di LUCA BARDUCCI
Dopo la morte di Alessandro Gambalunga (12 agosto 1619) la moglie Raffaella Diotallevi, ottemperando alle precise norme dello Statuto riminese, fece redigere l’inventario dei beni del defunto. Nel lungo e minuzioso elenco di oggetti compaiono anche diverse medaglie: su di un lato esse riportavano l’effige del gentiluomo, mentre sull’altro vi era rappresentata la caduta di Fetonte, col motto, ripreso da un’elegia di Properzio: ET VOLUISSE SAT EST, [nelle grandi imprese] l’aver tentato è sufficiente. La particolare scelta del motto da parte del Gambalunga potrebbe essere stata dettata dalla volontà di condensare in poche parole il bilancio di una vita, la sua, da sempre improntata al mecenatismo verso letterati e musicisti, che nel tempo non mancarono mai di dedicargli le proprie opere. Nipote di un mastro muratore, e figlio di un mercante (per quanto ricchissimo) da ferro, grazie al proprio patrimonio, valutato da un contemporaneo attorno ai duecentomila scudi, Alessandro Gambalunga poté dilettarsi, al pari di altre famiglie (quelle stesse che sempre negarono alla sua l’ascrizione al patriziato cittadino) della musica, e della compagnia de virtuosi, che […] sogliono convenire, e ritrovarsi caramente insieme. Non era raro infatti che a palazzo si tenessero concerti privati, e il padrone di casa, nei confronti dei musicisti, fu sempre pronto ad accordar protezione non solo ai virtuosi di tal professione, ma quelli ancora, che solamente v’hanno qualche inclinatione, come ricorda il riminese Girolamo Ghisuaglio, che al Gambalunga dedicò un libro di madrigali. Ma nel motto properziano leggiamo anche un velo di amarezza che forse lo accompagnò negli ultimi anni. Ciò che Gambalunga compì in vita, e che lo portò ad essere uno degli uomini più ricchi della città, non riuscì a garantirgli l’erede al quale lasciare il cognome, le sostanze, e soprattutto la grande biblioteca, accresciuta nel corso degli anni con continui acquisti nelle più importanti piazze italiane ed estere, e alla quale aveva dedicato tempo e finanze, arrivando persino a installare nell’ammezzato del palazzo un laboratorio dove messer Matteo libraro si occupava della rilegatura dei volumi, che riportavano sul piatto anteriore l’inconfondibile stemma familiare. E dal puntiglioso e articolato testamento, rogato a Pesaro nel 1617, emerge chiaramente l’ansia per ciò che il fato avrebbe potuto riservare alla sua preziosa biblioteca.
Ciò nondimeno, malgrado lo scarso richiamo che la cultura suscitava nella comunità riminese, volle legarla in eredità alla città, e con un grande atto d’amore dispose che i libri fossero posti a beneficio et uso principalmente dell’erede per tempo, et poi anco di tutti li altri della città che volessero per tempo nelle medesime stanze andarsene a servire […]. Ma non solo a musica e letteratura volse il Gambalunga i propri interessi: all’inizio del Seicento provvide anche a far decorare l’Oratorio della Madonna del Paradiso, un piccolo edificio frequentato dalla Confraternita dei Falegnami che si trovava a fianco del Tempio Malatestiano. Commissionò al pittore Giovanni Laurentini detto l’Arrigoni un affresco rappresentante il Giudizio Universale per la facciata, e diverse tele con le Storie di Giuseppe e Maria come decorazione del soffitto ligneo. E in questo piccolo oratorio fu sepolto insieme al padre Giulio. La chiesa e i due sepolcri monumentali vennero purtroppo distrutti da un bombardamento nel 1944, ma il ricordo di questo grande benefattore continuerà a perpetuarsi, vogliamo augurarci, per molti anni a venire.