In occasione del centenario della nascita del famoso scultore riminese Elio Morri (3 maggio 1913 – 14 gennaio 1992) apre la mostra “Elio Morri 1913-2013”, promossa e curata da Aldo Merli. L’esposizione (a ingresso libero) inaugurata sabato scorso nei locali della Clinica Merli (viale Luigi Settembrini, 17) resterà aperta tutti i giorni – esclusa la domenica – fino al 28 settembre, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle 18.00, sabato dalle ore 9.00 alle 17.00.
Saranno esposte una ventina di sculture, provenienti da raccolte private riminesi, realizzate da Elio Morri tra la fine degli anni Cinquanta (Le mogli dei marinai, 1959) e il 1990 (Il profeta), accompagnate da altrettanti disegni. Un aspetto poco noto e in gran parte inedito della sua produzione che consente di conoscere l’artista nel suo momento inventivo e di seguirne la tormentata vicenda stilistica. Un linguaggio estremamente ricco di potenzialità espressive consentì infatti allo scultore di elaborare una grande varietà di soluzioni formali di volta in volta scelte in relazione ai temi nei quali si cimentava e alla loro destinazione: dallo studio del nudo, ai soggetti sacri e profani. Nel percorso espositivo trova spazio una selezione di studi realizzati tra la fine degli anni Trenta e il principio dei Novanta. Coprono circa un quarantennio di attività e documentano le diverse maniere attraversate da Morri.
Chi era Elio Morri in una nota biografica di Giulio Zavatta. «Fu lui tra i primi […] a suggerirmi che l’avventura della espressione artistica poteva essere anche la mia strada». Con queste parole Federico Fellini ricordò Elio Morri dopo la sua scomparsa, nel 1993. Per lo scultore riminese, infatti, la vocazione artistica fu precoce e inesorabile. Nato a Rimini nel 1913, fin da bambino manifestò una predisposizione all’arte sviluppata nella bottega di Filugenio Fabbri, il cementista-scultore autore della Fontana dei quattro cavalli. Compì gli studi artistici tra Torino, Ravenna e Bologna, e nel 1934 aprì un suo primo studio in via Giordano Bruno, segnalandosi da subito come il migliore scultore sulla piazza. Nel 1935 il giovane con “la barbetta ricciuta color rame” fu chiamato ad esporre assieme a Curugnani, Pasquini e Pazzini, artisti più anziani e già affermati. Nel 1937 vinse il concorso nazionale per la Scuola dell’Arte della Medaglia presso la Zecca di Roma, dove lo scultore si trasferì per alcuni anni nei quali fu a contatto con l’avanguardia artistica italiana. Ma Rimini restava la sua città del cuore, e dopo la guerra rientrò definitivamente in riva all’Adriatico, ponendosi in una posizione di apparente isolamento, ma al contempo realizzando una serie di notevoli opere: dal busto di Busignani in piazza Ferrari (1939), alla Via Crucis delle Grazie (1947-54), fino al Monumento alla Resistenza di Parco Cervi (1968-73), momenti chiave di una vicenda artistica fatta anche di innumerevoli commissioni pubbliche e private. Il rovello della sperimentazione e il confronto con scultori come Minguzzi, Marini, Mestrovic e Maillol portarono Morri a un linguaggio via via più astratto, che non arrivò però a sciogliere del tutto l’intimo legame con la figura umana, spesso portata alla stilizzazione estrema. La mostra personale postuma (del 1993) ha riconsegnato alla città la figura umana e artistica di Morri, il più importante scultore riminese del Novecento, e da allora si è assistito a un’attenzione crescente della critica – non solo locale – che trova in questa mostra a cent’anni dalla sua nascita una nuova, e non ultima, celebrazione.
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