di MILENA ZICCHETTI
Steve, Giada, Pipino, Alessandra, Andreina, Theta, Lucia e Polifemo. Sono solo alcuni degli ospiti dell’Ospedale delle Tartarughe di Riccione. Siamo andati a vedere come se la passano in questo luogo di cura. Ognuno di loro ha una sua storia ed è possibile conoscerla avvicinandosi alle rispettive vasche o chiedendo a uno dei giovani volontari che prestano servizio presso il centro. Di questi Theta è quella ricoverata da più tempo. Nella targhetta della vasca si legge: 20.09.2011 – Ferita al carapacio. Seguono poi Lucia e Pipino, qui da dicembre 2012, entrambi finiti nelle reti dei pescatori e ricoverati rispettivamente per prolasso cloaca e ipotermia. Delle recenti ospiti, a parte Alessandra che si è spiaggiata, le altre sono arrivate tutte per lo stesso motivo: pescate con le reti a strascico.
E’ di questo e di tanto altro ancora che si occupa da più di vent’anni la Fondazione Cetacea ONLUS, una organizzazione senza scopo di lucro, ufficialmente riconosciuta dalla Regione Emilia Romagna. Il suo scopo è quello di tutelare l’ecosistema marino, soprattutto della nostra parte di Adriatico, attraverso attività di divulgazione, educazione e conservazione. Si avvale del prezioso contributo di biologi, veterinari, naturalisti e volontari. E’ attiva nel soccorso di animali in difficoltà, soprattutto tartarughe marine e cetacei.
“Oltre alle tartarughe che si trovano nelle vasche, visibili durante le normali visite al nostro centro, ce ne sono altre” ci racconta Sauro Pari, presidente della Fondazione. “In totale sono 15 le tartarughe sotto la nostra custodia. Domenica 4 agosto abbiamo liberato Pipino (nella gallery a sinistra). Prossimamente sarà la volta di Theta, che è qui da un paio di anni per una grossa ferita riportata sul carapace, causata probabilmente dall’elica di un motore. Speriamo poi di riuscire a liberare presto anche Quasimodo, con noi da 4 anni. E’ una tartaruga colpita da una grave infezione che ha compromesso definitivamente un polmone e quindi ha gravi problemi di stabilità e di equilibrio. Vorremmo tentare di fargli una specie di tutore che gli permetta di galleggiare in modo abbastanza normale, così da poterlo poi portare nella caletta delle tartarughe di Numana e vedere se è in grado di gestirsi in autonomia così che possa tornare a casa”.
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Quella di Quasimodo sarà sicuramente una liberazione molto sentita, ma tra i tanti casi di lieto fine, ce n’è uno recente davvero eclatante: la semi-liberazione di Feggy (nella fotogallery a destra), una tartaruga marina con una lunga degenza e una tremenda storia alle spalle. “Un peschereccio nella zona di San Benedetto del Tronto la trovò impigliata tra le reti con la ranfoteca (il becco) amputata” continua Sauro Pari. “E’ stata ricoverata in condizioni pietose nel 2005 presso il nostro centro, allora eravamo ancora al Parco Oltremare. Ha subito due grossi interventi per la ricostruzione della mascella e fatto tanta riabilitazione. Inizialmente si pensava che non sarebbe più riuscita a tornare in libertà, non essendo in grado di mangiare autonomamente e col forte rischio di infezioni, per cui fù affidata all’Acquario di Cattolica. Lì è rimasta fino a quest’anno e visti i grandi miglioramenti, ora abbiamo pensato di fare il test finale, trasferendola presso la Caletta delle Tartarughe a Numana. Qui abbiamo l’opportunità di verificare se sta bene, se fa ulteriori progressi e se sarà capace di gestirsi da sola. Se non ci saranno complicazioni… sarà un sogno realizzato e lei sarà pronta per riprendersi la sua libertà”.
Pari, lei ha appena accennato alla Caletta delle Tartarughe a Numana, di cosa si tratta? Non è altro che un’area di riabilitazione per tartarughe marine il cui allestimento è stato finanziato dalla Regione Marche, con la sua rete regionale per la Conservazione delle Tartarughe marine e la Comunità europea. In questa specifica area, le tartarughe che hanno sostenuto un periodo di ospedalizzazione presso il nostro centro, affrontano l’ultima fase di recupero prima di essere messe in completa libertà. Qui le tartarughe vengono costantemente monitorate e verificate le loro condizioni.
