di MILENA ZICCHETTI
Un binomio sempre molto interessante quello tra Food e Web, soprattutto in un’era in cui il food è sempre più ‘digital’ e sempre più ‘shared’. E per quanto riguarda il vino on line, qual’è il linguaggio più adatto per fuggire la rigidità del mondo dell’enologia? E poi ancora, il vino… può essere pop?
Possiamo tranquillamente dire che la nostra epoca è caratterizzata da una forte centralità del cibo, non più considerato solo come un bisogno, ma come un vero e proprio desiderio, se non addirittura un’ossessione. Non per niente è diventato infatti uno dei protagonisti indiscussi del web, quel luogo dove ogni nostra domanda, dubbio o perplessità sull’argomento, può trovare una risposta e dove ricette, app e blog stanno davvero spopolando. Negli ultimi anni poi, a tutto questo si sono affiancati fenomeni eclatanti come le grandi vendite di libri di ricette e il moltiplicarsi di programmi come Master Chef & Co. Di quanto il cibo, anzi il ‘Food’, sia diventato ormai una costante nel quotidiano, lo ha dimostrato la presenza, oltre ogni aspettativa, di addetti ai lavori e non solo ai vari contest della Festa della Rete che si è svolta a Rimini nei giorni scorsi.
Diversi sono stati i dibattiti a cui abbiamo partecipato. Tra questi l’interessante e controverso mondo dei ‘Foodblogger’ che, a quanto pare, spuntano davvero come funghi. Solo in Italia, sembra siano addirittura oltre 3mila i blog dedicati al cibo, per non parlare poi dell’invasione nei vari Social Network dei ‘#foodigers’, cioè quegli appassionati di food che non mangiano senza prima aver scattato una foto al proprio piatto, per poi divulgarlo con le varie hashtag di riferimento e condividerlo con i propri amici e follower. Tema centrale della discussione è stato proprio quella della ‘Professione Foodwriter’ e di quanto, per scrivere di cibo, non basti (più) aprire un semplice blog. A parlarne giornalisti enogastronomici, foodblogger, foodwriter e disegnatori, tutti concordi sul fatto che sono molti i blog in cui il modo di scrivere viene curato davvero troppo poco. “Non basta saper scrivere bene – afferma infatti la giornalista Sara Porro – occorre anche saper scrivere di cibo, utilizzando il suo particolare linguaggio”. Assolutamente d’accordo Gianluca Biscalchin, giornalista e illustratore gastronomico, che sostiene quanto sia importante usare il cibo come veicolo di espressione, ma prima di scrivere occorre saper ascoltare le storie del cibo, perché “la curiosità verso il cibo c’è – conclude – ce l’abbiamo noi italiani come cultura, ma dobbiamo essere in grado di trasmetterla”.
Altro fenomeno in costate crescita, sia per motivi etici, ma anche economici (ossia di risparmio), è l’Autoproduzione Green, dove autoprodurre significa prima di tutto prendere coscienza del cibo che consumiamo quotidianamente e di tutti gli ingredienti che lo compongono. Salute e ambiente sono state quindi altre due componenti centrali di discussione nell’ambito di questa edizione della Festa della Rete. “L’autoproduzione non è più un qualcosa di nicchia – sostiene Riccardo Astolfi, ingegnere gestionale prestato al mondo del food, come ama definirsi, e appassionato di lievito madre – ci sono anzi sempre più persone che scelgono di utilizzare la materia prima per prodursi poi quello che di norma si compra al supermercato, come il pane e la pasta fresca ad esempio”.
Qualità della materia prima come sinonimo di qualità in tavola, è anche la teoria di Gianni Gaggiani, ideatore e fondatore di Grow the Planet, un interessante progetto on line sulla coltivazione di orti, con una bella idea di base: recuperare le conoscenze e le tradizioni del passato, come rilancio per un progressivo miglioramento. “Basterebbe anche un semplice orto, tanto per cominciare – afferma – perché coltivare un orto non vuol dire tornare indietro anzi, è un nuovo progresso, senza considerare poi quanto c’è dietro: meno trasporti e più aria pulita, meno chimica e più salute, meno acquisti al supermercato e più risparmio e più stagionalità. E poi c’è il gusto di mettere in tavola qualcosa di coltivato con le proprie mani, cosa che davvero non ha prezzo”.
Poi si è parlato del vino che, assieme al cibo, è uno dei temi particolarmente trattati nel mondo del web. Due le principali domande a cui si è cercato di dare una risposta: qual’è il linguaggio più adatto da utilizzare sul web per fuggire a quell’autoreferenzialità tipica del mondo dell’enologia? Ancora più importante: il vino può essere ‘pop’? Tra gli esperti intervenuti, personaggi del calibro di Francesco Zonin, vicepresidente dell’omonima Casa Vinicola, Adua Villa, enogastronoma e wine consulting, Dan Lerner, ricercatore, selezionatore, divulgatore e seller di vini e Jacopo Cossater, wine blogger e giornalista. Durante il dibattito si è cercato di capire se è possibile che un prodotto così pregiato e raffinato come il vino, possa essere anche ‘popolare’ e cioè di largo consumo, sdoganato quindi dai luoghi comuni che lo vorrebbero associato a cucine raffinate ed esclusive.
Tutti d’accordo sul fatto che sia necessario trovare un linguaggio che non spaventi ma che anzi, al contrario, faccia avvicinare sempre più persone. Per colpa di certe terminologie infatti, il semplice bere un bicchiere di vino, rischia spesso di non essere più un piacere, ma un qualcosa di intellettualmente troppo difficile da capire.
Sdoganato questo, “il vino è assolutamente pop – sostiene a gran voce Jacopo Cossater – dove per pop si intende popolare. E basta con la convinzione secondo cui il vino debba essere abbinato solo ed esclusivamente a cucine raffinate”. Sulla stessa onda di pensiero, anche Adua Villa che, nonostante la rigida scuola da sommelier, del vino ama parlare in maniera molto pop perché, come afferma, “prima di tutto viviamo in un paese in cui dal nord al sud si produce vino e poi, credo sia particolarmente importante cercare di fare capire quanto sia semplice, piacevole, immediato aprire una bottiglia e condividerla”. Un simpatico test ad alzata di mano, l’ha fatto chi invece ha avuto la fortuna di nascere in mezzo ad una vigna, Francesco Zonin, con una semplice domanda: quanti tra i presenti di solito bevono vino. L’alzata di mano plenaria ha dimostrato quanto già immaginava: “il vino è pop e lo abbiamo appena dimostrato!”
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