di ALBERTO BIONDI
(INTERVIEW ROBERT WARD ENGLISH VERSION)
É sabato sera. Nel cuore del centro storico di Rimini, circondata dal chiasso dei bar e delle cantinette, una libreria aperta diffonde dalle vetrine la sua luce arancione. In strada la maggior parte della gente segue con un cocktail in mano la lenta processione da un pub all’altro, ma alcuni entrano furtivamente nella piccola “Libreria Riminese”. Panche e sedie vengono presto occupate da una combriccola emozionata e, anche se non c’è posto per tutti, nessuno si lamenta di restare in piedi. Lo scenario ricorda vagamente un incontro della carboneria, dove gli scaffali di legno nascondono i volti degli affiliati da sguardi indiscreti.
Stiamo tutti aspettando l’arrivo di Robert Ward, autore del romanzo “Io sono Red Baker” (Barney, 345 pagg. 16,50 euro) che vinse il Pen West Award come miglior libro pubblicato in America nel 1985. Nicola Manuppelli, curatore della collana I fuorilegge, lo ha recentemente tradotto in italiano e da oggi è possibile acquistarlo anche nelle nostre librerie. Quella di stasera è solo una tappa della lunga tournée intrapresa dal romanzo in tutta Italia e il pubblico freme visibilmente dall’emozione. Un altro paio di minuti ed ecco che “Bob” Ward entra nella libreria assieme alla sua interprete Maria Silvia Riccio. Presto mi rendo conto che l’autore è lui stesso un personaggio letterario: brandendo un calice di vino già mezzo vuoto, le guance molli arrossate dal Sangiovese, tra i romagnoli sembra davvero a suo agio.
Scrittore, insegnante, giornalista e sceneggiatore di Hollywood (quando non chitarrista blues), le turbolenze della sua carriera rispecchiano quelle della vita privata. Tuttavia non c’è traccia della sottile arroganza tipica degli intellettuali, e in special modo degli scrittori; Robert Ward ti parla come se foste vecchi amici da sempre, o come potrebbe parlarti uno zio matto. “Lasciate che vi racconti la storia di questo libro – esordisce afferrando una copia in inglese di “Red Baker” – Per cinque anni avevo scritto un romanzo intitolato “Baltimora”. Doveva essere la mia opera magna, sapete, qualcosa a metà tra Moby Dick e Jane Austen. Avevo scritto del mio divorzio, seicento pagine della schifezza più noiosa che possiate immaginare. Quella volta lavoravo al New York Times e una notte, dopo esser tornato a casa completamente ubriaco, l’ho letto tutto dall’inizio alla fine. Una merda assoluta. Mi depressi parecchio (ho sempre bisogno di sentirmi sul baratro della disperazione per scrivere bene) e poi buttai giù un nuovo incipit. Quello che poi diventò “Red Baker”. Il resto del romanzo è seguito da solo e in otto mesi l’avevo tra le mani. Il mio agente lo spedì poi a trentaquattro case editrici e sapete quante accettarono di pubblicarlo? Nessuna. Mi sarei sparato se la ragazza di Jack Kerouac non lo avesse notato aiutandomi poi a pubblicare”.
Robert Ward non si trattiene dal raccontare aneddoti esilaranti, come quando dopo una miracolosa intervista a Clint Eastwood durata due ore si accorse di non averla registrata, o quando in Messico fu abbandonato dalla troupe e lui, lo sceneggiatore, dovette cantare in un bar per tutta la notte. Il pubblico della Riminese è entusiasta e prima di poter intervistare Robert Ward devo aspettare fino all’ultima copia del romanzo firmata. Non appena mi avvicino sbircia il mio registratore e sorride.
Mister Ward, cosa fa di una storia una buona storia?
Cristo santo sei partito con la domanda più difficile del mondo… Credo che una buona storia sia quella che riesce a raggiungere il cuore della gente. Certo, come sai conta anche l’abilità di creare una buona trama, dei personaggi, ma aldilà dell’aspetto tecnico (che naturalmente è difficile) bisogna sempre produrre un racconto che emozioni allo stesso modo di come emozionavano i grandi autori del passato, come Dickens ad esempio. Questa è la vera abilità. So che molta gente non è d’accordo, come gli odierni autori di meta-narrativa che scrivono storie sulla scrittura di storie, ma personalmente preferisco l’approccio ottocentesco con tutte le varie vicissitudini e l’analisi psicologica. Rileggi quei romanzi e ti riescono ancora a catturare.
C’è qualcosa che non le piace nella narrativa contemporanea?
Sì in generale odio l’approccio Modernista che mette al centro di tutto il linguaggio. Così si allontana la storia dalla gente vera. Ho pensato la stessa cosa con la musica jazz: dopo Miles Davis e John Coltrane i musicisti hanno basato tutto sulla creatività dimenticandosi di cosa sia la melodia, non so se mi spiego. Per me la melodia in musica equivale alla trama nei romanzi. Se si scorda questo, ti resta solo del gran rumore.
