di ALBERTO BIONDI
Sentiamo parlare di corruzione pressoché quotidianamente, estesa ad ogni settore e livello della società, ma quella che forse incide con più forza sul futuro del Paese si nasconde anche tra le aule e i corridoi dei nostri atenei. Nepotismo, bustarelle, concorsi truccati e dinastie di baroni (e baronesse) pesano come una zavorra sulla schiena di chi cerca una buona qualifica professionale attraverso lo studio. Chi vorrebbe denunciare, poi, rischia grosso, teme ritorsioni, preferisce il silenzio. Così i ragazzi della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) hanno deciso di appoggiare la campagna dell’associazione Libera per promuovere la trasparenza nelle nostre università, attraverso una massiccia mobilitazione digitale che sensibilizzi i rettori e il mondo accademico. Abbiamo chiesto a Matilde Boldrini, presidente del gruppo Fuci Rimini, di spiegarci meglio la faccenda.
In cosa consiste la vostra campagna?
“L’iniziativa è partita dal comitato centrale di Roma, che durante gli Stati Generali dell’Antimafia (tenutisi dal 23 al 26 ottobre, ndr) ha deciso di sostenere Libera e la sua lotta contro il malaffare. In concreto, stiamo divulgando una petizione online affinché gli organi accademici tutelino chi ha il coraggio di smascherare la corruzione e le raccomandazioni nei nostri atenei. Dalle firme raccolte su Internet e sui social network, vorremmo poi presentarci, come Fuci di Rimini, al Coordinatore di Campus del nostro polo didattico, per fare anche noi la nostra parte nella campagna di sensibilizzazione”.
Quali sono i punti salienti della petizione di Libera?
“Ad esempio garantire la riservatezza e l’anonimato a chi decide di denunciare, protezione per tutti e a tutti i livelli (anche all’interno dello stesso staff universitario, inclusi i docenti e il personale amministrativo), predisporre un ufficio competente, una pagina web e creare un legame diretto con l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Tutte le informazioni utili e le modalità di sottoscrizione si possono trovare sul sito riparteilfuturo.it”.
Essendo anche lei un’universitaria, qual è la sua visione del problema?
“Credo che, come italiani, ci stiamo pericolosamente abituando alla corruzione e che per questo non sappiamo più indignarci. Il tutto perché fatichiamo a superare una certa logica opportunista di fondo, che anche davanti al misfatto lampante ci spinge a tacere per interesse. Nell’università è lo stesso. Se anche, come studenti-utenti, non ci rendiamo conto direttamente del sistema clientelistico, dei raccomandati, degli esami truccati, è nella didattica che poi notiamo il disinteresse, il lassismo, la scarsa qualità, e se dietro c’è del marcio allora è lì che viene a galla”.
Che soluzione intende proporre?
“L’università dovrebbe inserire un codice etico e far valere delle regole serie all’insegna del rispetto. Tutto qui. Nel frattempo, noi continuiamo la campagna al fianco di Libera per incidere sul nostro territorio e divulgare la petizione. Chissà che non cambi qualcosa…”.
Il problema, però, non è soltanto di corruzione. Che il sistema universitario italiano facesse acqua da tutte le parti, non solo metaforicamente, lo si era già capito dai dati Cineca dell’anno scorso, che riportiamo per dovere di cronaca: crollo di immatricolazioni nell’ultimo decennio (70mila in meno), in rapporto solo 3.302 su 100mila abitanti, statistiche che ci collocano dietro Egitto, Paraguay e Thailandia. Posizionamenti da campionato Eccellenza nelle classifiche mondiali delle università e fuga di ricercatori verso lidi più soleggiati. Se a tutto ciò sommiamo la crisi, la riduzione degli sbocchi professionali e il picco negativo di laureati nel contesto europeo, alla petizione di Libera per la trasparenza, è evidente, deve affiancarsi un’urgente soluzione politica.