Ma quali sono le cause principali per cui queste tartarughe finiscono per essere poi ricoverate presso il vostro ospedale? La principale in assoluto è quella della cattura accidentale nelle reti da strascico. I pescatori gettano le reti e nella fase della pescata entra la tartaruga. Le tartarughe marine possono stare a lungo sott’acqua, ma una calata può durare anche due ore e mezza – tre ore e quindi al di sopra della loro resistenza. Poi a questo si aggiunge anche un forte stress che altera i valori e la loro resistenza. L’ideale sarebbe che tutti i pescatori fossero coscenti di quello che andrebbe fatto in caso di cattura accidentale di una tartaruga, chi contattare… Molti già lo sanno e ci avvisano, ma l’informazione non è mai abbastanza! Poi ci sono i recuperi di animali spiaggiati perché feriti o ammalati e cerchiamo di tirarli fuori dalla loro condizione per rimetterli poi in libertà.
I costi immagino ci siano e credo neppure pochi, in che modo reperite i fondi? Come Fondazione partecipiamo ad alcuni progetti europei importanti da cui riceviamo finanziamenti. Le stesse regioni Romagna e Marche contribuiscono, anche se in maniera esigua, alla nostra attività. Il più grosso sostentamento viene proprio dai singoli e ci sono diverse forme. C’è un “salvadanaio” nell’area visite in cui è possibile fare donazioni spontanee, anche solo di 1 euro. Per le donazioni da 5 euro in su, si ha diritto a scegliere un gadget ricordo che può essere un portachiavi, un peluche, una maglietta… Un’altra forma di devoluzione è attraverso l’adozione di una tartaruga. Questo è importante perchè, adottando una tartaruga, oltre alla possibilità di darle un nome, si partecipa un po’ alla vita di questo animale fino al suo rilascio, venendo costantemente informati su tutto ciò che la riguarda.
Qual’è la vostra missione e chi sono i vostri visitatori? Guardi, le dico intanto che abbiamo avuto diverse contestazioni da persone che ci hanno detto “cosa vuolete che contribuisca alla conservazione della specie salvarne 40/50”. Forse hanno anche ragione, ma noi riteniamo che per fare la conservazione ambientale occorra una vera e propria cultura di ciò che vuol dire conservazione. E alla base di ogni cultura, c’è la conoscenza. Quindi se non si conosce il problema, non ci si preoccupa minimamente di quello che può comportare. Ecco che qui interveniamo noi.Tutte le persone che vengono qua, sono persone interessate, vogliono sapere da dove vengono le tartarughe, perché sono arrivate nel nostro centro, quali sono i loro problemi… Noi lavoriamo quindi sulla conservazione tramite la divulgazione delle informazioni e della conoscenza. Un po’ presuntuosamente, forse, noi pensiamo che bisognerebbe istituire tante fondazioni cetacee lungo tutto il territorio costiero italiano. Non abbiamo assolutamente nessuna mira di espansione, ci basta e anzi, ci avanza, il territorio che dobbiamo coprire con il nostro intervento, però credo sia importante. Ritornando alle Marche, per esempio, stiamo cercando di aiutarli affinché possano al più presto diventare autonomi, anche con un ospedale come il nostro perché, se la cosa è fatta bene, serve poi anche per la ricerca, considerate anche le diverse facoltà di biologia che ci sono in quella regione. Avere a disposizione questi animali, anche per un breve periodo, perché li stai curando, ti permette di avere più informazioni su di loro. Cerchiamo di coninvolgere anche associazioni che possono avere qualche interesse, come la CITES che si occupa degli animali protetti, le capitanerie di porto che hanno giurisdizione in mare e sulla costa, i comuni, le province e le associazioni ambientali costiere. In questo modo si può garantire una forma di intervento anche piuttosto rapido. Pensiamo che il futuro sia questo: la divulgazione unita alla partecipazione delle unità locali. Qui da noi nascono diversi soggetti: ragazzi che frequentano biologia marina e che vengono a fare il tirocinio, volontari… Abbiamo anche tanti ragazzini che, accompagnati dai genitori, vengono a trovarci e vanno via con la convinzione che da grandi faranno i biologi o veterinari. Vedono che è bello aiutare, che è appassionante e che il nostro lavoro è importante.
Dopo il recente riconoscimento ricevuto il 17 luglio scorso da parte del Comune di Numana con un premio per le attività a tutela del mare, un ultimo importante traguardo è stato raggiunto proprio martedì 31 luglio: nella Sala Giunta della Regione Emilia Romagna, è stato firmato il Protocollo d’Intesa che istituisce la Rete Regionale per la conservazione e la tutela delle tartarughe marine. Un importantissimo risultato per Fondazione Cetacea che, dopo anni di lavoro, vede riconosciuto il suo ruolo di Centro di recupero, terapia e riabilitazione delle Tartarughe Marine anche nella Regione Emilia Romagna. Per chiunque volesse visitare l’ospedale delle tartarughe marine di Riccione, in Viale Torino 7A, nei mesi estivi è aperto tutti i giorni, mentre durante l’inverno e la primavera, è accessibile solo su prenotazione, soprattutto da parte delle scuole e di chi ha adottato i nostri pazienti.
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