PERSONE
di Silvio Di Giovanni
– In questo 2012, precisamente l’8 giugno, cade il centenario dalla morte di Cino Mancini, per virulenta meningite, mentre era sindaco da cinque anni di Cattolica. Era nato a Cerignola il 18 luglio 1876 ed aveva quindi soltanto 36 anni.
Era il primo figlio del professore Luigi Mancini, colta famiglia di intellettuali. Un altro figlio, nato nel 1882, era il maestro Guido Mancini, personalità eclettica stimata da tutti i cattolichini ora anziani e vecchi, come e più di me, deceduto il 25 febbraio 1966; era il nonno materno del nostro amato e perduto prof. Guido Paolucci.
In verità si chiamava Vincenzo, ma era da tutti conosciuto come l’avvocato Cino, anche se non aveva terminato gli studi di giurisprudenza. Li aveva lasciati per dedicarsi interamente all’intensa attività sociale, civile, politica e di educatore della nostra Cattolica, suo paese di adozione, fin da quando era studente diciannovenne.
Negli anni che seguono (1896-97), si affaccia sulla scena pubblica della nuova Cattolica (da poco divenuta Comune autonomo), quale penna pungente e salace con capacità combattive.
Sarà poi un valente consigliere comunale dalle elezioni del luglio 1902, più un battagliero assessore alla Pubblica istruzione due anni dopo. Gli articoli sulle colonne della “Riscossa” sostengono vivacemente e con acume le polemiche del clericale periodico riminese “L’Ausa”.
Fervente socialista, una mente estremamente razionale, uomo integerrimo, educatore, sposò la causa degli umili, contro la sopraffazione dei potenti.
Noi ovviamente non lo abbiamo conosciuto e nemmeno i nostri genitori. Qualche cosa mi aveva raccontato mia nonna Maddalena (madre di mia mamma), ma se è vero, com’è vero, che i personaggi del nostro passato si scoprono dalle loro opere, dai loro scritti, io, oltre a ciò che avevo letto e saputo su di lui, nella scarna pubblicistica esistente e poi, dalle pagine del volume della nostra storica concittadina Lucia De Nicolò dal titolo “Cattolica di Romagna – Nascita di un Comune” (ediz. 1996), voglio avvalermi, per questo mio articolo, onde cogliere tutta la personalità e l’importanza di questo nostro eminente cattolichino. Il Decalogo lo compose due anni dopo la sua elezione a sindaco; lo distribuì agli alunni delle scuole di Cattolica il Primo Maggio 1909.
La data non è casuale ma denuncia, se ce ne fosse bisogno, la sua deferenza per il “Lavoro” e per i “Lavoratori” e lo esprime con convinzione nella prima e nella settima frase di questa succinta e sublime composizione.
Quel piccolo foglio di allora, che si conserva ingiallito, sole quattro paginette, fu accompagnato da una pregiata illustrazione. Era un dipinto del pittore concittadino Emilio Filippini (1870 – 1938), cugino di Cino. Ritrae la madre in casa alle prese al contempo sia dell’opera di cucito, che di aiuto al figlio nei compiti scolastici. Titolo: “La mamma, maestra a casa”.
Nel decalogo si coglie, assieme alla grande illusione per una fraterna futura società socialista senza barriere tra gli stati, una grande saggezza, un grande amore per l’umanità, un grande rispetto per il prossimo e, in una profonda esortazione alle migliori qualità e virtù dell’uomo nel suo comportamento, scevro da infingimenti divini, la fede per una nobile utopia.
E’ l’ultima frase del decalogo, quella che è permeata dalla grande illusione verso quel socialismo umanitario che doveva essere “il sole dell’avvenire”, come recitava il canto del popolo ansioso di riscatto con un senso di religiosa speranza.
Contiene senza dubbio un grande amore verso l’umanità ed una grande utopia, unita forse ad una illusione verso il progresso e verso il futuro che dovevano spianare la strada ad una società degli uomini, migliore che nel passato. La strada futura senza più frontiere tra gli stati e senza guerre. Ma la prima grande guerra mondiale è lì pronta a covare nell’animo dei governanti europei e sei anni dopo, sarà l’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, con la morte dell’arciduca d’Austria e di sua moglie, ad accendere la miccia.
