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Home Focus

Criminalità e amministrazioni locali

Redazione di Redazione
3 Giugno 2013
in Focus, L'opinione
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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di PIERGIORGIO MOROSINI *

“Vulcano”, “Re Nero”, “Titano”, “Mirror”. Non sono insegne di locali notturni o titoli di campagne pubblicitarie, ma i nomi di operazioni di polizia. Da qualche tempo, arresti, sequestri, blitz sono il “pane quotidiano” della cronaca locale di Rimini e dintorni. Finanziarie che prestano soldi a “strozzo”, estorsioni, traffico di droga e armi, riciclaggio di danaro “sporco” in società di ogni tipo. Le trame dei camorristi e degli ‘ndranghetisti aggrediscono una riviera che risente da anni della crisi economica. Immobili e attività passano nelle mani di fior di criminali collegati ai clan di Casal di Principe, Gricignano e Acerra. E’ a rischio la nostra “comunità”, tradizionalmente sana. Dobbiamo reagire. In gioco c’è la libertà di fare impresa. La sicurezza di famiglie oneste che, con sacrificio, hanno costruito le loro “fortune” nella ristorazione, nell’alberghiero, nell’industria del tempo libero. Ma non solo.

La “contaminazione mafiosa”, la sua proiezione nelle attività imprenditoriali, può deteriorare i diritti di chi lavora. Meno sicurezza sui cantieri, meno tutele dal sindacato, meno prerogative per i dipendenti. E poi, anche le pubbliche amministrazioni si trovano più esposte alla enorme forza corruttiva dei boss in affari.

A Rimini e dintorni, da tempo, il problema non viene più negato. Si moltiplicano le occasioni pubbliche di confronto sui nodi più spinosi. Abbiamo da oltre un anno un “Osservatorio” sulla legalità. Il lavoro corale di amministratori locali, rappresentanti delle categorie professionali e del sindacato evitano l’“isolamento” di forze dell’ordine e magistratura. La circolazione delle informazioni su condotte finanziarie anomale o su presenze criminali nel territorio è importante. Solo con questo metodo possiamo spuntarla su criminali “camaleontici” che si mimetizzano e si avvalgono di insospettabili complicità locali.

Il prefetto Claudio Palomba, di recente, ha chiesto la collaborazione del governo centrale. Gli hanno fatto eco il presidente della nostra Provincia, i sindaci e vari rappresentanti delle forze dell’ordine. Rimini è una realtà particolare. Servono consapevolezza e responsabilità per costruire una “diga anticriminalità” davvero resistente per la riviera. E’ giusto chiedere rinforzi specializzati a Roma. Servono competenze particolari per le indagini. Bisogna saper leggere nelle pieghe dei bilanci societari, comprendere le negoziazioni sospette, “mappare” gli investimenti e i flussi di denaro. Senza mai sottovalutare cosa accade nelle amministrazioni locali.

L’operazione “Titano” che, all’inizio di aprile, ha portato a una decina di arresti e al sequestro di alcuni complessi immobiliari. Quel blitz ci consegna un dato su cui riflettere che coinvolge proprio la gestione urbanistica dei nostri comuni. Secondo le investigazioni dei carabinieri, il figlio di un noto boss dei casalesi stava creando una struttura satellitare stabile per la gestione degli affari tra le Marche e l’Emilia Romagna. Per sfuggire al sequestro di ingenti capitali, il clan puntava moltissimo sugli investimenti nel settore immobiliare. In altri luoghi ciò ha significato per i boss investire nell’edilizia privata.

Mentre cala l’incidenza mafiosa sui pubblici appalti per via dei controlli istituzionali sempre più stringenti con la legislazione degli ultimi anni, i boss si fanno costruttori, avvalendosi anche di prestanome locali. Comprano immobili da imprenditori locali in crisi di liquidità e sono intenzionati a farli fruttare per monopolizzare l’economia del territorio. Così cercano la simbiosi con professionisti-progettisti della zona che hanno entrature negli uffici tecnici comunali. Fanno pressioni sui funzionari e i burocrati delle amministrazioni, preposti al governo del territorio.

Coltivano con questi rapporti subdoli, nascosti. “Comprano” la loro collaborazione. Le tangenti sono in denaro o “mascherate” ad esempio dalla assunzione di un figlio in uno studio tecnico o in un impresa, oppure da qualche altra diavoleria. E la triangolazione tra mafiosi-costruttori, professionisti-progettisti e burocrati locali frutta, frutta eccome a tutti i protagonisti di questo circuito illegale. Il valore dei terreni e degli investimenti può lievitare con una diversa colorazione del pennarello. Un semplice tratto di penna è sufficiente a modificare il piano strutturale del territorio o la destinazione d’uso di una mappa dell’ufficio tecnico. Si tratta di escamotage facilitati da una normativa urbanistica assolutamente farraginosa e contraddittoria che permette al funzionario disinvolto di sostenere tutto e il contrario di tutto.

Se questa è la lezione, anche nelle nostre zone, è oggi il settore “urbanistica” delle amministrazioni ad attrarre fatalmente ogni tipo di appetito mafioso. E allora il monito della operazione “Titano” è: se il sistema locale è già corrotto, le logiche mafiose nell’edilizia privata potranno penetrare più facilmente. La mafia è come i pidocchi cresce dove c’è lo sporco.

In attesa di una legislazione anticorruzione più efficace, spetta alle amministrazioni locali fare opera di prevenzione. Come? Ad esempio, intervenendo sui criteri di selezione del personale degli uffici tecnici. I funzionari devono essere non solo formati professionalmente, ma anche controllati. E occorre prevedere dei meccanismi di “rotazione” negli incarichi, per evitare “incrostazioni” e la costituzione di vere e proprie “satrapie” negli uffici tecnici.

Si tratta di un modello alternativo per le politiche della sicurezza. Alternativo negli obiettivi e nei modi, rispetto a quello imperante da tempo nelle amministrazioni locali. Per troppi anni ci siamo preoccupati solo di lavavetri, venditori ambulanti abusivi, scippatori e spacciatori, considerati il pericolo maggiore, persone da “tolleranza zero”. Siccome le risorse per la sicurezza non sono illimitate, occorre distribuirle razionalmente anche su altri obiettivi. In caso contrario, assisteremo ad una metamorfosi mafiosa delle nostre belle realtà. Siamo ancora in tempo. Il futuro, tutto sommato, è ancora nelle nostre mani.

* Magistrato della Procura di Palermo

(Altro articolo sull’Osservatorio antimafia nelle pagine di Cattolica)

 

Tags: civileeticainfiltrazionileglitàmafiaPiergiorgio Morosinisocietà
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