Ci sono differenze tra lo scrivere narrativa e scrivere sceneggiature?
Oh enormi differenze. Nella sceneggiatura non puoi entrare nella mente dei personaggi. É tutto visuale. Di conseguenza devi riuscire a trovare degli espedienti visivi per rappresentare i loro stati d’animo. Non è per niente facile ed è per questo che molti film non sono in grado di delineare a fondo i personaggi. Persino i dialoghi negli script rivelano molto spesso i dettagli della trama piuttosto che il carattere dei personaggi, come accade nelle serie TV, e fa schifo. Negli ultimi tempi però scrivere per la televisione è diventato più “sofisticato”, e le storie ci guadagnano in profondità.
In quante lingue è stato tradotto “Io sono Red Baker”?
Mah credo solo in tedesco ed ora in italiano. Penso che la cosa sia legata alle difficoltà che, come ho già detto, incontrai nel pubblicarlo. Per farti capire, un giorno ricevetti una telefonata da uno dei trentaquattro editori che avevano rifiutato Red Baker e questo tizio mi disse “Bob, il tuo libro mi è veramente piaciuto, ma dal momento che parla di persone povere non possiamo pubblicarlo perché i poveri non comprano libri. Quindi chi lo leggerà?”. In quel momento mi sarei puntato volentieri una pistola alla testa. Poi però negli anni il romanzo s’è fatto la sua strada e molti mi chiamano dicendo che è il miglior libro che abbiano mai letto. É fantastico.
Cosa ama il pubblico del suo libro?
Ne restano commossi. Quando inizi a leggerlo vedrai questo personaggio (il protagonista, ndr) commettere i peggiori sbagli possibili ma la storia ti costringe ad andare avanti anche se non sei d’accordo con quello che fa. Ti dico solo che una volta un amico mi ha chiamato alle quattro del mattino per dirmi “Bob ho appena finito il tuo romanzo. Cazzo ha davvero i controcoglioni… è come guardare un cadavere: non puoi cavargli gli occhi di dosso. Lo sai bene che dovresti, ma non puoi”. Avrei voluto che questa citazione fosse scritta sul retro del libro.
Di solito da dove trae ispirazione?
Ti dico questa: quando sono arrivato qui non sapevo di trovarmi nella città di Fellini. Ho visto tutti i suoi film e lo ammiro, è veramente un genio. In particolare mi è piaciuto “Amarcord” (con il tipo sull’albero che grida “voglio una donna!”, perché quello sono io) e “I Vitelloni”, ma ho amato anche “Ladri di biciclette” di De Sica e i film italiani degli anni ’40 e ’50, che davvero hanno ispirato Red Baker. Erano così toccanti. Direi che il cinema mi ha influenzato allo stesso modo di tutti i romanzi che ho letto.
C’è uno scrittore americano che si sente di suggerire ai lettori italiani?
John Steinbeck. Amo i suoi romanzi e in generale tutte le storie ambientate durante la Grande Depressione degli anni ’30. Ne ho tratto parecchio spunto per Red Baker perché anch’esso è in qualche misura un romanzo politico, dove un tizio viene licenziato e sbattuto davanti alla povertà del mondo là fuori. Però non vuole essere una storia proletaria dove c’è il povero buono e il capitalista cattivo, sia chiaro. Desideravo soltanto scrivere un libro universale ambientato a Baltimora, la mia città, e anche se l’ho pubblicato negli anni ’80 è ancora dannatamente attuale.
Ultima domanda: crede che in cent’anni il libro di carta esisterà ancora?
Lo spero proprio. Amo il “feeling” dei libri, il fatto che possa sfogliarli avanti e indietro. Toccarli. E poi il loro profumo. Semplicemente lo adoro. I dispositivi digitali sono tutta un’altra cosa.
Mi congedo da Robert Ward consapevole di aver intervistato, prima ancora che uno scrittore, insegnante, giornalista e sceneggiatore, un infaticabile, inguaribile lettore.
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IL WARD TOUR porta gli scrittori americani in Italia
Il WARD TOUR è il primo di una serie di tour di scrittori americani in Italia, all’interno di un progetto chiamato “I fuorilegge” che si propone di presentare in Italia una serie di scrittori che negli Stati Uniti sono rimasti ai margini della letteratura ufficiale, molto spesso lontani dai grossi circuiti di New York. “I fuorilegge” si presenta innanzitutto come “collana editoriale” e poi come una serie di eventi live e web. Gli scrittori presentati, autentici fuorilegge, costituiscono una vera e propria vena d’oro del panorama letterario americano. L’idea è di creare col tempo una specie di “Sundance Festival” letterario. Le persone che hanno reso questo tour possibile sono Giorgia Del Bianco, Nicola Manuppelli, Michele Crescenzo e Claudio Della Pietà. Il tour si auto finanzia con l’aiuto di piccoli sponsor e con l’instancabile passione degli organizzatori. (al.b.)