E allora? L’”Utopia”, deve essere considerata vana cosa? Questo termine coniato da Thomas More poco meno di cinquecento anni fa, col quale diede il titolo alla sua opera più geniale ed alla quale si riallacciarono mirabilmente Tommaso Campanella con “La città del sole” un secolo dopo e Friedrich Engels con il suo “Socialismo utopistico” altri due secoli dopo, si deve considerare una insulsa speranza? O forse no!
Forse è bene che l’uomo si nutra anche di un pizzico di utopia?
La storia europea degli ultimi 65 anni non ha forse mostrato che qualcosa di quel discorso utopistico del nostro illustre concittadino Cino Mancini può avere attecchito? Non era mai accaduto infatti in tutti i secoli passati che un tempo così lungo fosse stato senza guerre tra le potenze del centroeuropa. Penso pertanto che anche l’Utopia di raggiungere l’orizzonte camminando verso esso (che ovviamente non potrà mai essere raggiunto), come scriveva il grande scrittore e giornalista uruguaiano Eduardo Galeano, non sia cosa inutile, poiché, se non servirà a raggiungerlo, sarà utile perchè servirà a camminare.
All’umanità forse un pizzico di questa grande utopia, potrà servire per raggiungere davvero, nei secoli a venire, il grande traguardo della caduta delle barriere tra le nazioni e la messa al bando di tutte le guerre?
Il centenario
Per il centenario della morte di Cino Mancini, colgo l’occasione per rammentare ai nostri rappresentanti delle istituzioni di procedere, nella imminente primavera, ad una degna rimembranza, non tanto e non solo quale scarna episodica commemorazione, ma nella opportuna e lodevole occasione di studio del personaggio, della storia del suo tempo, del suo insegnamento, del contenuto e della portata che sa ancora esprimere il suo Decalogo che, per tanti aspetti, può essere ancora attuale.
Penso sia utile e doveroso ricordare anche quei nostri amministratori che nel 1915 vollero aggiungere il suo, tra i nomi degli eminenti personaggi: “Carducci, Pascoli, De Amicis, Cino Mancini, Andrea Costa” e poi, gli altri che nel 1921 seppero rendere merito al compianto cittadino Cino Mancini. Più precisamente nell’attribuzione del suo nome nella toponomastica della strada che da Piazza Nettuno giunge, con leggero acclive, alla Piazza Franklin Delano Roosevelt, davanti al Comune.
Poi al compianto sindaco Gian Franco Micucci che, con uno dei suoi mirabili spunti fuori del comune, procedette, con una delibera di giunta del 22 maggio 1997 n. 328, alla intitolazione del Palazzo Municipale con il nome di Cino Mancini.
Spero ardentemente di essere ascoltato e non dovere assumere la veste di vecchio brontolone costretto a bacchettare le giovani leve della nostra città per una loro imperdonabile lacuna del sovvenire.
LEGGI MORALI
Il Decalogo di altissima civiltà Stampato coi propri soldi
I) Ama i compagni di scuola che saranno tuoi compagni di lavoro per tutta la vita.
II) Ama lo studio che è pane della mente e sii grato a chi ti insegna.
III) Onora le persone buone, rispetta tutti, non curvarti a nessuna.
IV) Più che il rimprovero altrui, temi quello della tua coscienza.
V) Non odiare, non offendere, non vendicarti mai, difendi il tuo diritto e non rassegnarti alla prepotenza.
VI) Non commettere bassezze, viltà, difendi i deboli.
VII) Ricordati che i beni della vita sono frutto del lavoro, goderne senza far nulla è come rubare il pane a chi lavora.
VIII) Osserva e medita per conoscere la verità, non credere ciò che ripugna alla ragione.
IX) Ama la patria, odia la guerra che è avanzo di barbaria.
X) Augura il giorno in cui il lavoro affratellerà tutti gli uomini e, cadute le barriere fra le Nazioni, la pace con le sue ali candide, sorriderà nel mondo.