di SILVIO DI GIOVANNI
Nella serata di venerdì 4 ottobre, con una straboccante folla che il cinema teatro Astra di Misano Adriatico non è riuscito a accoglierla tutta, abbiamo assistito alla pregevole lezione filosofica dell’importantissimo ed ormai di casa, professor Umberto Galimberti (FOTO) sul tema: “Il feticismo del mercato” quale prima conferenza di apertura nell’ambito della serie autunnale “Il denaro che fa girare il mondo” completato con la frase de “Lo sterco del diavolo “ di Martin Lutero. E’ senz’altro da condividere quasi tutta l’impostazione ed il taglio che il filosofo ha dato al tema trattato con mirabile competenza e maestria. Personalmente condivido il suo innamoramento della civiltà greca con i giusti riferimenti che aveva quel popolo dal quale trae origine anche la nostra cultura fin da quella latina. Condivido anche il suo pensiero critico attorno alla svolta dell’occidente, dagli albori del Medioevo con l’avvento del Cristianesimo ed il foltissimo pubblico presente, costituito in maggioranza da giovani, non ha mancato di applaudire copiosamente.
Ciò che invece non mi sento, né posso condividere, è l’estremo pessimismo col quale Galimberti ha chiuso la sua esposizione in relazione al futuro della società occidentale. E’ vero che l’occidente è destinato sempre più a diventare una popolazione cosmopolita ed eterogenea, ma non per questo si deve prevedere la fine di una civiltà. La capacità di coesistenza di diversa popolazione con diversa cultura dovrà essere l’obiettivo degli uomini del futuro. In passato i popoli del Centro Europa avevano sempre risolto i loro problemi con la guerra. Non passava una generazione senza che scoppiassero le guerre tra la Francia e la Prussia e così con il coinvolgimento degli altri Stati viciniori e vicini. Ora sono sessantotto anni dal 1945 ad oggi che le loro questioni le risolvono con i trattati, con gli accordi politici ed economici. La Comunità Europea è appena in erba ma non è più in via embrionale. Occorre quindi lavorare e sperare che i grandi sogni ed anche le grandi utopie degli uomini del passato e del presente, possano avverarsi. Uomini come il nostro concittadino cattolichino Vincenzo Mancini detto Cino, Sindaco di Cattolica dal 1907 all’8 giugno 1912 (giorno della sua morte prematura a soli 36 anni) che nel 1909 compose il suo famoso decalogo ed il primo maggio lo donò agli alunni delle scuole di Cattolica di cui Lui era un mirabile ed appassionato educatore. Era un’anima dedita al sogno ed all’utopia del primo novecento, alla grande speranza per un futuro migliore di amore tra i popoli con la messa al bando della guerra, dell’ignoranza, della prepotenza e dell’ingiustizia.
Voglio qui riportare, ancora una volta, il suo decalogo pieno di speranza e di saggezza: 1) Ama i compagni di scuola che saranno tuoi compagni di lavoro per tutta la vita. 2) Ama lo studio che è pane della mente e sii grato a chi ti insegna. 3) Onora le persone buone, rispetta tutti, non curvarti a nessuno. 4) Più che il rimprovero altrui, temi quello della tua coscienza. 5) Non odiare, non offendere, non vendicarti mai, difendi il tuo diritto e non rassegnarti alla prepotenza. 6) Non commettere bassezze, viltà, difendi i deboli. 7) Ricordati che i beni della vita sono frutto del lavoro, goderne senza far nulla è come rubare il pane a chi lavora. 8) Osserva e medita per conoscere la verità, non credere ciò che ripugna alla ragione. 9) Ama la patria, odia la guerra che è avanzo di barbaria. 10) Augura il giorno in cui il lavoro affratellerà tutti gli uomini e, cadute le barriere fra le Nazioni, la pace con le sue ali candide, sorriderà nel mondo. Era certamente una grande utopia la sua, ma l’uomo deve avere per il suo futuro anche sogni utopistici. Lo scrittore e giornalista sudamericano Eduardo Galeano, a proposito di utopia, scrive che camminare verso l’orizzonte con il proposito di raggiungerlo non è un sogno utopistico inutile. Perché, anche se non lo si raggiungerà mai, sarà tuttavia servito a camminare.
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