, posso dire che sono quasi vegetariano.”
Tanto per rimanere in tema, lei è stato definito il “Re delle erbe” e a tal proposito mi ha incuriosito la preparazione di un dolce davvero molto atipico: il “sempreverde”, composto addirittura da una ventina di erbe aromatiche.
“Per quanto riguarda le erbe e le spezie, posso dire che in effetti sono un qualcosa che nella mia cucina non può assolutamente mancare. Il Sempreverde è un dolce che faccio da tempo al ristorante ed è forse quello che è diventato più famoso. E’ abbastanza particolare, se vogliamo lo possiamo considerare come un trattato di botanica. E’ diverso, non è propriamente quello che ci si aspetta quando si chiede un dolce: all’inizio lascia un po’ disorientati, ma vedo che molta gente torna e lo richiede, quindi vuol dire che ha lasciato il segno.”
Ricorda il primo piatto da chef?
“Nooo, ne sono passati di anni!”
Tre piatti: quello preferito da commensale, il piatto forte come chef e quello che più le ricorda l’infanzia?
“Un piatto preferito su tutti non ce l’ho. Sono onnivoro, mangio di tutto di più e non c’è una cosa che vorrei mangiare tutti i giorni. La mia preferenza rimane comunque e sempre, come dicevo, per le verdure, in generale. Il piatto forte come chef… il porssimo che ideerò per il ristorante ma che ancora non so quale sarà. Quello che invece mi ricorda più l’infanzia è quello sicuramente più legato alla tradizione, al ricordo delle domeniche a casa d’inverno: un bel piatto di passatelli o cappelletti.”
La più grande soddisfazione professionale e, se c’è, la più grande delusione.
“Bhé, la più grande soddisfazione ce l’ho al ristorante, quando vedo che ci sono persone disposte a fare chilometri o che vengono addirittura dall’estero appositamente per venire a mangiare da noi a Torriana. Riuscire a spostare la gente in questo modo, mi fa capire che sto lasciando un piccolo segno. Questo mi rende proprio orgoglioso. Delusioni vere e proprie no, non ne ho avute. Posso dire però che il nostro lavoro è abbastanza personale, si cerca sempre di accontentare tutti nel miglior modo possibile, ma può succedere che a qualcuno non piaccia quello che facciamo, fa parte del gioco. Non è una delusione, ma più un dispiacere. Se posso permettermi, penso che poter sbagliare a volte nel nostro mestiere sia un lusso, non lo vedo come una cosa del tutto negativa, anche perché questo mi sprona a fare meglio e a capire dove sto sbagliando. La vedo come una crescita. Sarebbe troppo facile avere una bacchetta magica e riuscire ad accontentare tutti.”
Un consiglio culinario, pratico e veloce, per un uomo che vuole sorprendere la sua donna con un appuntamento casalingo, ma romantico…
“L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di cucinare la cosa più veloce che conosce! Soprattutto perché cercare di strafare in queste occasioni, si rischia di fare peggio e poi… in questo modo si ha più tempo per la compagna. Il cibo serve e mangiare qualcosa di piacevole va bene, ma non occorre fasciarsi la testa per fare chissà cosa e poi… la compagna è più importante!.”
Un’ultima domanda, un classico: su un’isola deserta 3 cose che ti porteresti dietro di cui proprio non potresti farne a meno.
“Sicuramente la compagna, una bottiglia di buon vino… il mangiare lo lasciamo da parte perché sull’isola ci sarà qualcosa (?!)… e della musica. Così si dovrebbe stare bene!”
Dopo questa ultima e bella risposta, finita la nostra chiacchierata e dopo aver parlato anche del più e del meno, ci salutiamo con una promessa: lo andrò presto a trovare al Povero Diavolo, come dolce proverò sicuramente il Sempreverde e andrò a salutare a fare i miei complimenti ad uno chef giovane, di successo, ma con la testa sulle spalle e con ancora tanta voglia di crescere.
Milena Zicchetti
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